La crisi finanziaria del 2008 ebbe tra i suoi effetti, una accentuazione del ruolo della governance economica nella Unione Europea a scapito della già debole governance politica.
Già nel 2010, sull’onda della crisi del debito greco, attraverso l’ECOFIN, il Consiglio Economia e Finanza responsabile della politica dell’UE, aveva ideato due strumenti di assistenza temporanea per quegli Stati che si fossero trovati in condizioni finanziarie critiche: il Meccanismo europeo di Stabilizzazione Finanziaria (EFSM) e il Fondo Europeo di Stabilità Finanziaria (EFSF).
L’anno successivo, nel luglio del 2011, gli Stati membri europei concordarono di trasformare quegli strumenti di assistenza temporanea in uno strumento permanente, e istituirono il MES, il Meccanismo Europeo di Stabilità.
Sarà bene ricordare che il Ministro dell’Economia e Finanze che trattò per l’Italia la partita per l’istituzione del MES, fu Giulio Tremonti con al seguito i suoi sottosegretari della Lega.
Furono dunque la Lega e il PDL a stabilire i contenuti e le modalità operative del MES, scrivendo un Trattato depauperante e liberticida.
Nel febbraio del 2012 il MES diventò legge dello Stato anche se la composizione della maggioranza parlamentare nel frattempo era mutata perché Berlusconi era stato sostituito da Monti.
La volata all’approvazione del MES, così come congegnato sin dall’origine, la tirò il PD.
Conoscere il funzionamento del MES diventa necessario per capire in quale nodo scorsoio abbiamo infilato il collo della nostra sovranità.
Se uno Stato membro ha una situazione di insolvenza o di illiquidità, e ha la necessità di attingere ad un programma di aiuti, il MES può decidere di erogare un finanziamento ma le condizioni poste incastrano lo Stato ricevente su due fronti, da un lato lo immiseriscono limitando le politiche interne, e dall’altro lo espongono alle bordate speculative esterne che vengono artatamente scatenate per indurre gli Stati a sottostare alle indicazioni ricevute.
Il MES fu ideato sulla considerazione che le correlazioni tra le economie dei singoli Stati erano talmente interconnesse che l’instabilità di uno Stato avrebbe potuto compromettere la stabilità di tutta l’area.
Per essere certi che agli Stati candidati a ricevere gli aiuti non fosse concesso di eludere le condizioni di restituzione, fu elaborato, subito dopo il MES, il Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance dell’Unione Economica e Monetaria, meglio noto come il Fiscal Compact.
L’Italia è tra i Paesi che hanno approvato il Fiscal Compact e che si sono impegnati al rispetto di cinque parametri economici ritenuti essenziali: l’obbligo del perseguimento del pareggio di bilancio; l’obbligo di non superamento della soglia di deficit strutturale superiore allo 0,5% del PIL (e superiore all’1% per i paesi con debito pubblico inferiore al 60% del PIL); la significativa riduzione del rapporto fra debito pubblico e PIL, pari ogni anno a un ventesimo della parte eccedente il 60% del PIL; l’impegno a coordinare i piani di emissione del debito col Consiglio dell’Unione e con la Commissione europea.
L’Italia è andata anche oltre le indicazioni del Fiscal Compact perché le ha finanche costituzionalizzate, modificando l’art.81 della Costituzione e facendo diventare il pareggio di bilancio un cardine costituzionale.
L’inserimento del pareggio di bilancio in Costituzione, in effetti, ha avuto quale effetto distruttivo, la costituzionalizzazione della perdita della sovranità finanziaria dello Stato italiano, da non confondere con la sovranità monetaria che era già stata ceduta con l’introduzione dell’euro.
La sovranità monetaria consiste nella facoltà che ha uno Stato di emettere o stampare moneta in linea con la propria politica monetaria.
La sovranità finanziaria si concretizza, invece, nella facoltà che ha lo Stato di riconoscere i propri debiti ma soprattutto di stabilire quali debbano essere le forme di pagamento e l’eventuale loro estinzione.
L’Italia non ha più né l’una nè l’altra, ma si arrabatta lasciando intendere di portare avanti una difesa degli interessi nazionali di facciata, mentre nel contempo svende e privatizza fino all’inverosimile.
Nonostante l’approvazione dei Trattati istitutivi del MES e del Fiscal Compact, la Germania ha un problema ingestibile con la Deutsche Bank e ha bisogno di un salvataggio a spese dei titoli di Stato di tutta l’area euro, dunque anche svalutando attraverso il MES i titoli italiani.
In definitiva, quello che è stato già fatto con la Germania dell’Est, ora deve essere replicato con tutti gli Stati membri dell’Unione e soprattutto con l’Italia.
E così la Germania ha fatto pressioni per modificare il MES in senso ancora più restrittivo sapendo di poter contare, in Italia, su forze governative come la Lega, il PD e il M5S che dalla distruzione del sistema democratico italiano hanno dimostrato di avere tutto da guadagnare.
Nel giugno del 2019 i due vice-premier Salvini e Di Maio (definizione comunque inesistente nella nostra organizzazione statuale che, al più, riconosce i Vice Presidenti del Consiglio), incaricarono il Presidente del Consiglio (che nei fatti era il loro Amministratore di sostegno) di contribuire ad elaborare, con un proprio contributo, una proposta di modifica del MES la cui approvazione definitiva sarebbe stata comunque demandata al Parlamento entro il dicembre 2019.
La riforma del MES non è dettata da una crisi dei bilanci pubblici, quanto piuttosto da una crisi dei bilanci bancari e primo fra tutti proprio quello della Deutsche Bank che non sa come allocare una quantità di ‘derivati’ provenienti da Londra a seguito della Brexit, e ha bisogno di adottare un meccanismo usuraio verso gli altri Stati.
Il MES può contare, in via teorica, su un fondo da 700 miliardi di euro, e da quando è stato istituito ha già erogato complessivamente, 254 miliardi all’Irlanda, alla Spagna, al Portogallo, a Cipro e tre volte alla Grecia.
L’Italia ha sottoscritto il proprio impegno alla costituzione del fondo con 125,4 miliardi; questa cifra è stata stabilita quando al Governo c’era Berlusconi con la Lega, ed è stata confermata dal PD successivamente in sede parlamentare.
La Germania ha valutato, d’intesa con la Francia, che nonostante l’istituzione del MES che aveva vincolato gli Stati fin dal 2012, nessuno ha ristrutturato il proprio debito come si auspicava, e allora occorre procedere con una operazione di forza che indebolisca irreversibilmente gli Stati in difficoltà, con una privatizzazione ancora più selvaggia di quanto sia stato fatto finora.
Così hanno proposto di modificare i meccanismi di stabilità economica mettendo sotto ricatto gli Stati che hanno ancora una residua capacità economica, come l’Italia, contro cui è facile agire per via di una classe politica complessivamente cialtrona, pur nelle diverse specificità.
Lega e M5S erano al Governo quando è stata proposta la riforma del MES con un accordo di massima, e leggendo le sbruffonate di questi giorni, le conclusioni a trarsi sono ovvie: o non avevano capito allora ed è inaccettabile che si governi senza comprendere, o sono in malafede ora, terzium non datur.
Il PD è il partito che ha da sempre l’obiettivo di trasformare l’Italia nella culla della privatizzazione e il MES riformato è la realizzazione dei loro sogni perversi.
Se già la Commissione Europea aveva un deficit democratico essendo una istituzione non elettiva e che non rispondeva nemmeno al Parlamento Europeo, ora parte del potere della Commissione passa al board del MES, che sarà determinato a decisioni più tecniche che politiche, e sarà sordo alle istanze che potranno derivare dai singoli Stati.
Il MES che ci stanno regalando Lega, PD e M5S consegnerà il potere ad una élite finanziaria che soffrirà nei confronti delle politiche sociali e delle tutele individuali e collettive, lo stesso fastidio che provoca il ronzio delle zanzare d’estate.