Primo dato: Al primo turno delle legislative francesi, l’affluenza è balzata al 66,7% dal 51,5% delle europee. Un’ondata di partecipazione elettorale come non si vedeva da trent’anni.
Perché tante persone, stavolta hanno deciso di votare?
Perché hanno creduto che la Francia fosse davvero dinanzi a una scelta tra diverse visioni della società, dei mali del presente e dei possibili orizzonti di futuro.
La partecipazione si produce laddove in ballo non c’è la mera alternanza tra due facce della stessa medaglia, ma tra alternative vere. Da un lato l’ultradestra di Marine Le Pen (RN), che vorrebbe scaricare contro le classi popolari francesi (in particolar modo quelle “razzializzate”) le contraddizioni del capitalismo francese, dall’altra il Nuovo Fronte Popolare (NFP) egemonizzato da la France Insoumise (LFI) di Jean Luc Mélenchon che indica nei ricchi i responsabili ed ha un’agenda ecosocialista.
Il grande sconfitto di questa tornata elettorale è Macron. O, meglio, l’idea che impersonifica. Quando nel 2017 ha vinto per la prima volta le elezioni presidenziali francesi, si era presentato come l’argine alla crescita dell’ultradestra: Per fare ciò il suo Governo ha semplicemente adottato l’agenda dell’ultradestra: la legge asilo-immigrazione, che prevede la detenzione dei richiedenti asilo e l’aumento delle espulsioni, o la criminalizzazione degli abitanti delle periferie e di parte della comunità accademica, sono nei fatti una vittoria di Le Pen.
Il liberismo centrista rappresentato da Macron non funziona come argine. L’estremo centro liberista è, in realtà, il tappeto rosso steso dinanzi all’avanzata dell’ultradestra. In Francia come a casa nostra. A inseguire l’ultradestra sul proprio terreno non si fa altro che “normalizzarla”, offrendole così maggiore legittimazione e possibilità di vittoria.
Per ampie frazioni delle classi dominanti un governo dell’ultradestra è largamente preferibile a un esecutivo capeggiato da una sinistra “trasformativa”.
Il successo dell’estrema destra non è una questione di merito loro, di un lavoro che fanno, di problemi che risolvono, ma l’esito di un processo delle classi dominanti che hanno deciso di pompare quella opzione come risposta a un malessere che loro stesse hanno creato impoverendo la società.
Per loro, rispetto a NFP, è preferibile l’estrema destra, che vuole lasciare come sono gli equilibri economici.
Le proposte economiche e sociali del NFP fanno paura: aumento del salario minimo, tassazione dei patrimoni e dei redditi della parte più ricca della popolazione, ecc.. Il mondo imprenditoriale e quello degli economisti mainstream è pronto ad aggrapparsi all’ultradestra pur di mantenere in piedi l’austerità contro le classi popolari ed evitare misure redistributive che mettano in discussione gli attuali equilibri di potere. Quasi la metà dei giovani (48%), invece, ha votato per le trasformazioni promosse dal NFP.
Per distruggere l’ipotesi de La France Insoumise al governo, abbiamo assistito a una continua criminalizzazione della figura di Mélenchon.
In patria e all’estero. Sulla stampa si può leggere di lui come di un “provocatore”, un personaggio “divisivo”, un “egocentrico” e, soprattutto, un “antisemita”. È questo il marchio di infamia utilizzato come arma decisiva per ridurre le possibilità di una vittoria elettorale de La France Insoumise, principale forza politica del NFP. È la stessa arma usata – con successo – contro Corbyn nel Regno Unito.
L’accusa di antisemitismo risponde a un duplice scopo: attaccare i consensi de LFI e ribadire che il sostegno al sionismo israeliano è elemento strutturale e indiscutibile dell’Occidente.
Le prospettive in gioco sono chiare. Il potere vorrebbe utilizzare l’avanzata dell’ultradestra per proporre una sospensione sostanziale della democrazia a favore del “pilota automatico” invocato spesso anche a casa nostra e che per chi comanda è il rimedio di fronte a cittadini che “non sanno votare”. Sarebbe un regalo a una ulteriore crescita dell’ultradestra.
C’è poi la risposta del nostro campo, rappresentato da La France Insoumise, riassumibile in “più democrazia”. Da un lato un orizzonte trasformativo della Costituzione (la VI Repubblica) in senso partecipativo e democratico e il presidio costante delle istituzioni parlamentari. Dall’altra la piazza: le manifestazioni che sono state organizzate subito dopo l’uscita degli exit poll del 30 giugno, con migliaia di persone in diverse città francesi, al grido di “Siamo tutti antifascisti”, sono uno dei fattori positivi da tenere in conto.
Per sconfiggere l’ultradestra e trasformare le nostre società, serve una dialettica virtuosa tra urne e piazze. Scendere in piazza, protestare contro l’avanzata del RN, denunciare la “Macronie”, evidenziare le misure politiche, economiche, sociali e culturali di cui hanno bisogno le classi popolari. Non è volontà di negazione dei risultati elettorali (non siamo di fronte a Capitol Hill), ma la consapevolezza che il consenso prima che contarsi si costruisce.
Partendo dagli spazi pubblici delle nostre società: le scuole, le piazze, i media. E poi anche nelle urne.
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