post voto

Collettivo Palestina Rossa

Un tempo in Italia tra lavoratori, attivisti e comunisti viveva un vocabolario dentro cui ci si riconosceva e ci si comprendeva…poi venne l’89 ed il ’91 e successivamente altre crisi internazionali a cui non si è stati capaci di reagire in maniera adeguata.

Il Capitale ed i suoi uomini, la stampa, i media in generale e certa “sinistra” hanno cancellato quel vocabolario imponendo quello proprio e monopolizzando il linguaggio, il luogo del vivere.

Nel 2003 Luigi Pintor scriveva sul giornale Il Manifesto: “La sinistra italiana che conosciamo è morta. Non lo ammettiamo perché si apre un vuoto che la vita politica quotidiana non ammette. Possiamo sempre consolarci con elezioni parziali o con una manifestazione rumorosa. Ma la sinistra rappresentativa, quercia rotta e margherita secca e ulivo senza tronco, è fuori scena. Non sono una opposizione e una alternativa e neppure una alternanza, per usare questo gergo. Hanno raggiunto un grado di subalternità e soggezione non solo alle politiche della destra ma al suo punto di vista e alla sua mentalità nel quadro internazionale e interno. Non credo che lo facciano per opportunismo e che sia imputabile a singoli dirigenti. Dall’89 hanno perso la loro collocazione storica e i loro riferimenti e sono passati dall’altra parte”.

Purtroppo oggi, dopo 15 anni, su quel giornale si parla ancora di sinistra avendo dimenticato quelle parole,  e che oggi le persone sono quelle di 15 anni fa, ed in questo senso si capisce bene la loro censura verso una sinistra, che con fatica sta emergendo in maniera significativa a partire dalla lista Potere al Popolo.

Dal novembre 2017 è stato detto, ridetto e precisato fino allo sfinimento: le elezioni sono solo l’inizio. Sono una sfida, la prima tappa di un progetto più grande, di aggregazione di forze sociali, di mobilitazioni di giovani e di disaffezionati della politica. Sono state il pretesto per metterci insieme, farci vedere da milioni di persone, impedire subito che questo paese in questi mesi slittasse ancora più a destra.

E’ stato detto e ripetuto fino alla nausea: noi non siamo un cartello elettorale. Siamo un movimento popolare che tutti i giorni è impegnato sui territori, sui posti di lavoro, nelle scuole e nelle università, per sostenere ed organizzare le persone, risolvere problemi, dare un orizzonte di trasformazione del presente.

Siamo quelli che c’erano prima, ci sono durante, ci saranno dopo. Solo che ora possiamo fare meglio quello che già facevamo. Lo possiamo fare sotto una sola bandiera, con maggiore coordinamento, con il sentimento di stare tutti dallo stesso lato della barricata.

“Il punto non è il 3% da raggiungere ma quanto protagonismo ed entusiasmo riusciremo a riattivare in un Paese che anche nei nostri ambiti militanti sembra condannato alla rassegnazione e alla depressione. Non stiamo intraprendendo un percorso solo elettorale, perciò immaginiamo che all’indomani delle elezioni si avvii un processo organizzativo più ampio, qualunque sia il risultato nelle urne. Immaginiamo un’organizzazione federata, intelligente e flessibile, capace di tenere insieme le nostre diversità. Noi lavoriamo per questo obiettivo, sapendo che le organizzazioni non si fanno a tavolino nelle segreterie dei partiti e nemmeno tra quelle del ceto politico di movimento”.

Ecco, nonostante tutte queste dichiarazioni chiare e ripetute da certa ottusa sinistra si viene censurati o ancora peggio accusati di essere un cartello elettorale.

I rivoluzionari, da che mondo è mondo, operano con il “materiale” esistente non con qualcosa che s’inventano per coronare i loro maldestri sogni o incubi. Spesso il “materiale” è anche contraddittorio, senza coscienza politica o scarsa, prigioniero di quell’analfabetismo imposto da Capitale negli anni passati, comunque non perfettamente con una sana coscienza di classe. Ma ci si “sporca le mani”, si mischia con loro per innalzarli, crescere assieme, costruire progetti e futuro.

Di tutto questo va dato merito alla proposta del novembre 2017, una proposta che è stata l’inizio della riappropriazione di quell’alfabeto che ci è stato tolto e che ci serve per comprenderci, per lottare sapendo di cosa parliamo.

Un esempio chiaro anche parlando delle situazioni internazionale è che alcune categorie come “guerra”, “oppressione” “resistenza” sono state modificate a loro piacimento, per cui vengono bombardate intere popolazioni distruggendo territori come la Libia, Iraq, Siria, Yemen e nessuno ne parla o condanna, si parla di interventi umanitari, altro esempio sono gli interventi di puro stampo colonialista che vengono definiti “lotta al terrorismo”.

Oppure in Palestina, da decenni una parte dei dirigenti collabora attivamente con l’occupazione e si fa finta di nulla…nessuno trova il coraggio morale, intellettuale, di denunciare questo crimine che è sempre stato rifiutato in ogni altra resistenza (pensiamo a quella italiana).

 

Infine che un nostro pensiero arrivi fino ad Afrin sotto attacco, ai compagni e alle compagne, al popolo che resiste. Penso al genocidio che si sta consumando e al silenzio dei media, penso ai bombardamenti turchi. Penso al coraggio del popolo curdo, alla viltà di Erdogan.

 

Francesco Giordano

Collettivo “Palestina Rossa” Milano

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