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La vita indipendente

di Giacomo Di Foggia

La società è formata da individui interconnessi e interdipendenti ma non tutti hanno pari possibilità alla vita indipendente e a vivere a pieno la propria vita. Il DPI – Disabled Peoples’ International – Europe definisce “interindipendenza” la reale interazione con la società e le persone, in forma di reciproca dipendenza, interscambio e reciprocità, sia negli ambienti sociali che in quelli privati. D’altronde, le disabilità sono molteplici e sono eterogenee le diverse abilità: una distinzione macroscopica è tra disabilità motorie e disabilità cognitive e, all’interno di questi due gruppi, le sfumature sono moltissime quante le diagnosi, le cause, gli effetti, le necessità e soprattutto le individualità e le storie di vita.

La Vita Indipendente è un diritto sancito all’articolo 19 della Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità, adottata dal Parlamento Italiano con legge n. 18 del 3 marzo 2009: si tratta di promuovere la de-istituzionalizzazione dei servizi a chi ne ha bisogno, lo Universal Design, il diritto all’autonomia e l’abbattimento di qualsiasi tipo di barriera architettonica o sociale, ovvero applicare l’articolo 3 della Costituzione. Il Manifesto Della Vita Indipendente, elaborato nel 1996, afferma che: «per le persone con disabilità, la Vita Indipendente è il diritto di poter vivere proprio come chiunque altro. Avere la possibilità di prendere decisioni riguardanti la propria vita e di svolgere attività di propria scelta, con le sole limitazioni che hanno le persone senza disabilità». Vita Indipendente significa la combinazione di vari aspetti ambientali e individuali che consentano alle persone disabili di avere il controllo della propria vita, come per esempio avere l’opportunità di scegliere dove vivere, con chi e come.

Ciascuna persona con disabilità deve essere individualmente ascoltata affinché ottenga eventuali ausili, strumenti e risorse che ne permettano la maggiore autonomia e indipendenza possibili. Per questo urge superare l’utilizzo di politiche assistenzialistiche, (dove le persone disabili hanno un ruolo passivo) per renderle soggetti attivi, integrati e risorsa essenziale per se stessi e per gli altri.

Affrontare nell’attività quotidiana il tema della disabilità e della Vita Indipendente, è un elemento decisivo per costruire una società egualitaria, inclusiva e solidale. L’obiettivo è l’autodeterminazione. Nel concreto, si tratta di promuovere politiche di de- istituzionalizzazione e di promozione dei Servizi basati sulle comunità, lo Universal Design, il diritto all’Assistenza Personale, il cosiddetto accomodamento ragionevole e la realizzazione di una legge per l’assistenza sessuale, tenendo sempre a mente lo stato di salute individuale secondo un modello biopsicosociale.

De-istituzionalizzazione è un processo politico e sociale di spostamento da un modello di cura presso istituti e altre ambientazioni isolanti e segreganti verso quello della Vita Indipendente: significa che a una persona che si trova in un istituto viene data l’opportunità di diventare un cittadino a pieno diritto e di assumere il controllo della propria vita con il supporto necessario. Per il processo di de-istituzionalizzazione è essenziale tanto disporre di alloggi convenienti e accessibili, di servizi pubblici, dell’assistenza personale e del “consulente alla pari”, quanto combattere i ghetti, i gruppetti segreganti, le istituzioni emarginanti come le residenze sanitarie assistenziali (RSA), i centri “ex articolo 26”, le classi speciali e i progetti ad hoc, la cui esternalizzazione ha favorito troppo spesso gli interessi privati delle cooperative e dell’associazionismo sociale a scapito delle finalità pubbliche e collettive. Per esempio, bisogna assicurarsi che i bambini con disabilità crescano con le proprie famiglie, con i vicini e gli amici, integrati nella comunità e non siano segregati negli istituti, promuovendo così la cultura alle diversità nell’intera società.

Lo sviluppo di Servizi basati sulle comunità consiste in misure politiche per rendere tutti i servizi (la casa, l’istruzione, i trasporti, la sanità, gli esercizi commerciali, i cinema, i teatri ecc.) disponibili e accessibili per le persone disabili in ambienti ordinari. Le persone disabili devono poter accedere ai servizi ordinari e avere l’opportunità di vivere come cittadini uguali agli altri. Le comunità devono eliminare la necessità di servizi speciali e segregazionisti, come gli istituti residenziali, le scuole speciali, gli ospedali di cura a lunga degenza, la necessità di i trasporti speciali e così via: sono i servizi ordinari a dover diventare universalmente accessibili.

Come d’altronde previsto dalla Convenzione, si tratta di promuovere la completa accessibilità dei luoghi pubblici e privati, dando attuazione alle norme già esistenti che devono godere di adeguata e periodica copertura finanziaria. Il concetto di Universal Design indica luoghi “pensati” per essere accessibili a tutti, sin dalla loro fase di ideazione e progettazione, senza interventi successivi per rimuovere barriere architettoniche.

Diritto all’Assistenza Personale significa diritto ad assegnazioni di contributi economici destinati alle persone disabili, lo scopo dei quali è quello di pagare per ogni assistenza necessaria. Alle persone disabili deve essere garantito il diritto di assumere, formare e gestire i propri assistenti e di scegliere il tipo di assunzione che soddisfa meglio i bisogni personali di ciascuno. Il servizio di “Assistenza domiciliare indiretta” prevede l’erogazione di un contributo economico per l’autogestione dell’aiuto personale, mediante l’instaurazione di un rapporto di lavoro con un operatore di fiducia dell’utente, ovviamente nel rispetto della

normativa vigente (Legge 21 maggio 1998, n. 162). Il contributo economico erogato ha un tetto massimo, stabilito in base alle possibilità finanziarie del Comune di residenza. La ricerca dell’Assistente Personale è un’attività attualmente legata alla libera iniziativa della persona con disabilità, soprattutto se questa ha una certa sicurezza delle proprie capacità/bisogni. La ricerca può essere fatta in completa autonomia o attraverso soggetti intermediari, che aiutano la persona con disabilità ad individuare colui o colei che risponde alle caratteristiche richieste.

Questo aspetto viene talvolta fortemente osteggiato! La cosiddetta “Assistenza domiciliare indiretta” viene criticata – sempre e unicamente da persone abili e normodotate – per due ragioni principali. Una di matrice “ideologica”, per cui, secondo la tradizione cattolica tanto dura a morire in Italia, il disabile è un malato di cui farsi carico con misericordia; un’altra puramente venale, poiché erogando fondi direttamente e saltando così la mediazione di terzi, si priva di un ingente fonte di reddito il sistema delle coop storicamente vicino alla Sinistra.

Di solito ci si oppone con l’alibi dei diritti dei lavoratori, spesso utilizzando lo sgradevolissimo termine “badantato” per sottolineare come siano troppo spesso terribili e infami, e davvero lo sono, le condizioni di lavoro di tante persone, spesso straniere, che si prendono cura delle persone non autosufficienti. L’obiezione non ha alcun senso. Intanto perché con l’incremento economico pubblico si prevede ovviamente una proporzionalmente maggiore attenzione pubblica alle condizioni di lavoro degli operatori: si pretenderebbero un coinvolgimento e una responsabilizzazione crescenti da parte dei funzionari pubblici locali responsabili (assistenti sociali, medici e operatori delle Asl ecc.). Necessariamente un maggiore coinvolgimento pubblico porterebbe alla luce la grande quantità attuale di lavoro nero e sommerso. Erogare direttamente alla persona disabile, e/o alla sua famiglia, i fondi di cui ha bisogno per gestire la propria assistenza, significa certamente mettersi al pari del resto dei sistemi europei: riconoscere il lavoro usurante e alienante dei “care giver” e riconoscere il diritto all’autodeterminazione dei cittadini e delle cittadine disabili e non autonomi secondo le loro necessità. Inoltre significa anche che gli Enti Locali, insieme agli organi sindacali, possono stabilire contratti, imporre stipendi minimi, valutare carichi e orari di lavoro massimi, combattere il lavoro nero, avere maggiori strumenti per bilanciare diritti e doveri, risparmiare sui servizi sanitari migliorando le condizioni di vita nella società dei disabili e dei loro operatori.

Per il modello biomedico la malattia deve essere trattata come entità indipendente dal comportamento sociale, tenendo conto delle deviazioni comportamentali attraverso processi somatici, enfatizzando così la funzione del medico e una visione passiva del paziente. Per il

modello biopsicosociale la valutazione dello stato di salute di un individuo, invece, viene contestualizzata all’interno dell’ambiente psicosociale, attraverso un approccio sistemico. Tale approccio sottolinea la complessità della salute, valorizzando l’importanza dell’interdisciplinarità. Tale approccio si orienta verso la salute globale promuovendo la salute intesa come realizzazione di sé, attribuendo importanza alla prevenzione, e considerando vari livelli di analisi del paziente, gestendoli in associazione ai vari ruoli professionali nel campo medico. Di conseguenza, le politiche dello Stato e degli Enti Locali e ogni forma di intervento sul tema della disabilità devono partire dall’approccio, come indicato nella Convenzione Onu, che considera la disabilità in rapporto a un particolare contesto sociale e culturale. L’attenzione non deve concentrarsi esclusivamente sugli aspetti clinici ma anche sugli aspetti psicologici, sociali, familiari della persona, fra loro interagenti e in grado di influenzare la qualità della vita della persona e il godimento dei suoi diritti fondamentali. A tal fine, le politiche dello Stato, a tutti i livelli, vanno ripensate in funzione delle persone con disabilità non con un approccio settoriale e specifico, ma in un’ottica globale e multidisciplinare. All’interno di ogni Ministero e di ogni Assessorato è necessario individuare commissioni o figure specifiche che si occupino di politiche sul tema delle disabilità e della Vita Indipendente relative a quello specifico e settore e promuovere tavoli interministeriali o inter-assessorili (solo un esempio: al Ministero, o agli assessorati, al turismo, pensare a politiche di turismo sostenibile e accessibile per tutti; al Ministero e agli assessorati alla Cultura, riflettere sul diritto alla fruizione dei siti culturali).

Il concetto di “accomodamento” comprende tutti gli aspetti dell’accessibilità complessiva dell’ambiente di vita e di lavoro, della ri-progettazione individualizzata del posto di lavoro, dell’adozione di ausili tecnici utili a facilitare i compiti lavorativi, della riorganizzazione dei processi e dei flussi di lavoro e dell’eventuale supporto di assistenza personale. La “ragionevolezza” invece evoca il principio di “non costringere il Datore di Lavoro ad investimenti sproporzionati”. Ad oggi l’accodamento ragionevole non è contemplato in Italia da una legge specifica. Agli obblighi da parte dello Stato si accompagna anche il sostegno al principio di sussidiarietà, che già oggi vede famiglie, associazioni, gruppi, lavorare autonomamente per promuovere la Vita Indipendente delle persone con disabilità. Per esempio, se una famiglia vuole costruire a spese proprie una passerella di legno per favorire l’accesso in spiaggia alle persone con carrozzina, il Comune o l’ente pubblico in questione deve agevolare e sostenere l’azione ed evitare qualsiasi forma di intralcio burocratico. La Convenzione all’articolo 2 definisce l’accomodamento ragionevole come un insieme “delle modifiche e degli adattamenti necessari e appropriati che non impongano un onere sproporzionato o eccessivo, adottati ove ve ne sia necessità in casi particolari, per garantire alle

persone con disabilità il godimento e l’esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali”.

«Nulla su di Noi senza di Noi» è lo spirito con cui affrontare i temi della disabilità e della Vita Indipendente secondo un approccio libero da qualsiasi forma di assistenzialismo e pietismo, promuovendo il protagonismo delle persone con disabilità nelle scelte che riguardano la loro vita e quella della comunità e stimolando politiche attive che garantiscano il godimento dei diritti costituzionali e rendano effettivi i principi e i valori contenuti nella Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità.

 

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