Il 14 giugno 2019, 500’000 donne e uomini sono scesi in piazza in diverse città svizzere per il secondo sciopero delle donne dopo quello del 1991. Molte delle rivendicazioni di allora non sono state ancora soddisfatte. Con questo sciopero, le donne hanno dato un ulteriore segnale forte perché le cose cambino realmente.
Il venerdì 14 giugno 2019, in Svizzera circa 500.000 donne non si sono recate a lavoro ma sono scese in strada. In questo modo hanno un segnale forte: le cose non possono andare avanti in questo modo. E il loro messaggio era chiaro: “Abbiamo bisogno di uguaglianza, di salari più alti, di pari opportunità, di più tempo e di più libertà, di asili nido gratuiti, di meno doppio onere e in generale di più riconoscimento per il lavoro che svolgiamo quotidianamente e spesso in modo gratuito e invisibile”.
Con 500.000 partecipanti a livello nazionale, lo sciopero delle donne è la più grande manifestazione politica della recente storia svizzera. Si tratta del secondo sciopero nazionale delle donne dopo quello del 14 giugno 1991.
Mentre gli scioperi in Spagna, Germania, Italia e in altri paesi d’Europa hanno avuto luogo l’8 marzo 2019, il Congresso delle donne dell’Unione sindacale svizzera (USS) nel gennaio 2018 ha chiamato a uno sciopero per il 14 giugno. L’obiettivo era quello di dare seguito alla giornata storica del 14 giugno 1991, quando per la prima volta nella storia elvetica mezzo milione di donne hanno partecipato ad azioni di protesta e ad uno sciopero di carattere femminista. Infatti, lo sciopero del 1991 era stato organizzato dall’Unione sindacale svizzera in occasione del decimo anniversario dell’introduzione dell’articolo sull’uguaglianza tra uomini e donne nella Costituzione federale, articolo che non trovava seguito nella quotidianità delle donne. Infatti, le disuguaglianze erano ancora grandi: non esisteva ancora una tutela legale della maternità, introdotto solo nel 2006 (14 settimane di maternità a partire dalla nascita del figlio); lo stupro nel matrimonio era ancora esente da sanzioni penali, e solo nel 2004 questo crimine viene punito ufficialmente. Oltre alle evidenti disuguaglianze salariali e alla sottovalutazione socioeconomica del lavoro domestico si tratta solo dei due esempi più evidenti della legislazione ultraconservatrice in materia.
Lo sciopero delle donne del 1991 non ha immediatamente risolto i problemi legati alla disuguaglianza salariale e alla discriminazione. Tuttavia, i suoi successi sono stati considerevoli: a metà degli anni ’90, il Parlamento ha stabilito norme vincolanti per l’attuazione dell’articolo sulla parità tra i sessi, compreso il divieto di molestie sessuali sul posto di lavoro – un risultato importante visto una generale tendenza verso la deregolamentazione dei diritti del lavoro all’epoca. Nel 2004 e dopo tre tentativi falliti, gli aventi diritto al voto hanno votato appunto a favore dell’assicurazione maternità. Così un articolo costituzionale del 1945 è stato finalmente attuato.
Anche questo sciopero delle donne ha criticato le disuguaglianze sistematiche che permangono nonostante il fatto che l’uguaglianza sia sancita dalla Costituzione federale. Le rivendicazioni del passato ancora oggi sono attuali, la Svizzera rimane uno dei paesi più conservatori d’Europa. Il sistema di assistenza all’infanzia è uno dei più costosi al mondo: spesso per le donne con due figli non vale la pena lavorare a tempo pieno, perché il loro intero stipendio finanzierebbe direttamente per l’assistenza all’infanzia. Inoltre, fino ad oggi i padri hanno un solo giorno di congedo di paternità, cosa che lega le donne ancora di più alla sfera domestica e di cura dei figli. Per quel che riguarda il mondo del lavoro, le disparità salariali tra uomini e donne e a parità di lavoro in media è ancora del 20%, per non parlare delle discriminazioni sistematiche nei confronti delle donne all’accesso a un posto di lavoro e nel sistema pensionistico.
Ma lo sciopero delle donne non è esclusivamente il risultato di queste contraddizioni materiali specifiche alla Svizzera. Lo sciopero deve essere letto in un contesto più ampio di mobilitazioni femminili e femministe a livello internazionale, un movimento emerso nel 2016 in Argentina e poi in tutto il Sud America sotto l’hashtag #NiUnaMenos e di seguito con il dibattito #Metoo in Europa e negli Stati Uniti. Nel 2018 ci sono stati cortei e manifestazioni in ben 177 paesi, da sottolineare l’importante sciopero generale per la parità dei diritti in Spagna a cui hanno partecipato almeno cinque milioni di persone. In seguito, l’idea dello sciopero è stata ripresa anche in altri paesi, tra cui in Germania, in Polonia (in particolare con rivendicazioni legate al diritto all’aborto legalizzato e finanziato dallo stato) e, appunto, in Svizzera.
Le manifestazioni si sono svolte a partire dalle ore 17.30 proprio per permettere la partecipazione a chi non è riuscito a scioperare realmente, ma le prime azioni sono state tuttavia organizzate già durante la giornata. Inoltre, le organizzazioni promotrici dello sciopero delle donne hanno fatto appello a tutte le donne di abbandonare il posto di lavoro alle ore 15.24, orario che simbolizza il momento in cui inizia la parte non retribuita della giornata di lavoro, cioè proprio quel 20% di differenza salariale tra donne e uomini.
Gli scioperi classici nel senso di interruzione del lavoro si sono svolti principalmente nel pubblico impiego, nelle strutture d’assistenza agli anziani e nelle pulizie. A Lucerna, le lavoratrici di un’impresa di pulizie dopo tre ore di sciopero hanno ottenuto una vittoria importante: in futuro non sarà pagato solamente il tempo del lavoro effettivamente dedicato alle pulizie, ma anche il tempo di viaggio per recarsi al posto di lavoro e quello dedicato alla preparazione del lavoro. Si tratta sì di una vittoria isolata, ma che dimostra l’importanza dello sciopero in quanto strumento di mobilitazione che permette alle lavoratrici di strappare delle vittorie.
Ma il concetto di sciopero si riferisce anche al lavoro non visto, non retribuito o sottopagato e svolto dalle donne – sia appunto nella produzione che nell’ambito della riproduzione. E se la Svizzera non è affatto famosa per una “cultura dello sciopero”, lo sciopero delle donne ha contribuito al dibattito sulla possibilità di avvicinarsi nuovamente a questo strumento di lotta. Usando questo termine, le donne hanno inserito la giornata di mobilitazione non solo in una prospettiva di lotta per l’uguaglianza tra i sessi, ma anche nella tradizione di lotta di classe. Questo elemento è fondamentale, perché sono in primo luogo le donne borghesi che riescono ad affermarsi su un mercato del lavoro patriarcale esternalizzando il lavoro riproduttivo ad altre donne per lo più migranti o meno abbienti.
Le rivendicazioni dello sciopero delle donne di quest’anno non sono affatto nuove, ma mobilitarsi per conquistare i propri diritti è più che mai d’attualità. La partecipazione di 500.000 persone allo sciopero è una dimostrazione dell’urgenza di queste rivendicazioni che possono essere riassunte in questo modo:
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A lavoro uguale, salario uguale e riconoscimento sociale del lavoro delle donne.
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No alla politica d’austerity che toglie risorse ai servizi pubblici, in particolare all’assistenza all’infanzia e alla cura degli anziani – lavoro che, se non organizzato pubblicamente, ricade sulle donne. Quindi ripartizione del lavoro domestico, di cura e di assistenza equa tra i sessi.
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No al sessismo sul posto di lavoro.
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Delle pensioni che consentono alle donne di condurre una vita dignitosa in età avanzata.
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Riduzione generale dell’orario di lavoro, perché oggi si lavora fino all’esaurimento.
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Contro la violenza sessista, omofoba e transfoba.
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Contro la strumentalizzazione delle donne per l’agitazione razzista.
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Libertà di scelta in materia di sessualità e identità sessuale.
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Contro la discriminazione multipla delle donne migranti e contro una politica migratoria discriminante.
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Solidarietà internazionale alle donne di tutto il mondo.
Con il motto “Più tempo. Più salario. Rispetto” lo sciopero delle donne ha dimostrato che senza il loro lavoro visibile e invisibile in Svizzera non funziona più nulla. Gli uomini sono stati chiamati a manifestare la loro solidarietà assumendosi per un giorno il lavoro che normalmente viene svolto dalle donne, consentendo in questo modo alle donne di partecipare alle varie mobilitazioni. Così a Zurigo sono scese in piazza 160.000 persone, a Basilea e Berna 40.000, a Losanna 30.000. Ma anche in città più piccole si sono registrate manifestazioni partecipate. L’80% erano donne di tutte le provenienze sociali e geografiche e di ogni età.
A livello internazionale, insieme al movimento giovanile “fridays for future” e al movimento dei migranti, sono le donne – e questo sciopero lo ha dimostrato anche in Svizzera – i soggetti sociali a costruire mobilitazioni di massa contro lo sfruttamento capitalistico e contro le destre conservatrici, perché sono proprio loro a pagarne le conseguenze più violente. Per capire meglio l’effetto politico e organizzativo a lungo termine di questo secondo sciopero nazionale delle donne bisogna attendere ancora. Ma ciò che è successo il 14 giugno in Svizzera passerà sicuramente alla storia.
*Questo articolo è la traduzione di un contributo che uscirà nella rivista online di dibattito politico re:volt magazine.