Fonte: CafeBabel
di Veronica Di Benedetto Montaccini
Ricercatrice, precaria, del sud. Dall’attivismo dei centri sociali a leader della lista Potere al Popolo, che punta ad entrare nel Parlamento italiano nelle elezioni del 4 marzo. Viola Carofalo è la portavoce indomabile di una nuova sinistra italiana.
Parla di mutualismo come rivoluzione, riempie le piazze con toni accesi ma senza urlare, è leader di collettivi dal basso diversissimi tra loro in tutta Italia e nei programmi tv schizofrenici in periodo di campagna elettorale, mentre si litiga su questioni ideologiche, lei riesce a riportare sempre il discorso sull’uguaglianza e lo stato sociale e, se serve, ad abbandonare gli studi televisivi, lasciando simbolicamente una copia della costituzione italiana sulla sedia. Viola ha la grinta che le fa immaginare la lista Potere al Popolo al 5% a Napoli e “la capa tosta”, come dice sempre in dialetto, che le fa pensare a questa battaglia come l’inizio di un cambiamento. Incontrarla a Roma per una chiacchierata è l’occasione per capire che questa napoletana combattiva è proprio così come sembra.
Portavoce e non capo politico
L’appuntamento è vicino alla Stazione Tiburtina, in una delle sedi operative di PaP (così si fanno chiamare). Con un treno da Napoli, questa volta Viola è arrivata nella capitale per dare un po’ di supporto ai militanti che si stanno dando da fare per la lista e per portare alla Camera le istanze dei lavoratori precari della cultura. La sede è spoglia e fredda “sono così i posti che prima si chiamavano proletari“, ma attaccato alle pareti appare un grande striscione dalle lettere rosse: “Al mondo ci sono due razze: chi sfrutta e chi è sfruttato” recita. “Mi ci ritrovo in questa scritta- commenta Viola– ci sono ben due cose per cui mi batto: l’antirazzismo e la giustizia sociale!”. Il taglio geometrico dei capelli, con la frangetta mora netta sulla fronte, rende la ragazza un po’ austera. Ma lo sguardo le si illumina quando comincia a raccontare della nascita di Potere al Popolo.
Un progetto di sinistra radicale, elettorale ma non solo, nato a dicembre, a pochi mesi dell’apertura delle urne, da un appello del centro sociale napoletano Ex ospedale psichiatrico “Je So’ Pazz”. Proprio una pazzia forse, che però ha avuto un’eco inaspettato: centinaia di riunioni in tutta Italia, assemblee nazionali nei teatri romani molto sentite e soprattutto una lista costruita effettivamente dal basso che ha ottenuto più firme del necessario.
Una grande ambizione quella di superare lo sbarramento del 3% per entrare in parlamento deciso nel Rosatellum, la nuova legge elettorale. Soprattuto se si considera che le elezioni politiche del 4 marzo potrebbero segnare in Italia una delle sconfitte più clamorose per i partiti del centrosinistra italiano, che si presentano divisi. Qual è la situazione? Il Partito Democratico, dopo il declino di popolarità dell’ex premier Matteo Renzi si è spaccato e gli scontenti fuoriusciti (tra cui il presidente del Senato Pietro Grasso e la presidente della Camera Laura Boldrini) hanno costituito un nuovo partito, Liberi e Uguali (LeU). I sondaggi danno la sinistra in forte svantaggio sia rispetto alla coalizione di centrodestra – rinata intorno alla figura del vecchio leader Silvio Berlusconi – sia al Movimento 5 stelle (M5s), che si candida a diventare il primo partito del paese.
PaP si colloca a sinistra del Pd. Al suo interno sono confluiti partiti come Rifondazione Comunista e PCI e iniziative come Eurostop. Ma soprattutto realtà di movimento come No Tav, No Tap, No Triv. “Tutti questi no, sono tutti i sì della mia vita perché sono in difesa dell’ambiente e in difesa del diritto a decidere del proprio territorio” commenta Viola Carofalo, che porta in giro per lo stivale le istanze di tutti loro, ma ci tiene molto a definirsi portavoce e non capo politico. “Il discorso vale sia per Potere al popolo che per la mia storia personale– spiega la ricercatrice con la sua particolare erre moscia che dà un tono ancora più frizzante all’irrefrenabile parlantina- Siamo un movimento che parte da un collettivo e quindi capi politici non ce ne sono. Fin da quando sono ragazzina non ho mai fatto parte di realtà organizzate, ma mi sono sempre unita a realtà di base, dove non deve prevalere qualcuno. Laddove questo meccanismo gerarchico si innescava, ho sempre agito per fermarlo”.
Incarnare le debolezze del paese e farle diventare forze
“La scelta del portavoce è ricaduta su di me perché ce le avevo tutte: sono precaria, sono donna e sono del sud” ammette con ironia amara Viola. “Tre caratteristiche che porto con molto orgoglio ma con molta rabbia. Anche essere del sud nella mia vita ha pesato. Un esempio quotidiano: un mio parente ha avuto bisogno di un ospedale al sud, doveva fare un’operazione a una spalla, è una persona di una certa età ed è stata messa in corsia per diversi giorni, l’operazione non veniva fissata…Insomma siamo dovuti salire al nord. Questa è la normalità nella mia città, Napoli, è la normalità al sud ed è triste. E il motivo che mi spinge a fare politica da quando sono piccola, non è lontano da queste cose che ti senti bruciare addosso!”. E’ effettivamente così, è una portavoce. Le persone che collaborano con lei la trattano come un’amica, una compagna di battaglie, anche i ragazzi che durante la mattinata passata insieme passano a prendere manifesti e volantini la salutano calorosamente, ricordando iniziative, battaglie e manifestazioni fatte insieme.
Viola viene da una famiglia non politicizzata, che non si è mai iscritta a nessun partito, ma da quando ha 13 anni, durante il primo anno di superiori, ha provato a fare battaglie politiche. Le assemblee a scuola, i collettivi all’università e poi soprattutto esperienze di occupazioni. A 37 anni, sta svolgendo un dottorato di ricerca in Filosofia moderna e contemporanea alla Federico II di Napoli. “Ho dato un sacco di problemi a scuola quando ero ragazzina– scherza- rischiavo sempre il debito. Più che altro non mi piaceva essere obbligata , leggere e studiare mi ha sempre stimolato”. Poi ha trovato la sua strada iniziando a fare ciò che le interessava come ricercatrice. “Sarebbe molto eroico dire che sono rimasta a Napoli per rivoluzionarla, ma cambiare Napoli è difficile. Si può provare. Semplicemente amo stare in quella città, amo quello che ho costruito con i miei compagni. Se fossi stata costretta a causa della mancanza di lavoro, sarei dovuta andarmene come molti amici hanno fatto”.
Solo nel gruppo di compagni con cui Viola è a contatto giornalmente, 17 persone sono emigrate per necessità lavorative. “E’ l’emigrazione la vera emergenza che abbiamo oggi. Chi è poi che rimane? Chi è più anziano…Chi ha più energie, anche in termini generazionali se ne va. E questo ha un costo sociale di cui non si parla mai. A volte si sente dire che sono persone che vanno a formarsi all’estero per il prestigio, ma diciamocelo: anche le persone laureate stanno a fare i camerieri in giro, i pizzaioli, i pasticcieri non stanno a fare i ricercatori al Cern per capirci. Ci sono anche questi di casi ma sono delle eccezioni, una minoranza”. Per “una serie di fortune” come la casa lasciata dai suoi genitori che le fa risparmiare soldi, il concorso di dottorato vinto e la passione per l’ex OPG Je so’ pazzo, Viola è restata ben radicata alla sua città partenopea.
Il cuore a Napoli, roccaforte della lista
Non si può capire Viola in profondità senza raccontare l’ex ospedale psichiatrico occupato tre anni fa a Napoli e rinominato Je so’ pazzo, perchè è lì che questa pasionaria ha investito tutto il suo tempo libero, tutte le sue energie. In termini volgari era un manicomio criminale, un carcere, abbandonato da anni. “Quando ci siamo entrati era un mostro, pauroso– racconta Viola- C’erano tutte le tracce degli ospiti, dei malati psichiatrici che noi abbiamo voluto lasciare per preservare la memoria. Quindi scritte sui muri, i letti di contenzione, alcuni effetti personali scarpe cartoline di persone che sono state lì dentro anche per decenni. Che sono persone che poi in alcuni casi abbiamo anche conosciuto. Qualche ex internato è venuto poi a veder dil posto come era diventato. Ed è stato molto toccante per loro e per noi. Un impatto forte. Facciamo tre anni nei giorni delle elezioni, non so se è un caso…”. Viola, come ogni napoletano che si rispetti, è molto scaramantica e non vuole azzardarsi a parlare di queste strane ricorrenze casuali.
9000 metri quadri trasformati in centro sociale autogestito che organizza 40 attività settimanali. C’è un campo di calcio, una palestra e una cucina. E il fiore all’occhiello è l’ambulatorio popolare, frequentato da centinaia di persone ogni settimana. “Ci vengono sia persone del posto che persone straniere, o migranti che sono arrivati da poco in Italia. Sia tanti napoletani, che hanno un lavoro, che a parlarci sembrano persone comuni, impiegati, insegnanti eccetera che però vengono all’ambulatori. Io non so se vai a fare la stessa cosa a Bolzano ottieni lo stesso risultato. Il numero di persone che andrà all’ambulatorio popolare sarà più basso. Perché se devi fare un’analisi hai la possibilità di andare in ospedale pubblico. Quindi devi tenere i piedi per terra e chiedere cosa serve”.
Questa è la filosofia di Viola: il mutualismo. “L’idea prima di tutto di essere utili, di essere accreditati con la persona di fronte alla quale stai parlando. E’ stata la svolta perché abbiamo smesso di pensare cosa fosse giusto per gli altri, di cosa avessero bisogno e siamo andati a chiedere“. Un esempio? Viola racconta di quando “ero ragazzina, ho passato una vita a fare volantinaggio davanti alle fabbriche, davanti alla Fiat di Pomigliano, davanti ai call center che erano in mobilitazione per esempio…noi facevamo anche un lavoro buono, ma non ci ascoltava nessuno. Le cose sono cambiate solo quando siamo andati lì davanti a dire: cosa ti serve? Ti serve un avvocato? Ti serve qualcuno che ti aiuti nelle procedure burocratiche come quelle di farsi autorizzare un presidio? Mettendoci un passo indietro e non un passo avanti”. Napoli le sente tutte queste energie e, secondo Viola, è lì che Potere al Popolo può arrivare a prendere il 5%.
Dalle ceneri di Gramsci, un movimento popolare e non populista
Con Potere al Popolo si torna a parlare di sinistra in Italia. La campagna elettorale 2018 è stata la più violenta dagli anni ’70. A cominciare dall’attacco di Macerata dove Luca Traini, un militante di estrema destra, ha sparato su sei migranti, ferendoli. Da lì scontri nelle piazze e un dilagante razzismo usato in modo politico sono montati di settimana in settimana. Le manifestazioni antirazziste, a cui Viola partecipa in prima fila col pugno alzato, vengono descritte dai media e dai candidati politici con la logica di fascisti contro antagonisti dei centri sociali. Ma la realtà è molto più complessa di così. Perché la sinistra non parla delle vere battaglie? Secondo Viola “Perché sono paurosi. Forse su quello che hanno da perdere. Io da perdere non ho niente, nessuno di noi ha niente. Il centro sinistra non si trasforma più, fa il clone di qualcun altro. Secondo me il berlusconismo è stato anche questo. Non solo quel personaggio che abbiamo vissuto per 20 anni ma anche l’emulazione continua di quella retorica, di quei meccanismi”.
A sentire i candidati di Potere al Popolo, si raccontano come popolari e non populisti. Viola ricorda di aver fatto una lunga ricerca nei testi sacri del comunismo – da Marx a Mao, da Lenin a Gramsci – per legittimare la scelta della parola “popolo”, che era avvenuta in modo spontaneo e unanime nel gruppo di lavoro, ma che per molti era troppo esposta a critiche. “Poi in collettivo abbiamo detto: ma che ce ne frega, in fondo?”, ripensa Viola “La parola popolo rimanda alle classi meno abbienti, alle persone che di solito non sono interpellate nelle scelte che riguardano la loro vita. E quando qualcuno entra qui dentro non si sente respinto dalla parola popolo, cosa che succederebbe se usassimo per esempio la parola proletariato”, specifica.
Sono i contenuti a non essere populisti. “Dire una cosa differente fa paura. Immigrazione e carcere non sono temi particolarmente popolari in termini di voti, questo è certo. Sono popolari in termini di ciò che la gente si vive perché se vai davanti a Poggioreale e c’è la fila di 200 persone di parenti e amici che devono portare da magiare e i vestiti a chi sta in carcere perché niente è garantito ….è una cosa vera, non sta in televisione! Chi se le vive lo sa che la realtà del carcere è dura, oppure lo sa che la gestione dell’immigrazione può far entrare soldi al sistema criminale. La sinistra c’ha rinunciato, è andata a cercare altri obiettivi. Ha abbandonato questi ideali in nome della gerarchia verticale, perché la partecipazione fa paura”.
Appoggiati dal regista militante Ken Loach, famoso per le sue lotte sociali in Europa, Viola e il suo movimento sembrano incarnare lo spirito di Gramsci, il filosofo italiano tra i fondatori del Partito Comunista italiano che sognava una società più giusta e dove il potere è restituito al popolo. Dove la partecipazione e la militanza diventano la base di un ragionamento collettivo.
I modelli europei di Viola
Senza pensarci troppo, quando si parla di ispirazioni a livello europeo, Viola risponde: il partito labourista di Corbyn in Inghilterra, Podemos in Spagna, Syriza in Grecia, La France Insoumise in Francia. Ma le esperienze di sinistra europea sono già diverse tra loro, sia per le forme si aper le storie politiche di chi le porta avanti. Ognuna risponde ad una congiuntura storica. Quindi la leader di PaP ha preso i migliori lati di ognuno.
L’elemento da sottolineare in Corbyn è la lotta interna al partito. “Cosa prendo da lì? La capacità di rinnovamento, la capacità di parlare ai giovani e di mescolare vecchio e nuovo. Da un lato una politica classica, dall’altro social e porta a porta dal basso“.
Per quanto riguarda Podemos, riesce in Spagna a fare un ragionamento di massa a partire da una grande mobilitazione. Questo in Italia non è avvenuto. “In Italia al contrario, partiamo da un momento di rigetto per la partecipazione, di apatia politica, di un depotenziamento della mobilitazione. Di indifferenza in cui c’è antipolitca, che da noi si è incanalata nel fenomeno peculiare del Movimento 5stelle. La retorica è quella che tutti i politici sono corrotti, che niente cambia, che l’Italia è un gattopardo. I cinque stelle non sono interclassisti, vedono come unico nemico la casta. Senza pensare che l’antipolitica è solo un’altra faccia della medaglia della politica”
Per Viola la France Insoumise di Mélenchon è riuscita a elaborare una proposta sulla questione europea convincente, “perché tiene dentro l’idea di un’Europa dove costruire la solidarietà quindi l’Europa dei popoli. Allo stesso tempo è una bella critica ai limiti dell’Europa, l’idea del respingimento dei trattati e in particolare ai vincoli di bilancio che portano alla distruzione dello stato sociale. Al di là delle sfumature di ragionamento, qua un’Europa dove i paesi del sud del Mediterraneo ridiventano importanti serve a tutti. Dire di uscire dall’Unione europea è un modo per denunciare che questa Europa così com’è ora non va bene. Che l’articolo 81 in costituzione non vada bene lo dicono tutti. E’ il mercato del lavoro a dirci che è importante ripensare all’Europa, è da lì che si deve ripartire”.
L’Europa sognata da Viola riesce a mettere insieme tutte le realtà territoriali, prima a livello nazionale e poi in tutto il continente. “Sogno un’Europa che sia accoglienza, solidarietà. Che si torni alla tradizione europea buona di uno stato sociale forte. Cioè di tutela dei diritti del lavoro, istruzione, salute. Penso che è un modello che abbiamo svenduto negli ultimi anni, ma che era la nostra forza“. E guai a dirle che è un’utopia. Vi risponderà sempre: “lo so, ma sono una capa tosta!”.