Tre regioni del Nord hanno chiesto di essere autonome, slegate dal resto del Paese. Non sono tre regioni scelte a caso, per nulla. Sono le regioni con il PIL maggiore, con il livello di export maggiore: sono le uniche che per la struttura UE valgono qualcosa. Il resto… che sia quel che sia, e non dia fastidio a chi “fattura”.
Tecnicamente, queste regioni chiedono di mantenere sul territorio più risorse attraverso una compartecipazione al gettito Irpef. Politicamente, chiedono di staccarsi dal “peso morto” del centro-sud Italia per essere libere di volare e agganciarsi al Centro del sistema UE. Non è cosa da poco.
Quando il Senatur, negli anni 90, conquistava le piazze al grido di “secessione!” non era tempo né modo. Ora è cambiato tutto. Gli spazi ci sono, e bisogna anche affrettarsi. La crisi ha rinforzato il processo di accentramento delle strutture continentali, agli Stati resta poco da battere i pugni sul tavolo. Il grande capitale, mentre cerca di costruire un blocco per la competizione globale, adesso ha tutto da guadagnarci. E così, l’autonomia differenziata è uno strumento di cui si dotano alcuni pezzi di borghesia italiana per non morire nella grande e desolata Periferia continentale. Un ulteriore passo verso lo smantellamento dello Stato, crivellato in questi decenni dai Trattati europei, le nazionalizzazioni forzate e forzose, delocalizzazioni di massa (di imprese e persone..) e distruzione di un mondo di diritti che -ci dicono- si candidano a far parte di una storia del paese che non esiste più. Flessibilità, sembrano dirci, per tutti: lavoratori, aziende, ora anche per le strutture di un Stato utile solo a reprimere il dissenso e gestire il massacro sociale.
Non crediamo sia una casualità che più di un ministero ha espresso in questi giorni riserve sul contenuto degli accordi, e che su diversi punti la sintesi “tecnica” non è stata trovata. Perché se politicamente la spinta dall’alto è di “salvare il salvabile e il resto con i piedi a mollo”, altra cosa potrebbe essere la gestione effettiva di questo processo da parte di una forza -come i 5S- che sono arrivati al governo promettendo tutt’altro. Dovevano salvare la sanità, e invece… Dovevano salvare l’istruzione, e invece… Dovevano salvare la Costituzione, e invece!
Contro quest’ennesimo passo in avanti è necessario mobilitarsi. A Roma, a Napoli, in tutte le città dove sia possibile come Potere al Popolo, noi ci saremo. Perché vediamo bene che la differenza tra il “noi” e i vari “loro” è una questione di coerenza: i “loro” a Bruxelles -i nostri veri nemici- sono coerenti, perché vogliono massacrarci e lo fanno; i “loro” in Parlamento -le marionette, i complici, gli strumenti del pilota automatico- sono incoerenti, perché dicono qualcosa e fanno tutt’altro. Noi siamo di tutt’altra pasta, perché proveniamo dalle fila di quelli che, nei loro progetti, dovrebbero scomparire. In una start-up lombarda a contratti di 1 mese, in un campo di pomodori a 2 euro l’ora, in un salotto depressi per mancanza di lavoro…poco importa, basta che scompariamo e non diamo fastidio.
Avete capito male!
Non abbiamo nessuna intenzione di scomparire, né di abbassare la testa!
Per questo aderiamo alla giornata di mobilitazione nazionale contro il nuovo federalismo e venerdì 15 febbraio alle 12.30 saremo sotto la Regione, in viale Aldo Moro 52, in sostegno alla mobilitazione nazionale contro l’autonomia “differenziata” delle regioni del nord.
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