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Israele Stato di Apartheid anche per la legge: e giù bombe su Gaza

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“Un uomo può nascere solo in un luogo. Tuttavia, può morire più volte in diversi luoghi: negli esili e nelle prigioni, e in una patria trasformata in un incubo dall’occupazione e dall’oppressione.”
Mahmoud Darwish

Come definire uno Stato che con una legge di rango “quasi-costituzionale” nega l’uguaglianza di tutti i cittadini e costruisce uno status di serie B per il 20% della sua popolazione? Che non considera più ufficiale la lingua parlata da quel 20% della sua popolazione, ma le attribuisce solo uno “status speciale”?
Se prima, almeno a livello formale, Israele era uno stato ebraico e democratico, dopo l’approvazione della legge sullo Stato-nazione ebraico, diviene lo “Stato della nazione ebraica”. È la patria di ogni ebreo nel mondo, anche di chi non ci vuole vivere, ma non quella del 20% della sua popolazione, quella arabo-palestinese. Si passa così dalla discriminazione de facto a una de jure. Ufficiale.
Subito dopo l’approvazione della legge, festeggiamenti alla Knesset. Ma poi il “duro” ritorno al “business as usual”. Incontro di Netanyahu con Orbàn, il primo ministro ungherese, oggi modello non solo per il nostro Salvini ma anche per il premier israeliano. E poi giù razzi su Gaza, con altri 4 morti ammazzati. Giusto per rinforzare un po’ la deterrenza, a 4 anni dal massacro di “Margine Protettivo”, l’aggressione israeliana che causò 2000 morti tra i palestinesi. Per fortuna, almeno per ora, è stato siglato un cessate il fuoco.

Intanto i nostri governi e l’intera UE continuano a celebrare Israele come l’unica democrazia del Medio Oriente (malgrado qualche timida e inutile dichiarazione formale).
Aprite le porte – ma non i porti! alla neo-lingua orwelliana.

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