Dopo l’uccisione del generale iraniano Suleimani e del capo delle milizie filo-iraniane al-Muhandis da parte degli Stati Uniti ad inizio 2020, le proteste in Iraq sembravano essersi placate. Invece il movimento popolare ha continuato ad organizzarsi. Com’è l’attuale stato delle cose nelle piazze di protesta irachene? Abbiamo intervistato Sami Adnan di Workers Against Sectarianism
(Articolo pubblicato originariamente in tedesco su analyse&kritik – Zeitung für linke Debatte und Praxis, Nr. 657 / 18.2.2020)
All’inizio dell’ottobre 2019, in Iraq sono esplose delle proteste che ad oggi sono ancora in corso. Il governo ha reagito con una violenta repressione, che ha già causato 500 morti. L’attivista iracheno Sami Adnan, del gruppo “Workers against Sectarianism”, si trova nell’occupazione di piazza Tahrir, a Baghdad. Sami Adnan è attivo da anni in iniziative di sinistra in Iraq e scrive come giornalista sul lavoro precario e sulla situazione dei disoccupati nel paese. L’intervista è stata condotta tramite e-mail tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio 2020. In questo periodo le proteste si sono di nuovo acutizzate, dopo che Mohammed Tawfik Allawi, in precedenza ministro delle comunicazioni, è stato nominato primo ministro contro la volontà dei manifestanti. Contemporaneamente, pure l’influente leader religioso sciita Muqtada al-Sadr ha chiamato a una fine delle occupazioni, a cui prendono parte anche suoi sostenitori. Alla fine, membri delle sue milizie hanno violentemente attaccato gli accampamenti dei manifestanti in tutto il paese, provocando diversi morti.
Sami, tu sei attivo nel gruppo Workers against Sectarianism. Ci puoi raccontare di più su questo gruppo? Perché per voi l’opposizione tra i lavoratori e il sistema confessionale sta in primo piano?
Noi vogliamo dare risalto alle attività e alle prospettive della classe lavoratrice in Iraq. Esistiamo già da un anno. Siamo circa 25 persone, tutti giovani e senza lavoro, e partecipiamo alle proteste contro lo stato iracheno. Il nostro scopo è di entrare in contatto con altre lavoratrici e lavoratori di tutto il mondo. Adesso abbiamo anche una tenda in piazza Tahrir, destinata in particolare a persone che non hanno un lavoro. Anche come disoccupati facciamo parte della classe lavoratrice. Siamo l’esercito di riserva, soprattutto per le diverse milizie religiose. È nostro interesse porre fine al sistema confessionale, perché danneggia enormemente la nostra classe. Veniamo utilizzati negli scontri tra milizie. La maggior parte dei morti nei combattimenti tra le milizie provengono dalla nostra classe. Non vogliamo che dei nostri amici si uniscano alle milizie solo perché hanno bisogno di soldi. È per questo che, tra le altre cose, chiediamo opportunità di lavoro e un sostegno alla disoccupazione.
Voi prendete parte all’occupazione di piazza Tahrir a Baghdad. Cosa è successo lì negli ultimi giorni?
All’inizio di gennaio l’Iran ha perso in Iraq due dei suoi leader in un colpo solo: il generale Qassim Suleimani, rappresentante dell’Iran nella regione, e il capo delle milizie filo-iraniane Abu Mahdi al-Muhandis. Come reazione alla loro morte, il capo delle milizie sciite Muqtada al-Sadr si è recato in Iran, dove ha incontrato l’ayatollah Khamenei e altre milizie irachene fedeli all’Iran. Al-Sadr è una figura popolare, la sua cosiddetta alleanza riformatrice Saairun ha 54 seggi nel parlamento iracheno. A questo proposito, bisogna dire che anche sostenitori di al-Sadr protestano in piazza Tahrir. Dopo il suo ritorno dall’Iran alcuni manifestanti hanno pensato che volesse seguire le orme di Suleimani e imporre la politica iraniana nella regione. Così, ad esempio, è stata chiamata una manifestazione contro la presenza delle truppe americane in Iraq. Dopo questa manifestazione al-Sadr ha chiesto che tutti si ritirassero dalle piazze in protesta del paese, il che ha fatto infuriare molte persone. Le attiviste e gli attivisti ci hanno visto un tradimento. Le manifestazioni in piazza Tahrir sono andate avanti con parole d’ordine contro al-Sadr e contro l’Iran. La gente ha cantato “né America, né Iran, la mia terra sarà libera” o “Muqtada è spazzatura, capo dei ladri”.
Come è andata avanti?
Dopo queste grandi manifestazioni, anche molti dei suoi sostenitori hanno deciso di abbandonare al-Sadr. I rivoltosi si sono presi gioco del suo appello alla resistenza contro gli USA. Dal 2003 l’Iraq è stato occupato dagli Stati Uniti, dall’Iran, dalla Turchia; sono state queste forze occupanti che hanno reso forte al-Sadr. Molti dicono che fino ad oggi al-Sadr e quelli come lui sono stati occupati a derubarci. E ora che ci vedono come uomini e donne uniti, che potrebbero minacciare la loro posizione, si sono risvegliati dal loro sonno. Poi è dal 24 gennaio che le truppe governative attaccano in tutto l’Iraq le piazze occupate. In piazza Tahrir è stata bruciata quasi la metà delle tende. Ma non sono riusciti a far terminare l’occupazione.
Quali sono le rivendicazioni degli occupanti?
Abbiamo un governo che ci uccide quando protestiamo pacificamente. Ci hanno preso la nostra ricchezza. Hanno distrutto il nostro sistema educativo, la nostra agricoltura e tutto quanto il resto. Per questo vogliamo la fine della corruzione e del sistema confessionale, la cessazione del dominio delle milizie. Vogliamo i servizi pubblici di base, elettricità, acqua, lavoro. Vogliamo i nostri prodotti locali, una buona agricoltura. Vogliamo un sistema secolare, per liberarci della politica islamista, e soprattutto di gente come al-Sadr e Hadi al-Amiri, il capo delle brigate sciite Badr, e di simili figuri. Vogliamo uno stato sovrano. Vogliamo che questi individui criminali e corrotti vengano condotti di fronte a un giudice per rendere conto di quello che hanno fatto. Vogliamo un nuovo sistema, in cui possiamo sentirci rappresentati, e anche la fine dell’inquinamento ambientale, particolarmente a Bassora [ndr: seconda città dell’Iraq, nel sud, dove gli effetti dell’estrazione di petrolio si fanno sentire in maniera particolarmente forte].
Puoi darci un’impressione della vita quotidiana nell’occupazione di piazza Tahrir?
Qui la maggior parte delle persone sono disoccupati, ma la loro identità non è definita da questo. Fanno riferimento a sé molto di più come intellettuali, giovani che vogliono cambiare il sistema. Oppure si definiscono lavoratori precari, o si riferiscono alla loro provenienza. Nella piazza ci sono circa 1.500 tende, di cui 200 abitate da attivisti “secolari” e di sinistra. Ci sono anche altre tende, per esempio quelle dei sostenitori di al-Sadr. In ogni tenda dormono 4-5 persone. Qui c’è tutto quello di uno ha bisogno per la vita quotidiana, tutto auto-organizzato: spazi per dormire, per mangiare, per fare il bucato, tende per dormire, Internet. C’è un ufficio per gli oggetti smarriti e una tenda-ospedale con dieci letti – addirittura infermieri e medici che aiutano i manifestanti e danno lezioni di primo soccorso. Guidatori di tuk-tuk lavorano come ambulanze. Nella piazza c’è anche una stazione radio, che dà notizie giornalmente dalle altre piazze occupate in Iraq. Poi ci sono anche scuole in cui insegnano professori e professoresse. Le persone fanno graffiti, ascoltano musica, ballano. C’è addirittura una nuova spiaggia: la spiaggia di Tahrir, dove gli occupanti giocano a volleyball. Inoltre ci sono continuamente iniziative nelle molte biblioteche. Molte persone discutono libri in circoli di lettura. Nella nostra tenda spieghiamo il sistema politico e l’economia: Perché siamo senza lavoro? Cos’è la banca mondiale? Cosa vuol dire privatizzazione? Come funziona la corruzione? Come funziona il sistema confessionale? Impariamo che siamo più vicini come lavoratori, che non come sunniti o sciiti. Discutiamo alternative al sistema dominante.
Come viene finanziato tutto questo?
Riceviamo da molte parti donazioni di denaro o di oggetti: da gente del vicinato, da iniziative della società civile, ma anche dalla diaspora irachena. Quelli di al-Sadr vogliono guadagnare influenza grazie alle loro donazioni, ma questi tempi sono finiti.
Guardiamo alle divisioni nella società irachena. Quali linee di faglia toccano in maniera immediata i manifestanti?
Le divisioni più importanti sono di natura confessionale e rimandano direttamente al sistema politico che gli Stati Uniti hanno imposto all’Iraq dopo l’occupazione, nel 2003. Questo sistema ci ha diviso in gruppi etnici e religiosi. Per esempio noi, nella mia famiglia, veniamo considerati come sunniti, ma al contempo molti di noi sono sposati con sciiti. Prima del sistema confessionale molti non sapevano proprio cosa volesse dire “sunnita” o “sciita”. Questo significa che, tra di loro, le donne e gli uomini non sono più di tanto divisi, ma è il sistema che li obbliga a farlo. La rivoluzione è un mezzo per lottare contro questa situazione, e nelle piazze ciò è molto visibile. I partiti politici islamisti sono sorti anche a partire dalle identità sunnite e sciite. I leader politico-religiosi hanno cercato di rafforzare il discorso divisivo delle confessioni. Ma nel frattempo non è neanche più importante porre l’accento sul rifiuto del pensiero confessionale, siamo oltre questo punto. Ci vediamo già come cittadine e cittadini. Ora si è molto più consapevoli, e i partiti politici islamisti si rendono ridicoli quando provano ancora ad agitare i loro discorsi divisivi – o, anche, quando provano improvvisamente a presentarsi come secolari. La gente non se la beve più.
Di che sostegno gode ancora il governo?
I sostenitori del governo sono i partiti politici islamisti e anche i nazionalisti kurdi. Ma non la società civile e neppure i clan, ovvero i raggruppamenti di famiglie più grandi, di cui molte persone hanno bisogno per la loro protezione materiale e che funzionano anche come fattori fondativi dell’identità. Si sono tutti schierati contro di loro. I partiti hanno molto denaro e molto potere, così possono mantenere in piedi il sistema. La banca mondiale dice che l’Iraq dal 2003 al 2018 ha fatto sparire 1.300 miliardi di dollari americani. Ma questi soldi sono stati fatti sparire dai partiti politici. Hanno arricchito sé stessi. È contro questo sistema che protestiamo da quattro mesi. È questo il sistema che deve cadere. Nena News
Rimandiamo all’intervista fatta a Sami Adnan lo scorso novembre Le proteste contro il sistema settario e per la giustizia sociale