
Il direttore dell’Istituto Invalsi Roberto Ricci ha anticipato al quotidiano di Confindustria il Rapporto Invalsi 2025. Secondo il focus “gli apprendimenti bassi non sono un prodotto delle classi numerose”. Anzi!
I dati sono riportati in modo che appaia strettamente correlato il numero degli alunni per classe con il livello di apprendimento: nelle scuole primarie, la percentuale di studenti con difficoltà si attesterebbe intorno al 52,4% per le classi con meno di 20 alunni, mentre scenderebbe al 45,6% per quelle con oltre 25 studenti. Nella scuola secondaria di primo grado troviamo più o meno la stessa situazione.
A prima vista dunque, l’Invalsi ci sta dicendo che non solo non ha senso ridurre il numero di studenti per classe. Ma che al contrario perché gli studenti vadano bene a scuola serve accorpare le classi e aumentarne la numerosità!
Sarà contento il Ministro Giorgetti il cui piano, espresso fumosamente durante l’ultima audizione in Parlamento, è semplice: ridurre il numero di classi (e quindi di docenti stipendiati dal Ministero), accorpandole, in modo da seguire il trend del calo demografico, e liberare risorse per alimentare clientele, far pagare meno tasse a professionisti e imprenditori già ampiamente coccolati dal Governo e accontentare le richieste militari della Nato e di “Daddy” Donald Trump. Già con l’ultima manovra e il dimensionamento scolastico, si sono persi 5.660 posti di insegnanti e 2.174 di personale ATA.
I dati su cui questa manovra si basa però sono stati cucinati dall’esperto Ricci. Guardando dentro i dati si scopre infatti che classi più numerose infatti si trovano nei centri in particolare al centro-Nord, mentre quelle più piccole si trovano al Sud, dove, a causa del contesto socio economico svantaggiato, gli studenti hanno un rendimento scolastico più basso. Se 2 più 2 fa 4, non è il basso numero di studenti per classe, ma sono il background familiare e il contesto socio economico a influire sul rendimento scolastico.
Anche perché chiunque si sia seduto dietro una cattedra o abbia vissuto gli anni del Covid sa benissimo che, a parità di contesto, nelle classi piccole si lavora meglio che nelle classi numerose, e che andrebbe ridotto e non ampliato il tetto massimo di alunni per classe.
Peraltro gli accorpamenti di cui parla Giorgetti sulla carta sono del tutto impossibili in alcune realtà dove le scuole sono molto distanti tra di loro. In territori già martoriati dall’emigrazione, dall’assenza di prospettive lavorative e dal crollo demografico, chiudere le scuole vuol dire eliminare un importante elemento di tenuta sociale.
Per migliorare l’apprendimento e ridurre la dispersione scolastica, sono altre le politiche strutturali che andrebbero introdotte. Ma non sarà certo il Governo dell’autonomia differenziata e del riarmo a portarle avanti. Per ora, non fidiamoci dei di chi cucina i dati ad uso e consumo del potere.