
Dieci anni fa, ho assistito a un negoziato commerciale tra gli Stati Uniti e un piccolo paese del Sud-Est asiatico. Ciò che mi interessava non era il contenuto del negoziato – le deliberazioni su una questione di minore importanza per gli affari mondiali ma di grande rilevanza per quel paese –, bensì la sproporzione tra il personale presente al tavolo delle trattative.
La delegazione degli Stati Uniti che arrivò in questo anonimo ufficio di Ginevra, in Svizzera, era considerevole sotto due punti di vista: il primo, era composta da un numero eccessivo di avvocati e collaboratori; il secondo, era armata di un gran numero di raccoglitori contenenti tutta la documentazione relativa al caso, provvisti di etichette per poter individuare immediatamente i punti da discutere. La delegazione del Paese asiatico, invece, era esigua: era composta da un unico rappresentante dell’ufficio delle Nazioni Unite a Ginevra, che non era né un esperto di commercio né un avvocato e che era armato solo di una cartellina di cartone contenente pochi fogli di carta. I negoziati rispecchiavano questa disparità, con i rappresentanti commerciali statunitensi che hanno messo alle corde il giovane burocrate asiatico. Dopo i negoziati sono andati a bere un caffè, tutti insieme. Il burocrate asiatico era sconvolto. Si sentiva derubato.
Qualche anno fa, un funzionario di medio livello di un paese dell’Africa orientale mi ha detto di aver firmato un accordo di prestito con una banca asiatica senza avere le competenze per comprendere il documento di prestito né il tempo per leggerlo dall’inizio alla fine. Nello stesso periodo, un funzionario di un ministero latinoamericano mi ha detto che la sua amministrazione esternalizza l’analisi dei documenti commerciali a una fondazione legata a un’organizzazione non profit statunitense. In altre parole, le loro negoziazioni si basano sulle sintesi fornite da questa fondazione e non sulle loro analisi e valutazioni. Gli esempi potrebbero moltiplicarsi facilmente, raccontando le storie in modo vago per non mettere in imbarazzo colleghi e Paesi che si trovano in circostanze molto difficili a causa delle strutture neocoloniali.
È difficile quantificare l’impatto di tali squilibri istituzionali, soprattutto perché non esiste un’agenzia internazionale che raccolga dati sui funzionari governativi in generale o sui negoziatori in particolare. Tra i pochi dati disponibili in questo campo vi è il Worldwide Bureaucracy Indicators Dashboard della Banca mondiale, che mostra che circa il 18,6% della popolazione attiva totale nel Nord globale è impiegata dal governo, mentre nel Sud tale percentuale è più vicina al 10%. Uno studio dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro sull’Africa ci mostra che le cifre sono molto più basse in molti Paesi, inferiori al 3% in quelli africani come il Ciad, la Costa d’Avorio, il Madagascar, il Mali e la Tanzania. Sebbene non esistano dati dettagliati sul numero di negoziatori commerciali o avvocati specializzati in commercio all’interno del governo, ad esempio, quanto sopra rappresenta un quadro realistico della differenza generale tra la capacità dello Stato nel Nord e nel Sud.
La portata di questa disparità è incredibile (fanno eccezione i progetti statali socialisti, come la Cina e il Vietnam, dove i funzionari governativi rimangono ben formati e in numero maggiore, costituendo circa un quinto della forza lavoro in Cina). Molte delle ragioni di questa disuguaglianza sono ovvie, ma vale comunque la pena elencarle:
1. La maggior parte delle scuole di pubblica amministrazione nel Sud globale ha subito enormi tagli finanziari indotti dalle politiche di austerità del Fondo Monetario Internazionale, che hanno avuto un impatto, ad esempio, sulla capacità di formare insegnanti e creare programmi di studio aggiornati e pertinenti alle specifiche condizioni nazionali in cui questi futuri funzionari pubblici dovranno operare.
2. Parallelamente alle misure di austerità imposte alle scuole di amministrazione pubblica, si è assistito anche a una progressiva chiusura o contrazione delle commissioni di pianificazione statale e dei dipartimenti di ricerca. Si tratta di istituzioni che normalmente fornirebbero ai quadri governativi un orientamento intellettuale sulla posizione del loro Paese in ambito di economia internazionale e sui compiti immediati di un programma di sviluppo nazionale. La mancanza di tali istituzioni lascia i quadri senza un mandato o una direzione chiari.
3. Si è assistito a un logoramento del sentimento patriottico e anticolonialista tra i dipendenti pubblici, che sono sottopagati e poco formati. Questa guerra psicologica provocata dal neoliberismo e dall’imperialismo culturale fa sì che le nuove generazioni di funzionari pubblici siano incapaci di difendere il benessere della loro popolazione e inclini a cedere a tentazioni di vario genere (tra cui la corruzione). Il crescente individualismo della popolazione ha inoltre portato al carrierismo e all’accumulo di ricchezza e privilegi personali a scapito dell’interesse nazionale.
4. Con la chiusura o il ridimensionamento delle istituzioni statali, sono emerse organizzazioni non governative finanziate dall’Occidente per fornire “assistenza tecnica”. Questi programmi sono spesso gestiti da persone formate in università straniere, con un background sociale non necessariamente in linea con quello della stragrande maggioranza della popolazione e con una comprensione limitata degli sviluppi storici e sociologici del loro Paese. Inoltre, i programmi di queste istituzioni sono elaborati dai loro benefattori stranieri, spesso mossi da interessi personali.
L’erosione delle scuole di amministrazione pubblica, unita alla mancanza di volontà politica dei governi di affermare la sovranità delle loro società, ha permesso alle ambizioni delle multinazionali e delle istituzioni finanziarie internazionali di determinare la direzione di questi Paesi. Questa mancanza di capacità e di chiarezza politica ha fatto sì che gli Stati del Sud globale si arrendano sistematicamente ai programmi ben definiti delle istituzioni straniere, che spesso hanno le idee molto più chiare su ciò che vogliono. La necessità di rafforzare le capacità amministrative nel Sud globale va di pari passo con la più ampia esigenza di una nuova teoria dello sviluppo per il Sud, affinché possiamo definire il nostro programma, in contrapposizione a quello degli intrusi neocolonialisti.
Seduto a quella riunione a Ginevra alcuni anni fa, guardando i funzionari statunitensi e i loro avvocati che giravano intorno al giovane funzionario del Sud-Est asiatico, ho pensato alla poesia di Nizar Qabbani del 1967 “Note a piè di pagina al libro della sconfitta”, scritta poco dopo la sconfitta dei palestinesi nella Guerra dei Sei Giorni. La poesia, pubblicata a Damasco in Siria, fu successivamente vietata e portata clandestinamente in diversi Paesi del mondo arabo. Due versi della poesia mi rimbombavano nella testa:
I nostri nemici non hanno attraversato i nostri confini.
Si sono insinuati nelle nostre debolezze come formiche.
Dobbiamo rafforzare le nostre debolezze.
Con affetto,
Vijay
*Traduzione della ventisettesima newsletter (2025) di Tricontinental: Institute for Social Research.
Come Potere al Popolo traduciamo la newsletter prodotta da Tricontinental: Institute for Social Research perché pensiamo affronti temi spesso dimenticati da media e organizzazioni nostrane e perché offre sempre un punto di vista interessante e inusuale per ciò che si legge solitamente in Italia. Questo non significa che le opinioni espresse rispecchino necessariamente le posizioni di Potere al Popolo. A volte accade, altre volte no. Ma crediamo sia comunque importante offrire un punto di vista che spesso manca nel panorama italiano.