Estero

La France Insoumise spiegata alle compagne e ai compagni di Potere al Popolo

di Aurélie andry

La France Insoumise, il giovane movimento francese che ha preso quasi il 20% alle elezioni presidenziali del 2017, è tra le forze della sinistra europea spesso indicate come modello dagli attivisti più in vista di Potere al Popolo, insieme a Podemos e Momentum. Il suo leader, Jean-Luc Mélenchon, è d’altronde stato l’unico dirigente di una certa portata che abbia esplicitamente appoggiato PAP durante la campagna per le politiche, quando è venuto con una delegazione di “insoumis” a visitare l’Ex-OPG “Je Sò Pazzo” di Napoli, dichiarando ai giornalisti di esser venuto per “imparare a fare la rivoluzione”. Con l’avvicinarsi delle prossime elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo, previste per il maggio 2019, la questione delle alleanze di PAP con altre forze europee e della sua posizione riguardo alla questione dell’Unione Europea (UE) sta diventando sempre più pressante. É dunque necessario fare il punto su cosa sia la France Insoumise e in cosa consiste veramente il suo famoso “Piano B” per l’Europa. Lo è a maggior ragione perché ad aprile PAP ha raccolto l’appello di Lisbona lanciato da France Insoumise, Podemos e Bloco de Esquerda con l’adozione di un breve manifesto intitolato “E ora il Popolo” che propone di fondare, in vista delle europee, un nuovo movimento politico “internazionale, popolare e democratico” per voltare la schiena al neoliberismo e rompere con l’austerità e il dumping sociale e fiscale imposti dagli attuali trattati.

 

Origini

Per spiegare l’emergenza e il successo della France Insoumise così come la sua posizione in materia di politica europea, occorre innanzitutto presentare il suo carismatico leader, Jean-Luc Mélenchon. Questi è stato membro del Partito Socialista francese (PS) per trentadue anni. Figlio di una famiglia di pieds-noirs rilocata dal Marocco in Francia nel 1962, entrò al PS nel 1976 – ai tempi del programma comune e dell’alleanza dei socialisti con i comunisti – dopo essersi formato nelle cerchie Lambertiste del Trotskismo francese. Mélenchon, che ammirava l’allora dirigente del PS François Mitterrand, ascese rapidamente nei ranghi del partito per divenire nel 1986 – a trentacinque anni – il più giovane senatore di Francia. Attivo in una corrente minoritaria della sinistra del partito, rimaneva tuttavia leale alla linea della sua direzione: difese la conversione di Mitterrand all’austerità dopo il 1983, votò a favore del trattato di Maastricht nel 1992, prima di diventare ministro nel governo di coabitazione guidato da Lionel Jospin sotto la presidenza di Jacques Chirac.

La svolta a sinistra di Mélenchon fu dall’inizio legata alla questione europea. Nel 2005, si oppose al progetto di Trattato Costituzionale Europeo (TCE) sostenuto con forza dal PS e respinto da una grande maggioranza popolare nel referendum francese. Cominciò allora a denunciare l’orientamento “ultra-liberale” dei trattati e delle politiche economiche europee, così come la loro debolezza sul piano sociale. Guidò una campagna attiva per il “no” in cui, in nome della sua corrente minoritaria e sfidando la dirigenza del suo partito, formò un’alleanza con altre forze di sinistra, ovvero il Partito Comunista Francese (PCF) e la Lega Comunista Rivoluzionaria (l’antenato dell’attuale Nuovo Partito Anticapitalista). Questo esperimento politico portò Mélenchon alla convinzione che una nuova forza di sinistra poteva emergere fuori dal PS, una forza che potesse rompere con la social-liberalizzazione della sinistra europea. Tre anni dopo, l’adozione da parte dei capi di governo europei del Trattato di Lisbona – che riproponeva il contenuto del TCE respinto dai popoli francese e olandese – finiva per convincerlo del tutto del carattere antidemocratico dell’UE.

Nel 2008, decise di rompere con il Partito Socialista per fondare il Partito di Sinistra (PG), ispirato allora alla Die Linke tedesca, per costruire un’alternativa alla socialdemocrazia ormai chiaramente confluita nel social-liberismo. Il PG fondò a sua volta il Fronte di Sinistra (FdG), una coalizione elettorale lanciata insieme al PCF e Sinistra Unitaria (GU). Nel 2012, Mélenchon fu il candidato del Fronte di Sinistra alle elezioni presidenziali e ottenne l’11%, un risultato deludente alla luce della popolarità della sua campagna. Le numerose assemblee popolari emerse in tutta la Francia al momento della campagna si estinsero nei mesi successivi e il Fronte ebbe scarsi risultati nelle successive elezioni prima di dissolversi nel 2016.

 

La svolta populista

Lo stesso anno, approfittando della spinta favorevole della mobilitazione contro la Loi Travail, Mélenchon (sempre alla testa del PG) lanciò l’idea della France Insoumise (FI). Il nuovo progetto di Mélenchon s’ispirava esplicitamente al modello di Podemos e alle teorie di Ernesto Laclau e di Chantal Mouffe – quest’ultima, infatti, lo sostiene ufficialmente – secondo le quali occorre costruire un populismo radicale progressista. Mélenchon scelse dunque di rompere con l’approccio del partito tradizionale e di distanziarsi dai vecchi simboli della sinistra radicale. La retorica della lotta di classe viene sostituita da riferimenti al “popolo” schiacciato dalla “casta”, “l’oligarchia” e da un sistema politico ed economico corrotto. Contemporaneamente, l’appellativo di “partito” viene abbandonato: “il movimento è al popolo quello che il partito era alla classe”. Il termine stesso di “sinistra” è tralasciato da Mélenchon, considerandolo deteriorato dall’esperienza del PS al potere e reso inattraente per l’opinione pubblica. Questo cambio d’approccio è esplicitato nei libri pubblicati da Mélenchon in quel periodo, quali L’ère du peuple (L’Era del popolo) e Le Choix de l’Insoumission (La scelta della Ribellione).

La campagna elettorale per le presidenziali del 2017, in cui Mélenchon è stato il candidato (auto-proclamato) della France Insoumise, consacrò questo nuovo approccio. Il rebranding era più che evidente. Le bandiere rosse e l’Internationale, che avevano segnato la campagna presidenziale del 2012, vengono sostituite dalle bandiere tricolore e da La Marseillaise nel 2017. “Dégagez!” – “fuori” – diventa allora il leitmotiv del movimento. Queste scelte sono anche state motivate dalla necessità di opporre una vera alternativa alla crescita dell’estrema destra in Francia. Secondo Mouffe, infatti, “l’unico modo di opporsi al populismo di destra è di costruire un populismo di sinistra”. Una delle idee fondamentali sulla quale la France Insoumise ha costruito la sua strategia comunicativa è che non bisogna lasciare all’estrema destra il monopolio delle bandiere, dell’inno, dei concetti di sovranità, di sicurezza e di laicità: sovranità popolare vuol dire potere al popolo, che vuol dire democrazia.

 

Campagna 2.0.

Si può difficilmente negare che la campagna elettorale di Mélenchon sia stata un grande successo, probabilmente la più riuscita dal punto di vista della comunicazione. In effetti, la squadra della campagna insoumise ha scommesso sull’innovazione: l’uso di ologrammi di Mélenchon per moltiplicare la sua presenza durante i raduni elettorali ha ovviamente lanciato un buzz mediatico; la creazione di una piattaforma interattiva e l’utilizzo di una serie di app e reti sociali – come il famoso “Discord Insoumis” ed il forum jeuxvidéo.com frequentati dalla comunità dei videogiocatori – ha permesso di attirare e di attivare un pubblico fino ad allora poco politicizzato, così come la creazione di un videogioco intitolato “Fiscal Kombat”, in cui Mélenchon è il protagonista, e l’illustrazione del programma della France Insoumise in versione fumetto; inoltre, il canale YouTube di Mélenchon è stato il più seguito dei candidati alle presidenziali, raggiungendo ogni settimana tra le 70 000 e le 200 000 viste.

Con la sua “Revue de la semaine”, dove Mélenchon ha preso l’abitudine di esprimersi davanti alla sua webcam su temi d’attualità, è riuscito a costruirsi un’immagine nuova, rassicurante, quella di un prof. di storia simpatico e naturale, del maestro del popolo che spiega ogni questione in un linguaggio semplice ma senza abbassare il livello del dibattito, senza disprezzare il suo pubblico. La sua maniera di esprimersi non lo rende associabile alle sfere elitiste del potere. La direttrice della comunicazione degli insoumis, Sophia Chikirou, si è fatta le ossa nelle campagne di Podemos e di Bernie Sanders.  L’idea, ispirata da pratiche già sperimentate per esempio da Pablo Iglesias nel suo programma “La Tuerka”, è di usare reti sociali e “nuovi media” per combattere una battaglia culturale, appropriandosi dei codici popolari e della cultura geek per arrivare a quante più persone possibile e contrastare la mancanza di visibilità di alcuni temi e alcuni attori sociali e politici da parte dei media. Contemporaneamente, Mélenchon – che viene soprannominato le tribun per la sua verve retorica – è stato acclamato come il vincitore dei dibattiti televisivi durante la campagna elettorale.

La campagna della France Insoumise è stata molto incentrata sul suo programma, L’Avenir en Commun (Il Futuro in Commune), uscito già a dicembre 2016 e poi completato da una serie di “livrets thématiques” che approfondivano alcuni aspetti del programma. Tutto mirava a dare credibilità al programma e a dimostrare la sua fattibilità;  Mélenchon registrò anche con la sua squadra di campagna un lungo video in cui metteva in cifre in maniera dettagliata l’applicazione del programma. Le misure proposte erano tante: i temi valorizzati con particolare forza durante la campagna erano la transizione verso una “Sesta Repubblica”, la rottura con i trattati europei, l’istaurazione di un modello sociale sostenibile dal punto di vista dell’ecologia, e una maggiore indipendenza della Francia negli affari esteri – in particolare grazie all’uscita dalla NATO, la fine del sostegno al regime americano e alle petro-monarchie del Golfo, e la costruzione di una nuova alleanza alter-mondialista con i paesi BRIC. La Sesta Repubblica intende sostituirsi all’attuale Quinta Repubblica francese che gli insoumis caratterizzano come una “monarchia presidenziale”, denunciando i poteri estesi del Presidente e contestando le prerogative e l’esistenza stessa del Senato. Si propone di chiamare un’Assemblea Costituente per scrivere una nuova costituzione includendo nuovi diritti sociali ed ecologici.

Il programma è stato presentato soprattutto come un vettore di rinnovamento politico. Manuel Bompard, direttore di campagna e braccio destro di Mélenchon, ha espresso la sua volontà di trasformare la cultura della base militante di France Insoumise, non solo mettendo nel ripostiglio le bandiere rosse, ma anche sostituendo l’abitudine di pensarsi come forza oppositrice e di resistenza, con un’immagine più positiva di forza del cambiamento – istituire un nuovo mondo invece che di destituire il vecchio mondo.

 

Le elezioni

I risultati furono (quasi) all’altezza degli sforzi investiti. Nelle ultime settimane prima dello scrutino, Mélenchon registrava la più alta crescita di sostegno di tutti i candidati (+7 per cento). Ottenne il 19,58% dei voti al primo turno, pari a sette milioni di voti, cioè un risultato impressionante se confrontato al risultato del Front de Gauche nel 2012, anche se non bastò per qualificarsi per il secondo turno – era al quarto posto dietro Emmanuel Macron con La République en Marche (LREM), Marine Le Pen per il Front National (FN) e François Fillon per Les Républicains (LR). I principali elettori della France Insoumise sono stati i giovani (30% dei 18-24 anni), i disoccupati (31%), una parte degli operai, impiegati, quadri, lavoratori del terzo settore, oltre ad alcuni vecchi sostenitori del PS, professori, artisti, funzionari e sindacalisti tendenza CGT. Ci fu anche un sostegno impressionante di giovani dei quartieri popolari – le famose banlieues – di origine immigrata, che spesso non avevano mai votato prima. In quattro delle dieci più grandi città di Francia – Marsiglia, Tolosa, Montpellier, Lille – Mélenchon è arrivato primo. E, soprattutto, Mélenchon schiacciò il candidato del PS, Benoît Hamon, confermando la sua intuizione iniziale. Non solo era riuscito ad imporsi come il voto più pertinente a sinistra, ma Mélenchon aveva anche attirato alcuni ex-votanti della destra e dell’estrema destra.

Poche settimane dopo, però, alle elezioni legislative, la France Insoumise sprofondò, prendendo poco più dell’11% e 17 seggi, cioè non abbastanza per pesare veramente nelle negoziazioni parlamentari. I motivi di questo crollo sono stati vari. Innanzitutto l’attitudine del PCF che, dopo aver appoggiato la candidatura di Mélenchon alle presidenziali, decise di mantenere le sue liste separate alle legislative, prendendo 10 seggi. Inoltre, dopo una campagna fondata sul progetto della Sesta Repubblica, risultò difficile convincere gli elettori, soprattutto quelli che solitamente non si spostavano alle urne, che bisognava comunque cercare di fare opposizione nelle istituzioni corrotte della Quinta Repubblica. France Insoumise è riuscita comunque, a un anno dalle legislative, ad insediarsi nella mente dei francesi quale principale oppositore alla politica di Emmanuel Macron, anche grazie all’implosione del PS, di LR e del FN (ribattezzato di recente Rassemblement National), completamente logorati dalle loro divisioni interne.

 

Strutturazione del movimento

Inizialmente, la France Insoumise si era costituita sull’appello di aderire al movimento per sostenere la campagna presidenziale di Mélenchon. Chiunque fosse intenzionato ad aderire poteva farlo su una piattaforma online in due click, senza pagare una quota – ci sono oggi intorno ai 500 000 iscritti. La prima fase organizzativa era dedicata alla scrittura del programma – era possibile partecipare mandando contributi online che erano poi valutati, sintetizzati ed integrati al programma redatto, come i livrets thématiques, da “attori” competenti su ogni tema – e alla costituzione di piccoli “gruppi d’appoggio” locali la cui funzione iniziale era di diffondere il programma e di svolgere la campagna di France Insoumise sul posto. In alcuni casi, questi gruppi locali ebbero la possibilità di partecipare alla scelta dei candidati alle legislative, mandando le loro proposte a un “comitato elettorale” nazionale (di cui alcuni partecipanti erano scelti tramite sorteggio tra gli iscritti alla piattaforma) che selezionava poi i candidati finali.

Oggi, a più di due anni dalla sua creazione e dopo due Convenzioni nazionali (a Ottobre 2016 a Lille e a Novembre 2017 a Clermont-Ferrand) durante le quali è  stata affrontata la questione della struttura e dell’organizzazione del movimento, la France Insoumise ha confermato la sua forma atipica, diversa rispetto a quella di un partito classico. Si definisce come un “movimento-rete” policentrico, evolutivo, aperto e popolare, inclusivo, umanista, politico-sociale e culturale, orientato all’azione. I più di 5000 “gruppi d’appoggio” sparsi su tutto il territorio, che si erano costituiti durante la campagna presidenziale, sono diventati dei “gruppi d’azione” che costituiscono, in teoria, la spina dorsale della France Insoumise. Secondo la “carta dei gruppi d’azione”, questi detengono una autonomia d’azione nel rispetto del programma dell’Avenir en Commun. Non hanno però quasi nessun potere su questioni importanti come la scelta dei candidati (per esempio per le europee) e non hanno modo di fare proposte politiche o di esercitare qualche forma di controllo sul gruppo parlamentare. Infatti, nelle settimane prima della Convenzione di Clermont-Ferrand, molti dei 700 contributi online sulla questione del modello organizzativo di France Insoumise criticavano alcuni elementi della carta dei gruppi d’azione, come il fatto che siano limitati a quindici persone e non abbiano il diritto di stabilire strutture permanenti e intermediarie tra di loro.

Oltre ai gruppi d’azione, la France Insoumise consiste in una serie di poli vari, ognuno con le sue funzioni specifiche: il gruppo parlamentare diretto da JLM e composto da 17 deputati, lo “spazio delle lotte”, la “squadra operazionale”, lo “spazio politico”, e lo “spazio programmatico”. La squadra operazionale, anche lei orientata all’azione, ha per obiettivo quello di occuparsi dei compiti operativi necessari per svolgere le campagne del movimento. È responsabile di coordinare i gruppi d’azione, di organizzare eventi nazionali, e di creare materiali di comunicazione e campagna. Lo “spazio politico” include i diversi partiti e organizzazioni sostenitori di France Insoumise (come il PG, Ensemble!, Socialistes Insoumis e Communistes Insoumis) e non è definito né come un organo decisionale né come un cartello di organizzazioni, ma come uno spazio di “fraternità, fiducia e mutuale consenso” i cui membri partecipano alle Convenzioni… Lo spazio delle lotte sostiene lotte locali, portate avanti da sindacati ed associazioni, che corrispondono agli obiettivi di trasformazione sociale ed ecologica fissati nel programma di France Insoumise. Infine lo spazio programmatico elabora il contenuto del programma e organizza delle sessioni educative per i militanti. Il movimento non ha portavoce ma “oratori nazionali”, undici nel complesso.

Nessuno dei dirigenti di queste strutture è eletto dai membri del movimento. France Insoumise insiste invece che la logica del voto e della rappresentanza non ha il suo posto nei suoi ranghi. La maggior parte delle posizioni di dirigenza sono occupate da membri della squadra della campagna presidenziale e da rappresentanti dei partiti che sostengono FI. In alcuni casi, il voto e la rappresentanza sono stati sostituiti dal sorteggio. Per esempio, metà dei partecipanti alle Convenzioni sono stati sorteggiati tra i membri registrati sulla piattaforma che avevano espresso la volontà di parteciparvi, così come una parte del “comitato elettorale” – quello che nominerà ora i candidati per le elezioni europee.

 

Ecole Insoumise e “mutualismo”

Per sostenere le sue strutture, dinamizzare i suoi gruppi d’azione, incoraggiare la mobilitazione sociale e l’empowerment popolare e permettere al più grande numero di persone possibile di attivarsi, la France Insoumise ha anche creato una “Scuola di Formazione Insoumise”. Lanciata a gennaio 2018 per rispondere alle attese che erano emerse durante la Convenzione di Clermont Ferrand, la scuola di formazione – denominata éFI – organizza corsi aperti a tutti e tutorial, ritrasmessi online in accesso libero e gratuito, che mirano a favorire l’educazione popolare e l’azione militante. Con i corsi, ognuno ha la possibilità di istruirsi su una varietà di temi cari agli insoumis: il nucleare, i media, la povertà, la geopolitica, il diritto all’educazione. I tutorial, invece, sono un vero e proprio abbecedario pratico dell’apprendista militante: organizzare una manifestazione, parlare in pubblico, scrivere una canzone di lotta, organizzare una cassa di solidarietà con gli scioperanti, contribuire alla convergenza delle lotte, ecc. Questa mina d’oro è inoltre completata da decine di “fiches pratiques” che spiegano in modo molto accessibile come agire nel proprio quartiere (attacchinare, organizzare un dibattito di strada, etc.), su Facebook e Twitter (partecipare ai dibattiti o agli eventi), contro l’evasione fiscale o contro la povertà. Questi strumenti devono rompere il muro che, secondo Mélenchon e la sua squadra, separa nei partiti tradizionali i militanti dal resto della popolazione, permettendo l’auto-organizzazione.

La strategia di mobilizzazione della France Insoumise include anche approcci che si possono paragonare a quello che nel movimento italiano viene chiamato “mutualismo”. Esistono in primo luogo le “Carovane Insoumises”, lanciate durante la campagna presidenziale e poi proseguite ogni estate, che girano la Francia fermandosi in numerosi città e paesi – e prossimamente anche nelle campagne – con lo scopo di aiutare i cittadini ad accedere ai diritti sociali, sanitari, civici, a cui hanno diritto ma che spesso non ricevono per colpa degli ostacoli burocratici o di una mancata formazione. È inoltre in corso da qualche mese lo sviluppo del “metodo Alinsky” – teorizzato dal sociologo americano Saul Alinsky –, un metodo d’auto-organizzazione che consiste nell’identificare problemi sociali locali nel quartiere ed aiutare la gente ad organizzarsi in comune per risolverli. Infine, la France Insoumise ha cominciato di recente a produrre e mettere a disposizione su l’éFI anche tutorial che spiegano come accedere ai propri diritti, per esempio, come “fare una domanda di alloggio sociale”. Questi strumenti mirano, infine, a superare la difficoltà di mantenere un livello alto di mobilizzazione anche fuori dai periodi elettorali.

 

La difficile unione della sinistra

A due anni dalla sua creazione, la France Insoumise fa ancora fatica a unire le forze a sinistra del Partito Socialista. Una parte delle difficoltà è certamente legata al suo modello organizzativo. La nuova forma d’organizzazione politica sviluppata dalla France Insoumise pone infatti un certo numero di domande. In questa struttura “policentrica”, chi è che in fin dei conti prende le decisioni? Qual è la legittimità dei dirigenti attuali di France Insoumise? Che potere hanno veramente i militanti? In un saggio del 1970 intitolato “The tyranny of structurelessness”, Jo Freeman rilevava come l’assenza di strutture decisionali formali fosse un modo di mascherare il potere – quando la democrazia invece necessita di una circolazione dei compiti, una distribuzione dell’autorità a un ampio numero di persone, e la responsabilità dei dirigenti davanti alle persone che le hanno elette. Se è vero che la France Insoumise non ha adottato le strutture rigide o gerarchiche dei partiti classici, quello che però ha in comune con la maggior parte di essi è un potere politico concentrato in relativamente poche mani. Quando è stato interrogato sulla verticalità del movimento, Mélenchon ha risposto con una formula ormai diventata famosa: “La France Insoumise non è né verticale né orizzontale, è un movimento gassoso”.

La scelta di questa “gassosità” non è stata fatta a caso. Per Mélenchon e i suoi fedeli, è stato sicuramente un modo per superare la guerra fratricida interna alla sinistra francese – che Mélenchon conosce fin troppo bene, avendo avuto anche negli ultimi anni una serie di scontri con il PCF che ha sempre rifiutato di abbandonare il proprio branding per rafforzare il Fronte di Sinistra o di rompere le sue alleanze al livello locale con il PS. Come PAP, la France Insoumise è un tentativo di superare la frammentazione della sinistra francese e di farlo non accontentandosi semplicemente di aggregare i frammenti, ma cercando di creare un soggetto autonomo con un’identità propria. La scelta del “movimento-rete” mirava anche ad attirare singoli (in particolare i giovani) per i quali il termine “partito” richiama la vecchia tradizione fallita (e odiata) della politica di sinistra. Nei “Principi Politici” adottati a Clermont-Ferrand, la France Insoumise non intende sostituire i partiti ma farli coesistere insieme ai singoli, senza relazione di subordinazione. Evidentemente, per un tempo questa strategia ha pagato, anche se i partiti alleati di Mélenchon non hanno proprio apprezzato la sua auto-proclamazione come candidato alle presidenziali, né il ruolo quasi consultivo che essi hanno dentro France Insoumise. Bisogna vedere, però, cosa succederà quando, prima o poi, le divisioni si paleseranno in assenza di organi legittimati a comporle e a prendere decisioni. Soprattutto, sul lungo termine, questa strategia rischia di schiacciare la base militante del movimento: malgrado tutti gli sforzi fatti per incoraggiare la mobilitazione sociale e l’empowerment popolare, la difficoltà per i militanti di incidere sulle decisioni e la scelta dei candidati rischia di avere seri effetti scoraggianti.

Inoltre, alcune dichiarazioni o non-dichiarazioni mediatiche di Mélenchon e dei leader della France Insoumise hanno creato dissensi nella sinistra comunista e movimentista: quando Mélenchon ha parlato dei lavoratori distaccati all’estero che “rubano il pane” dei francesi, contestato il termine “islamofobia”, condannato le “militanti provocatrici in burkini”, celebrato l’“universalismo” francese sui cinque continenti o insistito sull’importanza per la Francia di sviluppare rapporti con la Russia; quando uno dei deputati più in vista di France Insoumise, François Ruffin, ha rifiutato di esprimere sostegno per la famiglia Traoré, vittima di accanimento giudiziario da quando lotta per ottenere verità e giustizia sulla morte di Adama Traoré, asfissiato dalla polizia durante un arresto nel 2016; quando il candidato della France Insoumise Djordje Kuzmanovic, favorevole ad un alleanza con la Syria contro Daesh e al ristabilimento del servizio militare, gioca la carta patriota – “Français!  Macron va faire de la bouillie de notre système social” – nei suoi tweets. Per non parlare dell’ambiguo ritardo nel reagire sula questione dell’Acquarius e l’indignazione provocata negli ambienti anti-razzisti e di movimento dallo scarso supporto che la deputata insoumise nera Danièle Obono ha ricevuto dai suoi colleghi, quando è stata vittima di un linciaggio mediatico-politico per avere difeso una militante anti-razzista e “decoloniale” nera del molto biasimato Partito degli Indigeni della Repubblica (PIR). Anche se Mélenchon ha senza dubbio ragione a denunciare la manipolazione sistematica che i media fanno dei discorsi degli insoumis, non si può del tutto negare che i dirigenti del movimento tendono ad usare una retorica atta ad attrarre elettori astensionisti o dell’estrema destra. Sembra legittimo interrogarsi sui rischi di distanziarsi dai codici della sinistra radicale e della retorica della lotta di classe in un momento in cui la popolazione Francese è sempre meno politicizzata e il senso comune sempre più permeato dai valori dell’estrema destra.

Quest’anno, la primavera di lotta politica e sociale sorta dalle lotte congiunte di lavoratori, studenti e migranti è stata un’occasione per gli insoumis di dimostrare la loro capacità a fondersi in un fronte unito delle lotte. Malgrado una dichiarazione divisiva di Mélenchon che condannava i “casseurs” della manifestazione parigina del Primo Maggio, il 5 e 26 maggio, la France Insoumise è stata una delle forze propulsive delle “maree popolari” – centinai di migliaia di persone – che hanno preso le strade di Parigi e del resto della Francia per protestare contro le politiche del governo Macron, raccogliendo anche l’adesione della CGT e di pezzi di movimento anti-razzisti di cui il comitato “Justice pour Adama”. Ciononostante, lo scorso 3 giugno, la designazione di Ian Brossat come capolista dei comunisti alle europee ha annunciato un riavvicinamento del PCF al partito Génération.s di Hamon e quindi un possibile arretramento nel progetto di unione della sinistra voluta da Mélenchon.

 

Il “Piano B” per l’Europa

La posizione della France Insoumise in materia europea è abbastanza semplice. L’Unione Europea oggi non c’entra più nulla con la cosiddetta “idea europea”; è diventato poco più di un mercato unico, dove i popoli sono sottomessi ai diktat delle banche e della finanza. Si tratta dunque di proporre un “Piano A” – cioè quello di negoziare nuovi trattati europei basati su una rifondazione democratica, sociale ed ecologica dell’UE.  Nel caso in cui queste negoziazioni dovessero fallire – cioè quasi sicuramente – bisogna avere già pronto il “Piano B”. L’idea del Piano B è stata maturata da Mélenchon e dal suo Parti de Gauche dopo la crisi greca e il fallimento del governo di Syriza. La decisione del governo di Tsipras di tradire il voto anti-austerità del popolo greco – che si era espresso prima nelle elezioni poi nel referendum del luglio 2015 – e di accettare la messa sotto tutela dalla Troika è stata una lezione importante per Mélenchon. Senza una strategia d’uscita dai trattati, i governi non hanno nessun potere di trattativa all’interno dell’UE. Mélenchon ne ha dunque dedotto che l’unico modo di portare avanti un programma come quello della France Insoumise è di costruire un rapporto di forza che permetta di rompere con le politiche europee d’austerità, di libero scambio e di distruzione dei servizi pubblici. La Francia – sesta potenza economica del mondo – detiene mezzi di pressione molto superiori a quelli della Grecia per pesare contro la Germania. Inoltre un’alleanza di forze al livello europeo rafforzerebbe le possibilità di rompere la gabbia. In definitiva, la strategia del Piano A/Piano B è una strategia che scommette sulla costruzione di un rapporto di forza: dal momento in cui esiste un fronte unito di paesi pronti a scendere in campo con questa strategia, le due scelte si rafforzando a vicenda.

Le misure immediate preconizzate dalla France Insoumise quando arriverà al governo sono dunque: disobbedire immediatamente (anche prima di iniziare negoziazioni europee) a una serie di regole e direttive inaccettabili quali la regola dei 3% del deficit pubblico, il patto di stabilità e la direttiva sui lavoratori distaccati; rifiutare i trattati di libero scambio quali TAFTA, CETA e TISA sostenuti dalla Commissione Europea; applicare contemporaneamente misure quali il controllo dei capitali alle frontiere, l’adozione di una moratoria sul rimborso del debito pubblico; porre fine alla privatizzazione e alla liberalizzazione dei servizi pubblici. Parallelamente, la France Insoumise intende proporre il suo Piano A ai partner europei – un processo trasparente in cui si metterà fine all’opacità e al segreto delle negoziazioni europee – che comprenderà: una riforma della Banca Centrale Europea (BCE) che porebbe fine alla sua indipendenza e modificherebbe le sue missioni; una regolarizzazione della finanza; la fine dei controlli e delle sanzioni sui budget nazionali; un’armonizzazione sociale e fiscale europea (salario minimo europeo, convergenza della tassazione, lotta contro i paradisi fiscali, fine delle privatizzazioni e liberalizzazioni dei servizi pubblici) e l’adozione di una clausola di non regressione dei diritti sociali; l’avvio di un protezionismo europeo (fine delle politiche di libero cambio con i paesi terzi e autorizzazione di sussidi dello stato ai settori strategici); una riforma della politica agricola comune in un senso ecologico e di ri-localizzazione; l’abbandono del mercato carbone e l’avvio di una vera politica di riduzioni di emissioni di gas a effetto di sera.

Se i partner europei dovessero accettare solo in parte le rivendicazioni francesi, i risultati della negoziazione sarebbero sottomessi al popolo francese via referendum. Il popolo francese deciderà dunque se rimanere nell’UE e nella zona euro o se avviare il Piano B. Se invece i governi europei respingeranno tutte le rivendicazioni del governo insoumis, si passerà direttamente al Piano B. Il Piano B consiste molto esplicitamente nell’uscire dall’UE, lanciare una nuova politica monetaria con requisizione della Banca di Francia per tornare ad una moneta nazionale, proporre ai paesi interessati di sviluppare una moneta comune, avviare il “protezionismo solidale”, e avviare nuove cooperazioni internazionali con i popoli che desiderano cooperare a favore del progresso umano.

Un asse importante della strategia “Piano B” della France Insoumise è dunque quello di sviluppare cooperazioni – invece che competizioni – con altri popoli d’Europa nei settori culturale, scientifico, industriale, ecologico e sociale. Intende farlo proponendo un’alleanza dei paesi d’Europa del Sud per uscire dall’austerità e avviare politiche concertate sul rilancio ecologico e sociale dell’attività economica; rafforzando la partecipazione francese ai programmi più larghi dell’UE (come Erasmus) o che non c’entrano con l’UE (come Airbus); proponendo nuove cooperazioni in materia sociale o ecologiche (per esempio riguardando la transizione energetica). La “Dichiarazione di Lisbona” adottata il 13 aprile da France Insoumise, Podemos e Bloco de Esquerda – e sottoscritta in seguito da Potere al Popolo – intende creare un movimento politico su queste basi.

La campagna elettorale per le europee si sta già preparando nei ranghi della France Insoumise – la lista dei candidati è stata pubblicata lo scorso 5 giugno. Questa campagna sarà particolarmente importante per la France Insoumise, perché sarà il primo test elettorale del governo Macron e dell’opposizione Insoumise e perché la questione europea è stata determinante nella disfatta di Mélenchon alle presidenziali. Una parte significativa delle classi medio-alte avrebbero probabilmente votato Mélenchon se il suo discorso sull’Europa fosse stato più “pacato”. Il dilemma della France Insoumise sarà dunque di precisare la sua linea europea, convincere della sua credibilità,  tentando al tempo stesso – lo ammette Manuel Bompard – di non lasciare all’estrema destra il monopolio del protezionismo, della sovranità popolare e della critica all’UE. La posizione europea della France Insoumise e la retorica anti-tedesca (o anti-Merkel) adottata da Mélenchon contrastano in ogni punto con quelle dell’attuale presidente della Francia Emmanuel Macron, fedele sostenitore del ruolo egemonico dell’asse Francia-Germania e delle politiche d’austerità.

Al livello europeo, molte cose sono cambiate per la sinistra dalle ultime elezioni del Parlamento Europeo, in particolare dopo il fallimento del governo di Tsipras. In seno al gruppo parlamentare Sinistra Unitaria Europea/Sinistra Verde Nordica (GUE/NGL) e al Partito della Sinistra Europea (SE) – a sinistra dei socialisti europei – coabitano per ora i sostenitori del Piano B e quelli, come Die Linke in Germania e il PCF in Francia, che auspicano un ri-orientamento radicale delle politiche europee ma senza considerare una rottura. La strategia del Piano B è infatti minacciata dalla concorrenza del Movimento “DIEM25” – il “Movimento per la Democrazia in Europa 2025” – lanciato in 2016 da Varoufakis, ex Ministro delle Finanze del governo di Tsipras e che propone una democratizzazione delle istituzioni della UE dall’interno. Il nuovo progetto dell’alleanza di Lisbona potrebbe dunque annunciare la creazione di una nuova forza concorrente a SE. Il Partito di Sinistra di Mélenchon, membro della France Insoumise, aveva chiesto a gennaio l’esclusione di Syriza da SE, sulla base della considerazione che il partito di Tsipras seguiva i diktat della Commissione Europea, ma la richiesta è stata respinta da SE. Di fronte alla crescita dell’estrema destra e all’onnipotenza dell’estremo centro, la prospettiva di un rimpasto della sinistra europea diventa cruciale. In gioco sarà la possibilità, per le forze che appoggeranno “E ora il Popolo”, di raccogliere sostegni sufficienti per costruire quel rapporto di forza necessario per rompere la gabbia dell’UE, che sia con il Piano A o con il Piano B.

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