Gli Stati Uniti attaccheranno il Venezuela? Le ore che passano sono quelle in cui sarà probabilmente deciso il destino della pace in Sud America per i decenni a venire. Ho già difeso in un articolo sul quotidiano “Le Monde” con i miei colleghi parlamentari insoumis l’idea della via di uscita democratica proposta dal Messico e dall’Uruguay, invano. Solo il Presidente Nicolas Maduro ha dichiarato la sua intenzione di partecipare positivamente. Gli Stati Uniti e i loro ausiliari si sono spostati da un’offerta all’altra con la volontà evidente di provocarne il fallimento.
Da parte sua, il Presidente francese aveva fissato un ultimatum per lo svolgimento delle elezioni legislative. Quando Nicolas Maduro si è detto pronto, Macron e gli altri europei hanno improvvisamente chiesto le elezioni presidenziali. In altre parole, non si tratta di cercare una via di uscita democratica alla crisi, ma una resa incondizionata del legittimo presidente in carica.
Per tutto questo periodo, quindi, le provocazioni irresponsabili si sono susseguite con un’intensità e una malafede che hanno permesso a molti di capire che il discorso degli Stati Uniti non riguarda la situazione alimentare dei venezuelani o i diritti umani nel loro paese. Capiscono che si tratta del petrolio venezuelano e di mantenere il dominio dell’Impero in quello che viene considerato il loro cortile sudamericano.
É superfluo dire a molti di noi che i diritti umani sono solo un pretesto per gli Stati Uniti, che rimangono ai nostri occhi il paese della tortura ufficiale a Guantanamo, della segregazione razziale e del sostegno ai peggiori governi di estrema destra del mondo in Europa, in Medio Oriente e altrove. Ma molte persone in buona fede sono ancora in attesa di capire cosa sta succedendo. Hanno difficoltà a capire quale potenza aggressiva sono gli Stati Uniti dalla loro fondazione e i loro 222 anni di guerra su 229 anni di esistenza. Molti hanno dimenticato o non hanno vissuto anni bui di omicidi e torture in tutta l’America Latina sotto la guida della scuola di guerra statunitense, dove hanno insegnato sadici bruti come il generale francese Aussaresse. Questo era negli anni ’70, dopo l’assassinio del presidente Salvador Allende in Cile.
Per quanto riguarda il Venezuela, molti non sanno che Hugo Chavez era stato destituito da un golpe e salvato in extremis dal plotone d’esecuzione dei golpisti. Senza l’irruzione nelle strade di milioni di persone, soprattutto poveri, Chavez sarebbe stato fucilato dai golpisti. Ignorano anche che, mentre la Francia ha tenuto in carcere per 25 anni i generali canaglia dell’Algeria francese, gli autori del colpo di Stato contro Chavez sono stati tutti lasciati in libertà.
Ma, qualunque sia la nostra opinione degli Stati Uniti e persino del Venezuela, siamo tutti cittadini che si trovano di fronte al muro di ciò che riteniamo giusto e positivo per tutti in questo momento nell’ordine mondiale. Perché l’ordine mondiale è un tutt’uno. Richiamando l’opinione pubblica mondiale nella sua crociata contro il Venezuela, anche gli Stati Uniti ci hanno obbligati tutti a esprimere un’opinione. Arrivando dopo tanti episodi calamitosi come per esempio le “armi di distruzione di massa” di Saddam Hussein, molti persone sono vigili e attenti ad ogni conto alla rovescia degli Stati Uniti. Se, in un primo momento, molti sono rimasti sull’attenti, da allora possiamo vedere che l’entusiasmo atlantico si sta indebolendo.
Tanto che ora si stanno svegliando capi di Stato ingenui o irresponsabili, soprattutto in Europa. Dopo aver riconosciuto come “presidente in carica” il leader delle canaglie golpiste del Venezuela, capiscono di aver aperto la porta all’intervento militare americano per imporre la loro marionetta. I leader europei finalmente capiscono che il Sud America non è un continente infantile che si lascerebbe correggere dai suoi genitori europei o nordamericani. I leader europei sanno finalmente che l’intervento armato contro il Venezuela fa parte del kriegspiel statunitense in un continente in cui europei, cinesi e russi hanno oramai interessi concorrenti. Comprendono che il Venezuela è un antipasto prima che gli stessi argomenti siano usati contro Cuba e Nicaragua. Che ci piacciano o meno i governi di questi paesi o alcuni di essi, la questione sollevata è se riconosciamo agli Stati Uniti un diritto di ingerenza autoritaria che sostituisce il diritto internazionale.
Sto solo citando argomenti limitati all’interazione degli interessi. Ma l’elenco dei motivi e delle ragioni contro l’invasione militare del Venezuela è molto più lungo. Il mio obiettivo è che le persone oneste che si preoccupano dei fatti non si lascino intrappolare in una semplicistica propaganda dagli Stati Uniti, e trasmessa senza critica dalla stampa influenzata nel nostro paese. La questione del Venezuela è trattata in Francia in modo appassionato dai nemici della sinistra latinoamericana. In essi si intrecciano un convinto “atlantismo” (per loro gli Stati Uniti sono la soluzione e non il problema) e la soddisfazione di giocare una rinascita della Guerra Fredda.
In questa visione, noi insoumis siamo assegnati alla posizione di amici ciechi di un “regime dittatoriale”. Molti di noi vivono questa situazione in totale disgusto. Non sto dicendo ancora una volta quanto siamo disgustati dal “due pesi e due misure” di coloro che vogliono darci una lezione. Quanto abbiamo trovato deplorevoli i reportage di France 2 ogni giorno prima delle votazioni o una delle mie rare apparizioni su questo canale.
Tuttavia, non dobbiamo cadere nella loro trappola. Dobbiamo continuare a discutere. Perché gli amici incondizionati degli Stati Uniti non hanno davvero nessuna argomentazione. Ricordiamo il pietoso numero sul set di France 2 di questo strano oppositore franco-venezuelano che vive in Spagna e che ha sostenuto la “mancanza di carta igienica” a Caracas per chiedere l’eliminazione del potere chavista.
Qui ci sono questi grandi democratici che sostengono un progetto di intervento armato da un paese, la Colombia, in cui dalla fine delle elezioni presidenziali sono stati assassinati più di 50 democratici, tra cui diversi giornalisti, senza una parola di compassione.
Ma poco importa ai loro paraocchi. Sono così amichevoli con gli Stati Uniti che dimenticano l’interesse e il posto del loro proprio paese, la Francia. Perché passare, agli occhi di tutta l’America Latina, come i barboncini degli Stati Uniti non è buono in nessun contesto sociale di questo continente. Bisogna capire che il nazionalismo in Sudamerica è stata un’idea fondante fin dalle guerre di indipendenza con la Spagna. Anche coloro che più ferventemente odiano i comunisti in Sudamerica continuano ad invitare Cuba a tutti gli incontri internazionali, per il solo motivo che questo paese tiene testa agli Stati Uniti e che la sua presenza funge da monito indirizzato agli Stati Uniti.
Nell’atteggiamento dei leader francesi, c’è un vecchio sfondo di colonialismo che fa perdere loro di vista la realtà politica ed economica del mondo contemporaneo. Questi personaggi televisivi e della politica francese sono incapaci di pensare a relazioni egualitarie con i paesi che un tempo i nostri paesi dominavano. Non riescono a pensare a queste relazioni al di fuori del quadro grezzo della vecchia divisione del mondo. Nella loro visione, l’Africa appartiene alla Francia e il Sud America agli Stati Uniti. Tutto ha senso. Gli Stati Uniti stanno aiutando il governo francese a distruggere la Libia (per il suo bene è ovvio) e in cambio i leader francesi applaudono a tutto ciò che gli Stati Uniti vogliono nel loro continente. Cito qui solo la Libia per evitare di prendere esempi più recenti, che sono altrettanto deplorevoli e in cui continuiamo a navigare da un’avventura militare all’altra.
In realtà, gli agitatori in Europa e altrove speravano che il governo Maduro crollasse. Non è stato questo il caso. E dopo poco è stato il contrario. Non appena è stata sollevata la questione dell’intervento armato degli Stati Uniti e non appena è arrivato il suono del tam tam europeo fin là, un numero crescente di persone, compresi gli oppositori di Maduro, ha abbandonato i golpisti, percepiti da questi come i fautori di un’invasione.
Il nazionalismo dei popoli latinoamericani è poco conosciuto o disprezzato in Francia. Pochi si rendono conto che l’Europa, per molti, è anche la Spagna, il loro ex colonizzatore, la Francia e la sua spedizione in Messico. La Storia esiste anche nella coscienza collettiva dei popoli del Sud America. L’intervento degli Stati Uniti e quello degli europei è per loro intollerabile quanto lo sarebbe un intervento militare della Germania in Francia per venire in soccorso ai Gilets Jaunes e installare Eric Drouet come presidente “in carica”.
Faccio volontariamente questo confronto caricaturale nel tentativo di far destare le coscienze alla realtà dei sentimenti dei popoli del nuovo mondo e di tante persone in Europa. Perché questi continuano a considerare loro come bambini turbolenti e i loro paesi come protettorati in libertà vigilata.
So che questo mi porterà a nuovi insulti, a nuove ingiurie, a citazioni falsificatorie e a tutte le altre ignominie che ho già subito su questa e molte altre questioni di politica estera. Ma penso che sia un dovere aprire costantemente strade alternative al regno della violenza globalizzata.
Sugli ultimi venticinque anni, accetto valutazioni comparative. Dalla prima guerra del Golfo all’Afghanistan, passando per la Siria, quando ho sbagliato contro il partito dei media e gli atlantisti che volevano la guerra come soluzione? Dove, le loro guerre hanno risolto uno soltanto dei problemi sollevati? Dove la situazione non è peggiorata da allora?
Poiché sono a questo punto del mio appello contro la guerra in Venezuela, voglio ammettere un errore commesso in passato. Perché credo che questo esempio aiuterà anche a riflettere sul presente. Ho accettato l’idea di un corridoio di esclusione aerea in Libia quando Gheddafi ha minacciato, secondo le sue stesse parole, di fare un bagno di sangue in una città ribelle. Sono stato avventato perché il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite è stato unanime sull’argomento. Errore. Immediatamente la NATO è entrata nella breccia e il corridoio di esclusione aerea è diventato un corridoio di bombardamento massiccio.
A quel tempo fui duramente criticato da molti cari amici sudamericani che mi incolpavano per la mia ingenuità e per non aver capito nulla delle rivoluzioni popolari del Maghreb. La storia ha donato loro maggior ragione che a me, in questo caso. Ma questo dimostra che è essenziale comprendere seriamente le motivazioni dei protagonisti e avere una chiara consapevolezza di ciò che è più importante ai nostri occhi per posizionarci.
La Francia non è l’ausiliario dell’esercito americano, né una delle fortezze dell’“Occidente” legate alle altre. La Francia non è una nazione “occidentale”. É una nazione universalista, a mio avviso. Inoltre, il nostro paese è presente sul continente sudamericano, vi ricordo sempre. Presente nella Guyana francese con il suo confine terrestre più lungo: 800 chilometri con il Brasile. Presente nei Caraibi dove Martinica e Guadalupe offrono una partnership trascurata dalla Francia. Abbiamo di meglio da fare lì che essere i piccoli soldati dell’Impero. Il nostro primo dovere nel mondo è di stare dalla parte del diritto dei popoli all’autodeterminazione. La Francia dovrebbe quindi essere per sua natura dedita all’anti-colonialismo, affinché le soluzioni siano determinate ovunque dalla sovranità popolare.
Questo può sembrare astratto. Ma l’indipendenza francese che è la mia linea e quella del programma “L’Avenir en commun” è, al contrario, il contributo concreto che il nostro paese può offrire di fronte al ricorso permanente delle armi. Non sono le armi il problema per me. Detto ciò, a questo punto metto da parte la questione morale dei crimini che le armi comportano in ogni circostanza e senza eccezioni. Il fatto è che non risolvono nulla il più delle volte, ma aggravano tutto.
Nel caso del Venezuela, cosa può fare l’intervento americano? Ciò presuppone che sia vittorioso, cosa che l’esempio del Vietnam o dell’Afghanistan non ha dimostrato. Può solo “risolvere” il destino della proprietà della più grande riserva petrolifera del mondo e del 18% del combustibile già consumato dagli Stati Uniti. Questo non è un motivo sufficiente o accettabile per uccidere le centinaia di migliaia di persone che si opporranno all’invasione.
In seguito, aggiungo ciò che conta nella mia motivazione sull’argomento, ma che non costituisce una condizione di accordo per opporsi all’intervento militare. Il Venezuela è un paese amichevole e un popolo di ammirevole impegno politico a favore dei diritti dei poveri e degli oppressi. Il Venezuela non ha mai scambiato il suo sostegno, i suoi soldi, le sue conoscenze ovunque le calamità naturali hanno colpito le popolazioni del continente e dei Caraibi; i francesi hanno beneficiato di questa assistenza in ogni calvario nei Caraibi.
Non abbiamo controversie con questo paese. Le difficoltà del governo di un paese i cui proventi del petrolio sono crollati di due terzi possono essere comprese. Soprattutto quando ha ampiamente distribuito questo reddito nei numerosi benefici sociali, a differenza delle petro-monarchie e di altri Stati petroliferi comparabili.
Il popolo venezuelano, se crede di aver commesso un errore nella scelta delle proprie politiche e dei propri leader, potrà dirlo al momento opportuno perché le elezioni in Venezuela sono libere. I loro risultati sono contestati solo da una parte dei perdenti, persone che boicottano invano le elezioni. E dagli Stati Uniti, naturalmente. Ma nessuna organizzazione internazionale li ha mesi in discussione.
Non è il caso, ad esempio, del Kazakistan, che fornisce alla Francia tutto l’uranio che acquista, ma il cui partito e presidente è al potere dal 1989 e sono stati accusati di innumerevoli crimini, torture e brogli elettorali. Tuttavia, alcuni mesi fa, la Francia ha firmato un approfondito accordo di cooperazione con questo paese e il portavoce de La République en Marche si è congratulato con questo paese per il suo progresso democratico. Ovviamente ho votato contro. Naturalmente i macronisti che fanno gli indignati nei confronti del Venezuela hanno votato per una profonda amicizia con il regime kazako.
Traduzione a cura di Andrea Mencarelli (Potere al Popolo) dell’editoriale di Jean-Luc Mélenchon, leader di France Insoumise, pubblicato su: https://melenchon.fr/2019/02/26/la-paix-en-europe-commence-au-venezu