Il 9 febbraio 2023 i tre ministri degli esteri di Burkina Faso, Guinea Conakry e Mali si sono incontrati per la prima volta a Ouagadougou durante un vertice trilaterale che ha messo al centro la collaborazione economica, politica e securitaria tra i tre Paesi. E che il vertice sia di una particolare rilevanza, viene dimostrato dalla diffusione di un comunicato finale nel quale si sottolinea la necessità di istituzionalizzare un ambito ufficiale e permanente di concertazione. Il fatto che i tre paesi golpisti, invisi alla Francia e alla poco imparziale comunità internazionale1, si siedano intorno ad un tavolo per passare da una vicinanza geografica ed “ideologica” ad un principio di unità d’azione in materie come lo sfruttamento delle risorse minerarie, la sicurezza, la fornitura in idrocarburi e la costruzione di infrastrutture per trasporti e viabilità, avrà fatto saltare sulla sedia più di qualcuno al Quay d’Orsay di Parigi.
Il Ministero degli esteri francese ha cambiato inquilino da meno di un anno passando dal “menhir”2 Jean Yves Le Drian, alla chiracchiana Catherine “Colonna”, ma potremmo ironizzare che la casa della Francafrique stia seguitando a sgretolarsi. I tre colpi di stato in Mali (maggio 2021), Guinea Conakry (settembre 2021) e Burkina Faso (settembre 2022) e il cambiamento di politica del governo centrafricano hanno portato in successione al ritiro dei militari francesi da Mali e Centrafrica avvenuto nel 2022 e quello dal Burkina che si concluderà a febbraio di quest’anno. In particolare Mali e Burkina Faso sembrano agire in fotocopia con il paese di Modibo Keita a fare da apripista anche nell’espulsione dell’ambasciatore francese nel gennaio del 2022, seguito dal paese degli uomini integri esattamente lo stesso mese dell’anno seguente, con annesso assalto all’ambasciata di centinaia di manifestanti.
Le iniziative antifrancesi dei nuovi governi militari sono infatti sostenute dalla maggioranza della popolazione di tutti i paesi dell’area, anche di quelli come il Ciad o il Niger che esprimono governi militari e civili amici dell’Eliseo. In Niger in particolare, dove si sono ritirati i contingenti francesi di stanza in Mali e Centrafrica, già durante i mandati del presidente Mahamadou Issifou (2011-2021), nonostante i divieti governativi di manifestare, sono state numerose le proteste popolari che chiedevano il ritiro delle truppe francesi ed europee. In generale, ogni giorno che passa appare sempre più precaria la posizione della Francia in una regione che é ancora considerata di importanza strategica per la politica e l’economia francese.
L’uranio nigerino, la bauxite della Guinea, il petrolio della Nigeria sono ormai alla mercé del mercato globale perché la Francia non é stata in grado di innovare la vecchia strategia che prevedeva, con la propria presenza militare sul territorio, il sostegno ai regimi amici in cambio della lealtà geopolitica e dell’accesso alle risorse. Le crepe nella casa della Francafrique sono state sfruttate e allargate dalla Russia prima in Centrafrica, una volta conclusa l’operazione militare francese Sangaris (ottobre 2016), poi in Mali dalla destituzione del presidente Keita (2020) ed ora in Burkina Faso. Per la Guinea Conakry, la buona relazione con la Russia, presente nel paese con la società Rusal, leader mondiale dell’alluminio, non è stata intaccata dalla nuova giunta militare3.
In effetti la Russia – ritornata gradualmente in Africa a partire dagli anni 2000 – è divenuta il primo fornitore di armi del continente, aggiudicandosi, grazie a specifici accordi bilaterali, la fornitura di tecnologie, formazione e addestramento militare. Gli accordi militari contro lo jihadismo, ma anche a difesa delle élites al potere sono il preludio alla firma di contratti per lo sfruttamento delle ingenti risorse minerarie dell’Africa subsahariana. Il vertice di Sochi del novembre 2019 (48 leaders africani presenti) ha sancito con 92 accordi firmati questo nuovo dinamismo economico, suggelato politicamente, a marzo 2022, quando all’assemblea delle Nazioni Unite ben 26 paesi africani si sono astenuti o erano assenti durante la votazione di condanna dell’invasione in Ucraina.
Se la Russia può essere considerata una “parvenue” in quest’area, lo stesso non si può dire della Cina la cui presenza è talmente radicata da considerarsi ormai come “irreversibile, strutturale e trasformativa”4. La Cina, primo partner commerciale africano dal 2009, è la sola potenza mondiale in grado di esportare capitali, tecnologie e risorse umane, fornendo un’arsenale di offerte all’interno di un’unica e chiara strategia di espansione nel continente. Investimenti diretti esteri (Ide), aiuti allo sviluppo (Oda), crediti alle importazioni e crediti garantiti dalle risorse naturali perseguono gli obiettivi di incrementare le esportazioni, accedere alle risorse, ma anche gestire il graduale passaggio della delocalizzazione dell’industria a basso costo ed ad alta intensità di lavoro dall’Asia all’Africa.
Nella divesità dei sistemi e delle proposte per l’Africa, la Russia e la Cina presentano alcuni elementi politico-ideologici in comune: entrambe si presentano, grazie al loro passato, come forze anticoloniali (la Cina addirittura ancora paese in via di sviluppo) e con il principio di “non ingerenza” come faro della loro politica estera. Possiamo, quindi, essere soddisfatti del tramonto dell’imperialismo francese, ma non possiamo ancora affermare che una nuova alba stia per sorgere per i popoli africani. Troppo deboli, deludenti e contradditori i segnali pervenuti dai nuovi governi e ancora succube la relazione con le altre potenze che aspirano a sostiture la Francia. La repressione dell’opposizione in Guinea, il lento, ma crescente distacco tra militari e società civile in Mali, la situazione sicuritaria totalmente deficitaria in tutta l’area. E, soprattutto, l’ambiguità di una lunga transizione che, in quanto transizione, impedisce di prendere decisioni importanti su temi sociali ed economoci, limitando la discussione alle questioni di sicurezza e di riforma elettorale, ma la cui lunghezza lascia i tre paesi in una situazione di stallo prolungato.
Nonostante ciò, è importante sottolineare quei passaggi e quelle scelte che paiono andare nella direzione auspicata di una ricerca di una maggiore sovranità e indipendenza. Il vertice appena concluso a Ouagadougou ne è un esempio come lo sono state la mobilitazione popolare burkinabé per contrastare lo jihadismo e la richiesta della Guinea alle multinazionali minerarie di raffinare e trasformare la bauxite in loco. Nella capitale burkinabé i tre ministri degli esteri hanno tracciato un percorso di collaborazione in ambito politico, economico e militare senza il sostegno di sponsor internazionali, senza fondi di investimento esteri e senza contingenti militari stranieri. Come dicono in Francia: Ce n’est qu’un debut?
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1 La Guinea Conakry, il Mali ed il Burkina Faso, a seguito dei colpi di stato, sono stati sospesi dalla Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale (Cedeao). Mali e Guinea hanno subito sanzioni dal Cedeao e dall’Unione Europea. Il Ciad, a seguito del golpe filo francese e di ripetute violazioni e repressioni delle proteste popolari, non è stato sanzionato dall’Unione Africana, né dall’Unione Europea.
2 Dal 1978 nella politica francese, da 10 anni al Ministero degli esteri è soprannominato “Menhir” per la sua longevità.
3 Dopo un primo momento in cui il passato da legionario francese del militare golpista Mamady Doumbouya aveva fatto pensare ad un golpe anti russo, ora gli analisti propendono per un colpo di stato autorizzato da Mosca, interpretando in questo mondo l’incontro, tra l’ambasciatore Vadim Razumosksky e i militari golpisti, avvenuto subito dopo il putsch.
4 “Sahel e Africa Subsahariana. Il modello sino-africano”; M. Massoni, 2017.