C’era una volta una bella campagna, che circondava, a sud-est, il grande monastero di Sant’Eufemia. Era una campagna fertile, ma non solo. Dal 1300, infatti, si cavavano la ghiaia e la sabbia destinate alla realizzazione delle strade e dei pochi edifici che allora si costruivano.
Nel corso degli anni, la popolazione di questa zona crebbe e, all’inizio del Novecento, venne aperto un cotonificio che dava lavoro ad una sessantina di persone.
Le attività di escavazione continuavano in tutta la zona: i vecchi del quartiere ricordano che, prima dell’introduzione dei mezzi meccanici, la ghiaia cavata veniva spesso trasportata con carriole, e molte erano le cave, anche piccole.
Della loro esistenza resta una traccia visibile. Se, partendo da via Fiorentini, percorri via Arici, vedrai che le case sul lato sinistro della via sono state edificate qualche metro sotto il livello del suolo. Quella era, più o meno, la profondità delle cave.
Per soddisfare la richiesta e riempirsi il portafoglio, i cavatori cavavano sempre più in profondità. Servivano molti camion per trasportare il materiale. E ne servivano ancora di più alla grande fabbrica aperta a metà degli anni cinquanta del Novecento, a ridosso delle antiche case e delle antiche cascine: camion in entrata trasportavano i rottami ferrosi e camion in uscita trasportavano i prodotti finiti.
Non si pensava alle conseguenze della devastazione ambientale: erano gli anni del boom economico.
Le città crescevano ed, in parallelo, cresceva la produzione dei rifiuti.
Dove metterli?
Le grandi buche, eredità dell’escavazione, sembravano essere il ricovero ideale per tutti i tipi di rifiuti. Ed i cavatori, che già si erano arricchiti, trovarono il modo di arricchirsi ancora di più, interrando rifiuti, aiutati dalle autorizzazioni degli enti locali e dal silenzio degli enti di controllo. Nelle cave di San Polo e Buffalora vennero interrati rifiuti di tutti i tipi, compresi i veleni trasportati dalla tristemente nota nave Karen B. Negli stessi anni, la grande fabbrica, come altre grandi fabbriche della provincia, accoglieva rottami ferrosi radioattivi. Poi qualcuno si accorse che le persone, a San Polo, si ammalavano più che in altre zone della città.
Nacque tra gli anni ’80 e gli anni ‘90 un primo comitato di cittadini, che chiedeva la chiusura di una delle aziende che ammorbavano il territorio, la Bonomi Metalli. Nacque poi un secondo comitato, che chiedeva più controlli nella grande fabbrica e che cominciò, pazientemente, a mappare le criticità ambientali.
Nel 2007, tra squilli di trombe ed auto-celebrazione delle istituzioni locali, venne inaugurato il quartiere di Sanpolino, un quartiere ecosostenibile, senza gas, con pannelli fotovoltaici e case ben isolate.
Alcuni dei nuovi abitanti vennero a sapere che molte erano le nocività che assediavano il quartiere (dal cesio 137 dell’ex cava Piccinelli alla realizzanda discarica di amianto di via Brocchi).
Decisero di far sentire la loro voce: nacque così, nel 2009, il comitato spontaneo contro le nocività. Nel mese di luglio, una donna, attivista del comitato, fermò, con il proprio corpo, l’avanzare di una ruspa che lavorava per l’approntamento della discarica di amianto: ebbe inizio un presidio permanente che, di fatto, bloccava l’accesso al cantiere e che fu sgomberato soltanto con l’intervento della forza pubblica sette mesi dopo.
Le azioni del comitato mirate a bloccare la realizzazione della discarica di amianto, culminate con lo sciopero della fame a staffetta davanti al Palazzo Loggia nel 2012, proseguirono fino all’estate del 2015, quando, durante un presidio di 48 ore allestito davanti all’ingresso della discarica, seppero che il cavatore intendeva rinunciare al conferimento dell’amianto, intenzione ufficializzata poi nel 2016.
Gli attivisti del comitato spontaneo contro le nocività potevano festeggiare, dopo 7 anni di lotta che non aveva trascurato alcun mezzo (dalla raccolta delle firme –più di 3000- ai flashmob ai cortei ai ricorsi al TAR, ai volantinaggi informativi, alle assemblee pubbliche, ai pranzi ed alle cene di autofinanziamento, allo sciopero della fame), ma sapevano di aver vinto soltanto una battaglia.
L’obiettivo era la realizzazione del Parco naturalistico delle Cave (un’area di circa 4,5 milioni di metri quadrati), perché bonificare i veleni che avevano contaminato la zona sud est della città e salvaguardare quanto la Natura si stava, a fatica, riprendendo, significava salvaguardare anche la salute di tutti i cittadini.
Ma la giunta di centrosinistra, guidata da Emilio Del Bono, la pensava diversamente e decise di fare ulteriori regali ai cavatori, ed i regali, in casi come questo, hanno ricadute pesanti sull’ambiente e sulla salute di noi tutti : mq di area parco in cambio di migliaia di mq edificabili. Al cavatore venne addirittura data la possibilità di edificare una casa di riposo a poche centinaia di metri da un’azienda a rischio di incidente rilevante. Questa azienda tratta rifiuti tossico nocivi e l’eventuale evacuazione di una casa di riposo nelle sue vicinanze comporterebbe grossissimi problemi per l’incolumità degli stessi ospiti…
La giunta, rispetto all’area acquisita dal cavatore, ha sempre dichiarato che sono state eseguite decine di controlli e carotaggi, così, nell’aprile del 2018, sempre in pompa magna e con grande auto-celebrazione, è stato ufficialmente inaugurato il primo pezzo del Parco delle Cave.
A distanza di pochi mesi dall’inaugurazione, nonostante controlli e carotaggi, sono stati rinvenuti rifiuti contenenti amianto, la cui presenza, all’interno del Parco, non era stata segnalata. Il Comune si è degnato di chiudere l’area limitrofa al rinvenimento soltanto a distanza di più di 2 settimane dalla segnalazione del comitato spontaneo contro le nocività.
Nel frattempo i cittadini hanno passeggiato, corso, portato a spasso i loro cani a pochi metri da un materiale molto pericoloso.
Il comitato ha depositato un esposto in Procura, per chiedere che vengano accertate le responsabilità.
Come mai, nonostante i controlli, c’era amianto nel parco, chi ce l’ha messo e da quanto tempo giaceva lì? Da quanto il Comune di Brescia ne era a conoscenza? Perché l’area non è stata adeguatamente isolata?
C’era una volta una bella campagna. Poi è arrivato chi nella bella campagna vedeva solo un’occasione per arricchirsi. E sapeva accordarsi con chi governava. Ma la storia non è ancora finita. E, come nei finali che si rispettano, ci auguriamo che vincano i buoni!