L’11 dicembre scorso, 71 soldati nigerini sono stati uccisi in un attacco da parte di militanti islamici in una remota caserma presso Inates al confine con il Mali e a 200 km dalla capitale Niamey. La stessa base era stata attaccata nel luglio scorso e 18 militari erano stati uccisi. L’attacco è il più sanguinoso da quando nel 2015 è cominciata anche in Niger l’offensiva jihadista.
Attualmente nella regione è attiva la più grande missione Onu al mondo (Minusma), con 13.200 soldati e 1.900 poliziotti impegnati. Inoltre, in Niger si trovano 4.500 militari francesi delle unità speciali antiterrorismo che operano insieme a contingenti di Stati Uniti (800 unità), Germania (50), Canada (27) e Italia (80). Dal 2017 è in vigore lo stato d’emergenza ed è formalmente operativa la forza congiunta “G5 Sahel” composta da 5 battaglioni di 750 militari di Burkina Faso, Mali, Mauritania, Ciad e ovviamente Niger.
Ma l’insicurezza e i morti continuano ad aumentare e la popolazione scende in piazza contro la presenza militare straniera. Nel corso del 2018 e 2019, nonostante le proibizioni a manifestare del presidente Issoufou, numerose sono state le proteste popolari che hanno chiesto il ritiro dei contingenti stranieri. Un’evidente ostilità nei confronti di un’occupazione militare giustificata dalla lotta al terrorismo ed alla migrazione illegale, ma che serve anche a tutelare gli interessi economici e geopolitici degli occupanti. Di fronte a questa ostilità il ministro degli esteri francesi Jean Yves Le Drian, con un ipocrisia che non ha pari in Europa, ha dichiarato recentemente a le Monde: “Non abbiamo alcun interesse in questa regione se non per la nostra sicurezza”, aggiungendo, con un’altra menzogna: “Se ciò non viene risolto attraverso accordi e un chiarimento degli impegni, dovremo porci domande e ripensare il nostro posizionamento militare”.
Il disinteresse francese è tale, infatti, che il 30% dell’uranio utilizzato dalle centrali francesi proviene dal Niger. La compagnia francese Areva (prima Cogeva) dal 1958 sfrutta le miniere in partenariato con lo stato nigerino. Reale disinteresse parrebbe invece esserci nei confronti della salute delle popolazioni locali visto che grazie alla sua attività, Areva si è vista attribuire nel 2008 il Public Eye Awards, riconoscimento negativo assegnato da Public Eye, a causa dell’informazione inadeguata data alla popolazione sui rischi connessi alla radioattività e al fatto che i medici della società davano regolarmente delle “false diagnosi”.
Se la politica della Francia e delle sue imprese non fanno notizia, dovrebbero farla l’interesse e l’intervento italiano in questo paese tanto dinamici da entrare in conflitto con i cugini d’oltralpe. Nel settembre del 2017, infatti, Italia e Niger firmano a Roma un accordo top secret di cooperazione nell’ambito della Difesa, a gennaio 2018 si apre la prima ambasciata italiana nel Sahel a Niamey e a Roma si approva la prima missione militare nel paese. L’accordo si focalizza sulla cooperazione militare, la vendita di armi e la lotta all’immigrazione clandestina. La missione prevede l’invio di 470 militari, 130 mezzi terrestri e 2 aerei, con l’obiettivo di formare le forze armate nigerine e pattugliare i confini. La missione bloccata per mesi, a causa dell’opposizione francese, è adesso pienamente operativa nelle sue attività di formazione antiguerriglia, ma anche anti-sommossa urbana per reprimere i movimenti di protesta e di lotta che il regime fatica a controllare.
Nel frattempo il Niger rimane il paese con l’indice di sviluppo umano più basso al mondo: 189mo su 189 nazioni. I nigerini hanno una speranza di vita pari a 62 anni, il 70% sopra i 14 anni è analfabeta, 248 bambini su 1000 non raggiungono i 4 anni di etè, il 90% vive quotidianamente in uno stato di povertà multidimensionale (economica, sanitaria, educativa) costante. Per dare, quindi, una parvenza umanitaria al nostro intervento e tenere buono il governo nigerino, di tanto in tanto si distribuiscono aiuti sotto forma di medicinali e attrezzature sanitarie pagati con i soldi della cooperazione allo sviluppo, a volte raccolti anche da organizzazione della società civile italiana, ma gestiti dalle autorità politiche e militari nigerine.
Così il consistente intervento militare italiano si mescola in modo pericolosamente ambiguo a quello, minimo, di aiuto umanitario e cooperazione. Si utilizzano le stesse fonti di finanziamento, si mettono insieme società civile e militari, si confondono coordinatori delle azioni umanitarie e militari ottenendo l’importante risultato di nascondere i veri obiettivi della nostra presenza in Niger in una grande operazione di “green washing” internazionale. Come da tempo denunciamo, il problema della cooperazione italiana non è semplicemente il suo scarso finanziamento, ma la mancanza di trasparenza, l’opacità degli obiettivi, la commistione tra cooperazione, lotta all’immigrazione clandestina e sudditanza al cosiddetto interesse nazionale.
Fonti
Mazzeo, “La presenza italiana in Niger: assistenza umanitaria o lotta armata ai migranti ? », ottobre 2019
Annonce du prix sur le site de l’ONG : (de) (en) (fr) Public Eye on Davos 2008[archive] (consulté le 25 avril 2011).
↑ Angélique Mounier-Kuhn, L’uranium, ce pactole maudit [archive]. Article du quotidien suisse Le Temps du 16 février 2008reproduit sur le site de la Déclaration de Berne (consulté le 25 avril 2011).
↑ Jessica Aldred, Awards shine spotlight on big business green record [archive]. Article du quotidien britannique The Guardian commentant le prix, 22 janvier 2008 (site consulté le 25 avril 2011).