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I MISTICI DELL’OCCIDENTE. NUOVE INDICAZIONI NAZIONALI E CULTURA (NON SOLO) DI DESTRA.

Nelle nuove Indicazioni Nazionali per la scuola del primo ciclo (fino alla terza media), pubblicate a inizio Marzo e oggetto attuale di “consultazione” pubblica, il sostantivo “Occidente” o l’aggettivo “occidentale” variamente coniugato compaiono 26 volte, di cui almeno una ventina non come termini tecnici (riferimenti oggettivi negli obiettivi specifici di apprendimento), bensì come parole fondatrici di senso. Se pensiamo che nelle vecchie indicazioni il termine compariva soltanto due volte e solo in forma tecnica (es. Impero Romano d’Occidente) capiamo immediatamente che Occidente (scritto sempre con la maiuscola) è la cifra ideologica delle nuove indicazioni nazionali.

È utile soffermarsi su alcune di queste occorrenze. A pg. 8, nella premessa culturale generale, si scrive che il termine ‘persona’ ha radici storico-culturali occidentali. Gli estensori hanno addirittura aggiunto una nota argomentativa etimologica che fa risalire la parola al mondo romano al quale sarebbe arrivata dal greco prosopòn attraverso l’etrusco phersu: in pratica ci hanno tenuto a dirci che la parola persona viene dal latino e prima ancora dal greco. Una bella constatazione per un termine di una lingua neolatina, se avessero scritto che specchio deriva da speculum avrebbe avuto lo stesso valore scientifico. Il problema sta nella derivazione, sottintesa, che è il concetto, e non solo il termine, di persona ad essere occidentale. Lo si capisce dalle righe precedenti (“La Costituzione mette al centro la persona”, un refrain che viene dalle nuove Linee Guida per l’insegnamento dell’educazione civica di cui abbiamo già parlato qui: https://poterealpopolo.org/linee-guida-governo-educazione-civica-boicottate/ ) e dal resto del testo. Che ci siano termini per indicare la persona in cinese o in arabo e che anche questi abbiano a che vedere con l’individuo – osservazione banale – non interessa agli estensori delle indicazioni.

A pagina 10 si scrive che la libertà è il valore caratteristico più importante dell’Occidente e della sua civiltà sin dalla sua nascita, avvenuta fra Atene, Roma e Gerusalemme. Qui l’anonimo estensore – usiamo il maschile singolare per conformarci all’uso governativo – si lascia prendere la mano e dimentica che Atene e soprattutto Roma sono state società rette sugli schiavi, e che se la schiavitù non è un primato occidentale, sulla tratta e sul commercio degli schiavi, quantomeno tra il XVI e il XIX secolo, si è costruito il potere e la ricchezza delle grandi monarchie europee. Questo per rimanere sul piano dei fatti storicamente assodati e indiscutibili, altrimenti potremmo andare oltre, ma riteniamo che la frase si commenti abbastanza da sé, soprattutto se letta con quanto scritto subito dopo: capire che cosa è la libertà e soprattutto cosa significhi essere liberi (anche attraverso il confronto con coloro che liberi non sono, in moltissime parti del mondo), agevola la comprensione di cosa sia una democrazia occidentale e le connessioni esistenti fra quest’ultima e il sistema dei diritti e dei doveri di cittadinanza conquistati dall’Europa, anche al prezzo di guerre terribili, nella prima metà del Novecento. (il grassetto è nostro). Insomma noi occidentali siamo liberi, gli altri no. Noi siamo democratici, gli altri forse. In che cosa si traduca questo assunto, quando decidiamo di esportare libertà e democrazia, l’abbiamo visto nei decenni precedenti e lo vediamo tuttora.

Ma non avete letto ancora niente. Arriva la parte di Ernesto Galli della Loggia

Il grosso delle ricorrenze di Occidente si trova nella premessa al capitolo sull’insegnamento della Storia. Sappiamo che di questo si è occupato Ernesto Galli della Loggia, quindi se sentite il bisogno di visualizzare nella mente il volto dell’autore degli estratti che seguono questo sarà, con buona probabilità, il suo. Dobbiamo dire che qui le difficoltà aumentano. Se prima erano un paio di boutades buttate là – gravissime, ma abbastanza grossolane – in questo caso l’autore, come si dice a scuola, si è voluto applicare, sin dall’esordio.

Solo l’Occidente conosce la Storia. Le maiuscole sono originali, siamo a pg. 68. Non ricordiamo così su due piedi un incipit così enfatico e ferocemente apodittico, se non In principio Dio creò il Cielo e la Terra. Non entriamo anche noi nel merito della totale infondatezza dell’affermazione, molti altri l’hanno già fatto meglio di noi (a titolo di esempio lo storico Marcello Flores qui: https://zetaluiss.it/2025/03/20/nuove-indicazioni-scuola- storia-bibbia/), ma ci concentreremo su altri aspetti, spie linguistiche che sono una chiara marca culturale.

Sempre a pg. 68, la cultura occidentale – padrona ed esclusiva titolare della Storia, come si è visto – è stata in grado di farsi innanzi tutto intellettualmente padrona del mondo (grassetto nostro): siamo padroni, quindi, grazie alla superiorità intellettuale, non grazie a quella tecnologica, alle guerre di rapina, alla devastazione del continente sudamericano, africano, asiatico, al colonialismo e all’imperialismo; siamo padroni perché conosciamo la Storia!

Una Storia, sia detto tra parentesi, o meglio una tradizione storiografica occidentale che esiste e ha certamente le sue peculiarità, ma che nel documento è presentata in modo totalmente antidialettico e acritico: Erodoto, Tucidide, Tito Livio e Tacito tutti insieme appassionatamente, come una galleria agiografica di exempla eccellenti, quando qualunque laureata o laureato in storia antica o lettere classiche (ma forse anche delle o dei diplomati liceali) sarebbe in grado di esporre le profondissime differenze tra questi autori tra loro e, più in generale, tra la storiografia antica e le sue evoluzioni, che invece nel testo ministeriale sembrano discendere placidamente e naturalmente da quel passato (Quel tipo di osservazione e di racconto, arricchito dall’esperienza della storiografia romana, ha definito alcune caratteristiche basilari con cui la cultura occidentale da allora in avanti si è abituata a giudicare e narrare i fatti riguardanti le collettività umane, in genere la sfera sociale, sempre pg. 68).

Ma Ernesto Galli della Loggia è una fine penna oltre che un professore emerito, quindi ad un certo punto inserisce un coup de theatre, una sorta di ammissione di colpa a sorpresa, a pg. 69: ma nella coscienza europea ed occidentale del XIX secolo la storia, la propria storia, – … – assurge altresì a motivo decisivo per la formulazione di una presunta superiorità nei confronti di ogni altra popolazione e cultura della terra. Di quelle popolazioni e culture che nulla sanno di quanto sopra perché la loro storia ha seguito un tracciato assolutamente diverso non rivestendo perciò ad occhi occidentali alcun significato, potendo essere quindi tranquillamente ignorata. I grassetti sono sempre nostri, le parole no: gli autori del testo presentano come colpa del passato quella assunzione di superiorità che è stata da loro appena formulata. Capolavoro.

La riflessione sulla Storia e l’Occidente è sempre accompagnata da aggettivi che richiamano il dominio (padrona del mondo), l’eccellenza, il primato.

La storia (che abbiamo inventato noi, ndr), cioè la conoscenza e il giudizio sul passato, sono divenuti per questa via fonte decisiva per il pensiero e l’educazione politica dei popoli del mondo occidentale e in seguito di tutti i Paesi della terra. In particolare, anche grazie alla storia e alla politica, i popoli – dapprima quelli dell’Occidente poi quelli del mondo intero – hanno potuto prendere coscienza di sé, abituarsi a considerare la propria esistenza collegata a quella di milioni di propri simili, sono divenuti consapevoli di ciò che li univa – ad esempio una lingua o un passato comuni, una condizione sociale comune – e maturare così la volontà di acquisire un più ampio e organico protagonismo.

Ricapitolando. Solo noi conosciamo la Storia. La Storia è stata lo strumento per farci dominare il mondo. È grazie a noi e alla nostra storia che i popoli del mondo hanno potuto prendere coscienza di sé. A questo punto l’eco della Genesi che prima abbiamo scherzosamente evocato ritorna in tutta la sua tragica serietà: è l’Occidente che ha dato al resto del mondo coscienza di sé, che ha reso l’essere umano consapevole di essere umano. Possiamo solo immaginare la tensione lirica in sottocommissione nel momento in cui scrivevano o rileggevano queste parole.

Del resto la Storia serve solo a noi: essa infatti costituisce il principale strumento tanto per conoscere come si è formata la nostra civiltà, per comprenderne le caratteristiche di fondo e i valori, che per inquadrare al tempo stesso le vicende della scena mondiale e i rapporti di questa con l’Occidente. Gli altri, quindi, che non vengono praticamente mai nominati, esistono solamente in relazione con l’Occidente, come funzione dell’Occidente o meglio come non-Occidente. La Storia, bontà sua, serve ad indagare i rapporti tra Noi, il distinto, e questo magma indistinto.

Furio Jesi e le maiuscole. Come si passa dalle Indicazioni… a Scurati

In un’intervista per L’Espresso del 1979, relativa al suo testo principale Furio Jesi definisce la cultura di destra come “la cultura entro la quale il passato è una sorta di pappa omogeneizzata che si può modellare e mantenere in forma nel modo più utile”. Non solo Erodoto e Tucidide e Tito Livio e Tacito, ma anche gli eroi del risorgimento, i prigionieri dello Spielberg, la Piccola Vedetta Lombarda, tutti esempi, nomi, suggerimenti di un passato tanto glorioso quanto indistinto, anzi glorioso perché indistinto, non dialettico, agiografico ed apologetico. E ancora: “la cultura in cui si dichiara che esistono valori non discutibili, indicati da parole con l’iniziale maiuscola, innanzitutto Tradizione e Cultura ma anche Giustizia, Libertà, Rivoluzione. Una cultura, insomma, fatta di autorità, di sicurezza mitologica circa le norme del sapere, dell’insegnare, del comandare e dell’obbedire.

Stiamo parlando esattamente della filosofia di fondo delle nuove Indicazioni Nazionali, un testo che, contrariamente a quanto potremmo immaginare, è stato molto pensato e curato dagli autori, ne è testimonianza non solo l’estensione doppia rispetto alle precedenti ma anche un linguaggio volutamente semplice e piano. Ciò che emerge, in particolare dalle indicazioni relative alle materie umanistiche, è la spinta al ritorno alla “bella scuola di una volta”, quella che costituisce, in maniera totalmente acritica e immotivata, quindi reazionaria, il fondamento pedagogico del testo, o quantomeno dei contenuti proposti. Ma attenzione: la cultura di destra non è solo di destra. Ancora Jesi, sempre nell’intervista: “la maggior parte del patrimonio culturale, anche di chi oggi non vuole affatto essere di destra, è residuo culturale di destra. Nei secoli scorsi la cultura custodita e insegnata è stata soprattutto la cultura di chi era piú potente e piú ricco, o piú esattamente non è stata, se non in minima parte, la cultura di chi era piú debole e piú povero. È inutile e irragionevole scandalizzarsi della presenza di questi residui, ma è anche necessario cercare di sapere da dove provengano.”

Ecco quindi spiegata quella strana assonanza tra le parole del mondo liberal in piazza per armare l’Europa il 15 Marzo e questo testo. Uno Scurati che si chiede sulle pagine del principale quotidiano progressista italiano “Dove sono finiti i guerrieri d’Europa?”, un Vecchioni che si lascia andare ad un elenco, ancora una volta un elenco, di grandi nomi del pensiero occidentale, nel momento stesso in cui pescano nel patrimonio culturale, come se fosse qualcosa di oggettivo, dato, e non qualcosa da mettere costantemente in discussione, fanno un’operazione marcatamente di destra, anzi peggio, si rendono complici – per rispetto della loro intelligenza non possiamo che ritenerli consapevoli – della destra.

Che fare?

Regola n. 1: non piangersi addosso. Questa è la reazione della falsa sinistra perbene, liberal, ogni volta che l’avversario mette a segno un colpo. Piangere e buttarla in caciara. Quello che dobbiamo fare noi invece è leggere, studiare, difenderci e contrattaccare.

Innanzitutto smettendola di cullarsi sulla presunta egemonia culturale della sinistra. L’abbiamo vista alla prova di recente, in un contesto diverso, quando abboccava senza battere ciglio alla fake news dell’internazionale di destra sull’identità sessuale e di genere di Imane Khelif (cfr. Repubblica che la descriveva tranquillamente come intersex quando non è mai stato vero: https://www.repubblica.it/politica/2024/08/02/news/algeria_reazioni_imane_khelif_carini- 423427088/).

L’egemonia culturale della sinistra, se è esistita, non esiste più. Lo ha certificato la piazza di Michele Serra, strabordante di interventi della sinistra con l’elmetto, e lo certificherà la debole se non assente risposta al possente lavoro culturale messo in atto dal Ministero dell’Istruzione e del Merito. Un lavoro con l’acceleratore che ha già fatto passare la stretta sul comportamento dei dipendenti, le nuove linee guida sull’educazione civica, a breve le indicazioni nazionali, il codice etico, e per condire il tutto il divieto di usare simboli, come asterischi e schwa, che già nessuno usava. Tutti provvedimenti che reprimono il dissenso e mobilizzano la controparte, pronta a scagliarsi contro i loro nemici feticcio (cultura gender, multiculturalità, antirazzismo etc) col vero obiettivo di cancellare libertà e democrazia nelle scuole e negli spazi culturali tutti. Di fronte a questo attacco non c’è nulla da sottovalutare, non c’è ironia né senso di superiorità che salvi, c’è da rimboccarsi le maniche e difendersi, culturalmente, tenendo punto su punto all’attacco in atto, e praticamente, quando questi documenti apparentemente innocui (sì, ma chi vuoi che se ne importi, tanto in classe ci sono io…) si trasformeranno in controllo sui contenuti, sui libri di testo, e in sanzioni disciplinari. La controparte è solo all’inizio della battaglia e abbiamo tutti gli strumenti per fermarla, ma è necessario entrare in gioco, con serietà e determinazione. Non si fermeranno da soli.

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