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Il comitato di conciliazione: una contraddizione!

di Enzo di Salvatore

Il “Contratto per il Governo del Cambiamento” è un accordo stretto tra due privati cittadini, che si impegnano “a tradurre in una pratica di Governo” i contenuti del contratto. Esso prevede l’istituzione di un Comitato di conciliazione, competente a dirimere i conflitti che sorgessero circa i contenuti dell’accordo, a individuare nuove “tematiche estranee” all’accordo, a risolvere “questioni aventi carattere d’urgenza e/o imprevedibili al momento della sottoscrizione del contratto”, a risolvere questioni “ritenute fondamentali” da uno dei due contraenti. Il Comitato è composto dal Presidente del Consiglio dei Ministri, dal Capo politico del MoVimento 5 Stelle, dal Segretario federale della Lega, dai Presidenti dei gruppi parlamentari di Camera e Senato delle due forze politiche e dal Ministro competente per materia. Esso delibera a maggioranza dei due/terzi.

Diversamente dal Consiglio di Gabinetto, il Comitato di conciliazione non è istituito e disciplinato dalla legge (bensì dal contratto) e non si compone solo di Ministri (ma anche dei leader delle due forze politiche e dei presidenti dei due gruppi parlamentari). Se il Comitato fosse disciplinato dalla legge, la sua istituzione porrebbe dubbi di costituzionalità, anche in relazione alla competenza riservata dalla Costituzione alla Corte costituzionale sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato, non potendosi escludere che un conflitto possa comunque profilarsi tra i membri dell’Esecutivo e i parlamentari di una delle due forze politiche. La circostanza, invece, che il Comitato sia istituito direttamente dal contratto non pone, di per sé, problemi particolari; e questo perché la previsione di un organo pubblico sulla base di un contratto privato può avere solo conseguenze politiche: inconcepibile sarebbe, infatti, pensare che dall’accordo tra due contraenti privati derivino conseguenze giuridiche in ordine al rapporto tra gli organi costituzionali e alle funzioni esercitate da ciascuno di essi.

Il problema, tuttavia, va guardato da un altro punto di vista e concerne la posizione del Presidente del Consiglio in relazione ai rapporti che il Governo intrattiene con il Parlamento.

Nel nostro sistema, diversamente, ad esempio, da quello tedesco, la fiducia è accordata dalle due Camere non già al Presidente del Consiglio, ma al Governo nella sua interezza. Il fatto che il Presidente del Consiglio sia parte di un Comitato chiamato a decidere con un atto formale (“Il Comitato delibera…”) e a maggioranza dei due/terzi (quindi magari anche con il voto contrario del Presidente del Consiglio) sui contenuti del programma quando questi siano controversi fa sì che egli si impegni a dar corso all’azione di governo secondo le decisioni assunte in seno al Comitato e non già in seno al Consiglio dei Ministri. Del Comitato fanno parte non tutti i Ministri, ma solo il Presidente del Consiglio e il Ministro competente per materia. Il che potrebbe comportare che su quanto deliberato dal Comitato si finisca per prescindere da una successiva decisione del Consiglio dei Ministri oppure che la decisione del Consiglio finisca per concretarsi in un successivo atto di ratifica: nel primo caso, si spezzerebbe il rapporto di fiducia tra il Parlamento e il Governo; nel secondo caso, tale rapporto diverrebbe meramente formale. Epilogo, questo, che sarebbe ancor più grave qualora la parte del  contratto relativa all’istituzione del Comitato confluisse nel programma di Governo sul quale verrà richiesto il voto di fiducia, come, del resto, potrebbe lasciar pensare il fatto che tale previsione risulti inserita in uno dei 29 punti in cui si articola l’intero accordo, giacché in questo modo il Parlamento si troverebbe ad avallare l’esercizio di una funzione non contemplata dalla Costituzione in relazione alla forma di governo parlamentare; e ciò persino con riguardo all’iniziativa legislativa avente ad oggetto i temi considerati dal contratto, in quanto ivi si dice che i progetti di legge sono presentati “dal governo o con la firma dei presidenti dei gruppi parlamentari delle due forze politiche” e che, più in generale, ogni richiesta di calendarizzazione dei progetti di legge “deve essere oggetto di accordo tra i capigruppo delle due forze politiche”. In breve, la sostanza di questo discorso potrebbe essere riassunta così: due privati cittadini siglano un contratto; il contratto istituisce un organo che delibera sui contenuti del programma di governo; il contratto dispone delle attribuzioni del Presidente del Consiglio, dei Ministri competenti per materia, dei Presidenti dei gruppi parlamentari di Camera e Senato delle due forze politiche, del Governo e, più in generale, di ogni parlamentare del MoVimento 5 Stelle e della Lega; il contratto, per le ragioni esposte, finisce comunque per produrre effetti sulla forma di governo parlamentare. Il che si pone esattamente in contraddizione con quanto le parti dichiarano di volere in apertura dell’accordo: restituire centralità ai processi decisionali del Parlamento.

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