di Potere al Popolo – Lucca
Giovedì scorso, Andrea Marcucci, capogruppo del PD al Senato, ha rilasciato una dichiarazione alle agenzie di stampa per criticare il suo alleato di governo, l’ex no vax Matteo Salvini, che aveva annunciato di aver incontrato l’ambasciatrice dell’India in Italia per discutere – non si sa a che titolo e per conto di chi – della questione vaccini.
“Le forze politiche di questa maggioranza – ha scandito Marcucci – devono esprimere appoggio incondizionato a tutte le iniziative istituzionali, incluse quelle del ministro Giorgetti, per arrivare a produzioni nazionali”.
Non ci sarebbe nulla di strano in questa presa di posizione – anzi, noi di Potere al Popolo Lucca crediamo sia auspicabile una produzione pubblica nazionale – se non fosse che tra le aziende farmaceutiche nazionali impegnate nella ricerca anti Covid, figura anche la Kedrion biopharma, colosso degli emoderivati (nel 2019 ha fatturato 800 milioni di euro), attiva anche nel settore dei vaccini, di proprietà della famiglia Marcucci.
Andrea Marcucci oltre al ruolo di parlamentare, ricopre infatti importanti incarichi in società riconducibili alla galassia familiare.
Come riportato dal Sole 24 ore nel 2018, “È consigliere delegato di Sestant investimenti srl e di Sestant internazionale spa, le due holding finanziarie di famiglia in Italia e all’estero. Di Kedrion Marcucci è consigliere ai conti e in passato ha ricoperto il ruolo di amministratore delegato dell’azienda farmaceutica di famiglia per circa dieci anni, fino al 2006. Ai sei incarichi societari di Andrea Marcucci in Italia” (oltre alle due Sestant, Kedrion, Il Ciocco spa e Shaner Ciocco srl, anche la real estate Maggiore) vanno sommati i cinque all’estero, sempre in ambito farmaceutico”. (Il sole 24 ore, 7/04/2018)
La Kedrion – che si occupa della lavorazione del plasma per realizzare plasmaderivati in conto lavoro per il Servizio sanitario nazionale, a partire dalle donazioni di sangue e plasma raccolti su tutto il territorio – nel maggio scorso fu al centro di polemiche per la questione della cosiddetta terapia anticovid del plasma iperimmune. Il Policlinico Carlo Poma di Mantova aveva avviato e chiuso una prima fase di sperimentazione su 49 pazienti Covid che stava dando risultati promettenti. L’Istituto Superiore di Sanità e l’Aifa (l’Agenzia italiana del farmaco) designarono però l’azienda ospedaliera universitaria di Pisa come capofila del progetto e a quel punto scoppiò un putiferio. Il professor Giuseppe De Donno, pneumologo di Mantova, contestò duramente la scelta, anche nel corso di un’audizione al Senato, facendo riferimento al fatto che la decisione di assegnare il progetto a Pisa dipendesse da una questione politica.
Nella stessa audizione al Senato, l’intervento di De Donno fu preceduto dal presidente di Farmindustria che, alla fine del suo discorso, lasciò inaspettatamente la parola – dato che l’intervento non era previsto – a Paolo Marcucci, fratello di Andrea, all’epoca amministratore delegato di Kedrion (ora è presidente dell’azienda). Paolo Marcucci – come riportano i resoconti usciti sulla stampa – affermò che la sua azienda aveva “fornito gratuitamente i kit necessari per l’inattivazione virale del plasma” accompagnando “tutte le sperimentazioni in corso sul plasma iperimmune”. “Gli esiti della sperimentazione si annunciano promettenti – disse – e le Regioni stanno avviando campagne di arruolamento per avere scorte di plasma”.
Poi descrisse la seconda fase che, con l’assenso dell’Aifa, avrebbe potuto far capo alla sua azienda, ovvero quella della produzione industriale: “Mettiamo a disposizione il nostro stabilimento di Sant’Antimo a Napoli – continuò il fratello del senatore Pd – per raccogliere il plasma dei donatori italiani e in conto lavorazione restituirlo standardizzato a titolo di anticorpi”. Secondo Paolo Marcucci, il processo avrebbe potuto portare alla produzione di plasma per quattro anni “così da evitare di eseguire l’inattivazione virale nei singoli centri: un processo artigianale, costoso e ancora in fase di sperimentazione”.
È da sottolineare che il professor De Donno, interrogato sullo stesso tema, sostenne l’esatto contrario, ossia che la terapia non fosse per niente costosa: all’incirca 82 euro a sacca.
Marcucci espresse anche un auspicio: che “dopo aver lavorato con Regione Lombardia, Veneto, Toscana e Campania, il progetto possa diventare nazionale”.
Il presidente di Kedrion individuò anche un processo successivo che avrebbe dovuto concludersi con un prodotto industriale entro sei mesi, grazie alla partnership siglata con l’azienda israeliana di biotecnologie Kamada.
Ad oggi non si hanno aggiornamenti sullo stato del progetto, ma la vicenda è comunque emblematica e la dice lunga sul miscuglio tra affari e salute e tra questioni politiche e questioni aziendali in un settore così importante e delicato.