Piemonte - Il fallimento della sanità piemontese

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EGIONALIZZAZIONE E AZIENDALIZZAZIONE DELLA SANITA’ PIEMONTESE: IL FALLIMENTO DI UN MODELLO
Un confronto a partire dal documento prodotto dalle compagne e i compagni di Potere al Popolo! Alba, Ciriè, Domodossola e Torino
https://poterealpopolo.org/regionalizzazione-aziendalizzazione-sanita-pubblica/
Lunedì 8 giugno alle 20.30, diretta Facebook dalle pagine di
Potere al Popolo – Alba
Potere al Popolo- Ciriè Valli di Lanzo
Potere al Popolo – Ossola
Potere al Popolo – Torino
Interventi:
Emanuela Marceddu (USB Sanità)
Alessandro Zanetti (CUB)
Maria Cariota (Assemblea 21 Torino)
Andrea Ciattaglia (Fondazione Promozione Sociale)
Isadora Sales (Collettivo Studentesco Antifascista Alba)
Mauro Argiolas (Laboratorio Chabas Alba)
Il Piemonte, partito in sordina, ha gradualmente scalato le classifiche delle regioni italiane più colpite dal Covid-19, e al momento è stabilmente la seconda regione per numero di contagi, dietro alla sola Lombardia. La gestione di Cirio e Icardi è senz’altro risultata fallimentare, anche nella poco comprensibile emulazione delle scelte lombarde: la centralità attribuita agli ospedali, così trasformati in focolai di contagio; l’alleggerimento degli ospedali, rapidamente intasatisi, con spostamento dei malati nelle Rsa e conseguente strage degli anziani pazienti; la sottovalutazione della risposta territoriale, sino allo scandalo delle centinaia di segnalazioni dei medici di base andate perdute; la mancata fornitura di adeguate protezioni al personale sanitario.
Crediamo tuttavia, allo stesso tempo, che l’emergenza abbia anche messo a nudo carenze strutturali del sistema sanitario regionale, che rimandano a scelte politiche di lungo corso, portate avanti anche da tutte le giunte regionali precedenti, di centro-destra come di centro-sinistra; in un contesto generale caratterizzato, a partire dal 1992 e con una intensificazione dopo il 2011, da uno smantellamento del sistema sanitario nazionale istituito nel 1978 all’insegna dei principi di aziendalizzazione, privatizzazione e regionalizzazione. Quest’ultima, poi rafforzata con la riforma del titolo V della Costituzione nel 2001 – e di cui l’autonomia differenziata recentemente perseguita con decisione da Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna rappresenterebbe l’ulteriore salto di qualità – va letta nel contesto di un forte taglio dei finanziamenti erogati dallo Stato centrale alle Regioni, che dunque devono trovare da sé le risorse per la sanità e ciò le porta fisiologicamente ad aprire spazi agli investimenti privati.
È stato d’altra parte proprio il meccanismo stesso dell’aziendalizzazione della sanità (che dunque diventa soggetta agli stessi meccanismi di qualunque azienda, costretta a puntare sulla propria “competitività” per poter stare sul mercato) e il perverso meccanismo dei vincoli di bilancio, prima ancora di qualunque possibile “inefficienza”, a spingere la nostra regione verso il drastico ridimensionamento della spesa sanitaria, fino ad arrivare al Piano di Rientro firmato dal leghista Cota nel 2010.
Decisive risultano le politiche nazionali nel frattempo introdotte, in particolare dal governo Monti, che impone, in ossequio ai diktat dell’austerità europea (si veda il pareggio di bilancio inserito direttamente in Costituzione), tagli draconiani agli ospedali, ai posti letto, alla medicina territoriale e al personale sanitario. Negli anni successivi proseguono naturalmente i tagli alla sanità che si vede sottratti, come documentato recentemente dalla Fondazione Gimbe, 37 miliardi negli ultimi 10 anni. Tra il 2011 e il 2013 due decreti legge offrono un impulso decisivo specificamente alla revisione della rete ospedaliera (posti letto) e territoriale (cure primarie). Tali indicazioni vengono effettivamente recepite dalla successiva giunta Chiamparino (PD), che nel 2014-2015 provvede di fatto a una riforma strutturale della sanità regionale.
I risultati? Tra il 2010 e il 2017, il personale sanitario è sceso di oltre 3.800 unità (-6,7%, di cui 426 medici, -4,8%, e 595 infermieri, -2,69%), i letti di quasi 6.000 posti (crollando da 4,5 a 3,1 ogni mille abitanti), gli ospedali da 44 a 36. Più nello specifico, è tutta la dimensione della medicina territoriale ad essere stata del tutto trascurata, come emerso in modo drammaticamente evidente durante l’emergenza Covid-19.
È questo stesso sistema, ora, ad essere esposto agli altissimi rischi derivanti da una radicale riapertura delle attività produttive, la cosiddetta “Fase 2”, più dettata dagli interessi delle imprese che ispirata all’interesse e alla salute collettiva. Mentre il Partito Democratico critica l’operato della giunta Cirio rilanciando sulla salute come “investimento produttivo” a partire dal progetto del Parco della Salute, e cioè dando ulteriore campo libero ai privati nella gestione diretta della sanità, come Potere al Popolo crediamo sia invece giunto il momento di rompere con questi indirizzi politici e con un intero modello che si è dimostrato fallimentare, aprendo una battaglia politica per riportare al centro il servizio sanitario nazionale con un piano straordinario di potenziamento e assunzioni, interamente pubblico, interrompendo immediatamente ogni collaborazione con il settore privato e uscendo dai paletti determinati dai vincoli di bilancio.
In questo lavoro ci concentriamo dunque sui seguenti punti di analisi:
1.Le carenze della rete di medicina territoriale
2. Logica dell’eccellenza vs presidi sul territorio: alcuni casi studio
– Il progetto del Parco della Salute a Torino
– L’ospedale di Verduno e la dismissione dei presidi di Alba e Bra
– Il ridimensionamento dell’ospedale di Lanzo
– La sanità del Verbano-Cusio-Ossola tra criticità del territorio e progetti di ospedale unico
3. Il caso tamponi e le carenze strutturali della diagnostica piemontese
4. Le RSA e i malati non auto-sufficienti

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(Lunedì) 20:30 - 23:30(GMT+00:00)

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