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[ROMA] ATAC: IL BANDO COLPISCE ANCORA!

L’11 Novembre, a pochi minuti dal flop del referendum radicale, la Raggi con un tweet si intestava la vittoria: “i Romani vogliono che ATAC resti pubblica. Ora impegno e sprint finale per rilanciarla”. Il referendum però non verteva sulla privatizzazione dell’azienda pubblica ma sulla messa a gara del servizio, come ripeteva fino all’esaurimento il comitato per il Sì. La favoletta che i Radicali, che animavano il comitato, raccontavano ai romani era che con un bando fatto bene la concorrenza privata avrebbe rimediato ai drammi del monopolio pubblico. I romani non gli hanno creduto, però quello che hanno cacciato dalla porta rientra ora dalla finestra. Proprio grazie alla Raggi. Con un bando pubblicato venerdì, ma deciso dall’assemblea capitolina già a Maggio, l’affidamento ai privati delle linee di trasporto di superficie di Roma aumenta infatti del 10%, fino a coprire quasi il 30% del servizio complessivo. Il servizio inoltre viene diviso in due lotti che non potranno essere assegnati alla stessa azienda. Un modo forse per sbarazzarsi della Roma TPL, l’azienda che al momento detiene le linee affidate ai privati e che offre un servizio scadente e condizioni di lavoro pessime. Peccato però che si tratti di un consorzio formato proprio da quelle aziende che avrebbero dovuto concorrere per aggiudicarsi il bando del 2010 e che in vista di quest’altro, previsto per il 2020, potranno agilmente spacchettarsi per potersi nuovamente spartire il servizio. D’altronde se davvero ci si voleva liberare della TPL allora si sarebbe dovuto internalizzarla, come gli stessi 5 Stelle avevano sostenuto diverse volte durante la campagna elettorale o davanti ai lavoratori che protestavano per la mancata trasmissione dello stipendio.

In ogni caso il punto è che la favoletta della concorrenza diventa almeno in parte realtà e il padrone di turno si intascherà il profitto del 4.5% previsto dal bando su 100 milioni di euro annui di soldi pubblici. E a evitare furti, falsificazioni di dati, subappalti illeciti, giochi sporchi ai danni di lavoratori e utenti ci dovrebbero pensare i controlli previsti dal Comune, esattamente come voleva la propaganda per il Sì al referendum.

Dove vuole andare allora la giunta Raggi, che futuro ha in mente per il trasporto pubblico di Roma? 

Partiamo innanzitutto da un dato: non è vero che il servizio pubblico offerto dall’ATAC si stia rilanciando. La produzione kilometrica di superficie continua a essere abbondantemente inferiore a quella considerata adeguata (circa l’84%) e se gli ultimi bilanci registrano dei pareggi è perché non si è sofferta quella svalutazione dei crediti che nel 2016 portò alla formula del concordato preventivo atto a scongiurare il fallimento. Ricordiamo infatti che è stata la scelta del Comune di Roma, della Raggi stessa, di non riconoscere quasi 200 mln di crediti che doveva all’azienda a far rischiare a questa il fallimento e a far intraprendere la strada del concordato. E questa strada, che ancora non è sicura e avrà un ultimo momento di verifica il 19 Dicembre quando i creditori si pronunceranno sul piano di ristrutturazione del debito, costringerà l’azienda a mettere in cima alle proprie priorità quella del pagamento immediato dei creditori, pure davanti a quella dell’erogazione del servizio e del trattamento dei lavoratori (che infatti hanno visto aumentare il proprio orario di lavoro settimanale). Altrimenti si va dritti al fallimento. Anche per questo in questo momento l’azienda non riesce neanche ad acquistare i famosi 600 nuovi autobus di cui parla la Sindaca, perché le gare di appalto vanno deserte dato che le aziende che dovrebbero vendere i mezzi hanno paura di vendere a un’azienda che poi potrebbe dichiarare bancarotta. E ricordiamo che questi autobus non sarebbero comunque sufficienti a determinare l’abbassamento di età media della flotta di cui ci sarebbe bisogno.

Cosa che ci porta alla seconda considerazione. Alla retorica del pubblico sprecone e del privato virtuoso non ci crediamo. Ma non perché il pubblico non lo sia ma perché il privato lo è altrettanto e anche di più. A volte questo è nascosto dal fatto che ciò che desta scandalo nel pubblico, nel privato è invece considerato normale: le assunzioni di parenti e amici nel privato non hanno bisogno di passare attraverso la truffa di qualche concorso visto che la chiamata è diretta; gli stipendi stellari dei manager pubblici fanno giustamente incazzare ma anche rabbrividire rispetto ai loro equivalenti privati che sono “liberi di fare come vogliono”; nel settore privato la cooptazione dei sindacati per gestire la manodopera è prassi aziendale e non indice del fatto che l’azienda “è in mano ai sindacati”. Altre volte invece è palese e dimostra la capacità da parte del privato di eludere quella concorrenza che lo dovrebbe costringere all’efficenza. A Roma lo si è visto con il famoso scandalo di “Mafia Capitale”, consumatosi all’ombra di bandi pubblici che il duo Buzzi-Carminati si aggiudicava “andando a battere” tra i corridoi della politica, secondo la famigerata espressione di quest’ultimo. Oppure con la costruzione della Metro C, i cui costi e tempi si sono gonfiati clamorosamente (e sospettosamente) nonostante l’affidamento abbia rispettato tutti i crismi della concorrenza.

Se c’è qualcosa però che le aziende private hanno o dovrebbero avere sono le risorse da investire. Nella nostra società il vero monopolio è quello privato dei capitali, motivo per cui alla fine nonostante il trattamento che ci riservano, la loro arroganza, le truffe costanti, ce li dobbiamo far andare bene, perché sono quelli che “ci danno lavoro”. E, in questo, caso servizi. E in una situazione disastrata a livello di mezzi e infrastrutture come quella del trasporto romano, anche il più furfante dei capitalisti potrebbe metterci qualche pezza. Basterebbe investire qualche milione in autobus che almeno non prendano fuoco. Ed è proprio su questo che punta la giunta Raggi, sperando di suscitare l’interessamento di aziende dentro e fuori i confini italiani.

Perché, appunto, ATAC non ce la fa e rischia davvero di non farcela nel futuro. E non (solo) in virtù della sua decennale malagestione ma perché, come scrive la Cassa Depositi e Prestiti in un documento che non ci stancheremo mai di citare, “per anni sono stati quasi azzerati i finanziamenti statali in conto capitale e i vincoli imposti dal Patto di Stabilità Interno hanno compromesso i finanziamenti degli Enti Territoriali al TPL”. Un problema di tutto il paese, che ha fatto impennare l’età media dei mezzi e con questa il numero dei guasti. Un problema che andrebbe risolto stanziando risorse pubbliche adeguate e non facendo affidamento su irrealistici piani di autofinanziamento come quelli previsti dal concordato, che già stanno venendo smentiti dai fatti. Uscendo dal cappio delle politiche di rientro dal debito di Roma che impediscono qualsiasi vero cambiamento e imponendo al governo centrale che la manovra “del popolo”, come piace dire ai penta-leghisti, investa sui servizi pubblici e quindi sul diritto alla mobilità delle classi popolari.

La scelta della Raggi invece lascia l’ATAC in una situazione di precarietà mentre rafforza un privato che un giorno potrà sfruttare i suoi risultati per giustificare la lottizzazione e messa a gara dell’intero servizio. E chiamare questo “cambiamento”.

Per maggiori info vedi: www.poterealpopolo.org/atac

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