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Contro il Governo Draghi, sviluppiamo l’opposizione! Sullo sciopero generale del 16 dicembre

Dopo che per mesi il sistema mediatico ci ha presentato Draghi come il Santo, il Salvatore della patria, e come unici scontenti quei pochi che si opponevano al vaccino, nelle ultime settimane le iniziative di politica economica, sociale e ambientale hanno mostrato con sempre maggiore evidenza quanto questo governo – sostenuto da quasi tutto l’arco dei partiti in Parlamento – sia il perfetto rappresentante delle grandi imprese italiane e multinazionali, della finanza, del neoliberismo europeo.

Con la legge di bilancio, con la rimodulazione delle aliquote IRPEF, con l’incentivo alle privatizzazioni, con l’intoccabilità degli evasori, il Governo Draghi ha rivelato la sua natura di Governo di destra, che fa gli interessi dei ricchi. Così come con le scelte di non contrastare le delocalizzazioni, di destinare l’80% dei fondi del PNRR alle imprese private, di ignorare la transizione ecologica e tornare su combustibili fossili e addirittura ipotizzare il nucleare… Ma le iniziative antipopolari del governo Draghi partono da prima, dallo sblocco dei licenziamenti di questa estate. Tutto ciò ha fatto emergere quali sono le vere questioni di questo paese, quelle sociali: salari bassi, carovita, diritti delle lavoratrici e dei lavoratori.

Così nel paese è andata progressivamente montando una protesta sociale contro le conseguenze economiche della pandemia, che hanno aggravato tutte le ingiustizie sociali precedenti, e contro il governo cosiddetto dei “migliori”, che alla parte più povera e sfruttata del paese sta arrecando danni sempre peggiori.

Questa rabbia è stata colta già negli scorsi mesi dal sindacalismo di base e dalla parte più conflittuale del sindacato: con lo sciopero generale dell’11 Ottobre, le lotte delle realtà di fabbrica conflittuali come la GKN, quelle del settore della logistica, il No Draghi Day del 4 dicembre e molte altre iniziative. Tutti momenti che riusciti a incrinare la narrazione del Governo in decine di città, e nei quali Potere al Popolo è stato pienamente parte.

Ora anche le dirigenze della CGIL e della UIL – non la CISL, che non si smentisce mai e non a caso oggi raccoglie il plauso di Salvini – dopo l’ennesima promessa disattesa di Draghi, sono costretti a chiamare lo sciopero generale il 16 dicembre. Meglio tardi che mai, verrebbe da dire. Ma è comunque significativo, soprattutto vista la reazione bipartisan dell’arco parlamentare, dalla Lega che attacca frontalmente lo sciopero, al Governo che lo considera inutile, a PD e M5S che cercano di farlo saltare dicendo che “non sussistono ragioni”.

In realtà le ragioni ci sono tutti, perché tutti i costi della crisi pandemica e della ristrutturazione conseguente si stanno scaricando sui lavoratori e sulle lavoratrici, e sulle fasce più deboli di questo paese: l’evasione fiscale dei padroni oggi la pagano i dipendenti, i profitti che si stanno facendo non vengono redistribuiti da una tassazione progressiva, non c’è in manovra una sufficiente compensazione dell’ aumento delle tariffe per i ceti più bassi, non c’è, a parte le dichiarazioni, un’iniziativa da parte della maggioranza per contrastare le delocalizzazioni (eppure la proposta è già presente: è stata scritta da noi insieme ai lavoratori GKN e portato in Parlamento con il nostro senatore Matteo Mantero).

Meglio tardi che mai, allora. Ma se si vuole davvero incidere sulle politiche economiche, non ci si può attestare a dichiarare solo insufficiente la manovra di politica economica attuale, ringraziando al contempo il Governo per l’impegno. Non quando siamo nel Paese con la peggiore dinamica salariale dell’OCSE, con le nuove assunzioni tutte a termine, con l’età pensionabile più alta d’Europa. Bisogna continuare anche nelle prossime settimane, spingere il fronte del sindacalismo conflittuale, lottare contro i salari da fame e la precarietà che dilagano, dire basta al Jobs Act e sì al salario minimo. Sostenere il blocco delle delocalizzazioni, non firmare accordi vergognosi come quelli che approvano gli oltre 300 licenziamento alla Whirlpool, combattere ogni restaurazione della legge Fornero e ogni attacco al reddito, pretendere il blocco delle tariffe e la fine dei tagli a Sanità e Scuola pubbliche. Bisogna soprattutto rompere con la subalternità a Confindustria e al potere finanziario.

Se non si fanno queste scelte – ammesso che venga mantenuto, visto che avanzano voci di un ripiegamento di CGIL e UIL -, anche uno sciopero generale rischia di essere uno sforzo che non cambierà nulla rispetto a tanti anni di moderatismo e complicità. Ciò che serve oggi al mondo del lavoro è una vera e duratura opposizione sociale, e la costruzione di un’alternativa di sistema, culturale, di valori. Per questo Potere al Popolo non solo ha detto no a Draghi Presidente del Consiglio, ma ora a maggior ragione lo dice alla sua candidatura a Presidente della Repubblica, che rischia di trasformare il nostro sistema politico in un presidenzialismo di fatto.

Per questo Potere al Popolo sostiene lo sciopero del 16 dicembre, ma si impegna perché la mobilitazione dei lavoratori vada oltre gli stretti limiti della piattaforma confederale e sia parte di una più vasta ripresa delle lotte. Diciamo anche che non ci si può fermare, perché molti giochi della manovra economica sono comunque fatti, e non possiamo accontentarci di otto ore o di una semplice manifestazione.

Anche per questo ci mobiliteremo sabato 18 dicembre in tante città italiane contro il governo Draghi, con volantinaggi, azioni e presidi per ottenere il salario minimo, il blocco delle tariffe, il no alle delocalizzazioni.

Non possiamo aspettare che qualcuno ci salvi: la lotta è solo cominciata e dovrà continuare e crescere, contro l’ingiustizia sociale e per rovesciare il tavolo dove da anni si peggiorano e colpiscono le condizioni del lavoro.

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