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TASSA SUGLI EXTRAPROFITTI: UNA SUPERCAZZOLA CHE NON CAMBIA LA LINEA ECONOMICA DEL GOVERNO MELONI

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#extraprofitti: lo avevamo detto un anno fa, durante la campagna elettorale (link nel primo commento) e puntualmente si è verificato. Le banche hanno accumulato enormi profitti dovuti all’aggressivo rialzo dei tassi di interesse da parte della BCE, in un paese come l’Italia dove vige un oligopolio degli istituti bancari e una scarsa informazione finanziaria tra la popolazione. Per intenderci, la sola Intesa San Paolo, da gennaio ad oggi, ha fatto registrare un aumento degli utili dell’80%, con dividendi pari a 3 miliardi.

Oggi il Governo, su pressione di un Ministro delle Infrastrutture tal Matteo #Salvini che cerca di ridare un accento “sociale” a un Governo dimostratosi finora estremamente liberista e antipopolare, ha deciso di introdurre una tassa sugli extraprofitti delle banche.

Sul piano simbolico la misura ha una sua efficacia: nessuna maggioranza negli ultimi decenni – né quelle di destra, né quelle Pd/M5s/Leu – aveva avuto l’ardire di attaccare le banche italiane. Il Governo #Meloni, che rischia di essere identificato solo con lo stop al reddito di cittadinanza e con l’opposizione a una misura estremamente popolare come il salario minimo, può adesso sventolare un po’ di retorica antiborghese.

Non saremo certo noi ad opporci ad una tassa sugli extraprofitti. Per valutarne l’efficacia bisogna però bisogna guardare alla sostanza del provvedimento, che rischia di recuperare poco denaro, di toccare solo una parte degli extraprofitti e di risolversi in una distribuzione verso l’alto dei proventi di questa operazione.

Ecco alcuni dubbi nel merito del provvedimento:

  • Per come è pensata questa tassa sugli extraprofitti frutterà poco, perché si tassa solo il Margine di Intermediazione e non le altre voci che producono profitto: se tutto va bene, la tassa straordinaria frutterà 2 miliardi – 2 miliardi e mezzo, circa il 12% degli utili. Dopo il crollo dei titoli bancari in borsa, il Mef è infatti dovuto correre ai ripari annunciando che il prelievo non potrà superare lo 0,1% del totale attivo e rassicurando così gli istituti bancari.
  • L’inflazione ha prodotto utili da capogiro in molti altri settori, dal lusso, all’energia, alla meccanica, alla logistica che hanno avuto crescite degli utili simili a quelli del settore bancario. Perché non tassare anche gli extraprofitti delle compagnie energetiche che hanno speculato sul prezzo del gas? Perché non tassare anche l’industria farmaceutica che ha fatturato cifre da capogiro negli ultimi tre anni? Perché alla fine questa tassa serve come spot pubblicitario al Governo, non per operare una vera redistribuzione.
  • Tassando il solo margine di intermediazione, ovvero la differenza tra i proventi dei finanziamenti alla clientela e la remunerazione dei conti correnti, e non anche le altre fonti di ricavo finanziario, e in assenza di altri vincoli, il Governo induce le banche, in un momento di rallentamento economico, a ridurre i prestiti erogati, ottenendo in cambio solo pochi spiccioli. Anche per questo il provvedimento rischia di avere un effetto puramente demagogico e ben poco reale.
  • Proprio perché scritta male, e poiché in Italia nel settore del credito vige di fatto un oligopolio, tutte le banche proveranno a scaricare la tassa sia sui clienti, attraverso l’aumento delle commissioni, sia sui lavoratori e lavoratrici del comparto, in occasione del rinnovo del CCNL. Che tipo di contromisure ha previsto il Governo, ad esempio, a sostegno dei salari dei lavoratori e del loro potere d’acquisto? Spoiler: nessuna.
  • E infine: non sappiamo per cosa verranno destinati i proventi della tassa sugli extraprofitti, su questo il governo è molto vago. Si parla di mutui sulla prima casa. Bene, ma si parla anche di riduzione del carico fiscale e del cuneo fiscale. Il rischio è che si vadano a ridurre le tasse per chi ha di più, vista anche la legge delega di riforma fiscale, e si utilizzino nuovamente soldi pubblici per impedire che siano i padroni a pagare i dovuti aumenti salariali, visto il crollo dei salari reali dovuto all’inflazione. Una redistribuzione già misera e che rischia di essere tutta interna alle classi abbienti;
  • Allarghiamo lo sguardo per comprendere come ragiona il Governo e “chi paga” in questo paese: Meloni e Salvini annunciano un provvedimento più simbolico che sostanziale sulle banche, ma calano letteralmente le braghe con i concessionari degli stabilimenti balneari, cui si vorrebbe concedere “in perpetuo” o quasi lo sfruttamento delle spiagge, per pochi spicci. Pensiamo al Twiga di Briatore e Santanché, che a fronte di una concessione di 17mila euro annui fattura 4 milioni di euro, a detta dello stesso Briatore. Tanto che lo stato, dai concessionari, guadagna oggi poco meno di 100 milioni di euro a fronte di decine di migliaia di concessioni balneari.

Si tratta insomma di un Governo che è espressione diretta della piccola borghesia reazionaria, che abbaia contro “banche e multinazionali”, ma che in fondo è costretta a rinegoziare con loro i limiti del proprio raggio d’azione. E il cui scopo principale è quello del mantenimento dello status quo, scaricando i costi del mantenimento dei propri piccoli margini di profitto e privilegio, sulle spalle di lavoratori e lavoratrici.

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