Di seguito pubblichiamo un’intervista fatta a Fatima Mahfud, rappresentante del Fronte Polisario in Italia.
Dallo scorso 13 novembre è tornato il conflitto nel Sahara Occidentale. Dopo 29 anni dalla firma dell’armistizio tra la Repubblica Democratica Araba dei Sahrawi (RASD) e il Marocco, la situazione è sempre più insostenibile, tra l’immobilismo dell’ONU – che dovrebbe organizzare il referendum e gestire la transizione verso uno stato indipendente – e l’arrogante espansionismo della monarchia marocchina, che contro ogni risoluzione internazionale rivendica la sovranità su un territorio illegalmente occupato.
Partiamo dalle ultime notizie. Dal 7 giugno ci saranno le esercitazioni militari African Lyon in Senegal, Tunisia e Marocco. Secondo un tweet del primo Ministro marocchino, poi cancellato, parte dell’esercitazioni militari dell’Africom si dovrebbero svolgere a Dakhla e a Makbés in territorio Saharawi. Come giudicate questa comunicazione del primo ministro e come avete reagito?
Se guardiamo altre fonti, ci rendiamo conto che l’esercitazione militare non sarà in territorio Saharawi ma in altre regioni come il Tan-Tan, a sud del Marocco. La dichiarazione non di un giornalista o analista, ma del primo ministro El Othmani, che non è mai stata smentita, rappresenta evidentemente una provocazione ed è gravissima. A questa dichiarazione, vera o falsa che sia, è stato quindi risposto tramite un’interrogazione parlamentare presentata dal deputato Palazzotto di LeU per chiedere quanto ci sia di vero in quella dichiarazione.
A questa esercitazione parteciperanno diversi stati tra cui l’Italia, ma non la Spagna. Anche qui i rumors, le verità ufficiali e le ragioni reali di questa assenza si confondono e rimbalzano nelle dichiarazioni dei vari attori. Voi come spiegate l’assenza spagnola?
In questo momento le relazioni tra Marocco e Spagna sono ai minimi storici. E noi crediamo che il governo Sanchez abbia avuto un sussulto di dignità decidendo di non partecipare alle esercitazioni, dopo l’inqualificabile comportamento del Marocco nella crisi dei migranti a Ceuta. La rappresaglia marocchina contro la Spagna per aver accolto il presidente della repubblica democratica araba dei Saharawi (RASD) Ghali è stata condotta nello spregio totale delle relazioni internazionali e dei diritti umani. 8.000 persone, molti dei quali minorenni, che in meno di 48 ore vengono gettate in mare, spinte fuori dal Marocco, dà un’immagine del paese devastante. Fuga dal regime marocchino o invasione della Spagna: da qualunque angolatura la si guardi quello che è successo è inaccettabile.
Dopo la ripresa delle ostilità a metà novembre 2020 e la rinnovata visibilità della lotta per l’autodeterminazione del popolo sahrawi, quale è la situazione sul campo e vi sono stati delle ricadute a livello delle relazioni internazionali?
Il conflitto c’era e continua ad esserci, ma non è cercato dal popolo Saharawi. Il popolo Saharawi non è violento nemmeno nel linguaggio, figuriamoci con le azioni. È stato costretto ad intraprendere la via delle armi. In 30 anni di piani per la pace, il Marocco non ha accettato alcuna soluzione, ha occupato il territorio Saharawi, assicurando all’Europa che la causa Sahrawi sarebbe stata abbandonata dal suo stesso popolo. I giovani sahrawi, dicevano i dirigenti marocchini, non seguiranno le orme dei loro padri. Invece, i giovani hanno fatto una scelta radicale negli anni 90: rientrati nei territori, hanno preso gli aiuti dati dal governo marocchino (casa, macchina etc.), hanno venduto tutto e sono rientrati nei campi per i rifugiati, andando a vivere in condizioni estremamente difficili piuttosto che sottostare alla occupazione marocchina. La volontà del popolo Sahrawi è chiara, i tribunali internazionali come la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja hanno dato ragione al diritto di autodeterminazione del popolo saharawi, il Marocco quindi non ha che l’uso della violenza per imporsi. Una politica aggressiva sia a livello militare che politico. Il Marocco, ad esempio, per legittimare l’occupazione militare del Sahara Occidentale ha spinto paesi compiacenti come gli Emirati Arabi Uniti ad aprire consolati sul territorio Saharawi anche se questi paesi non hanno nemmeno un loro cittadino presente sul territorio. Comunque la ripresa del conflitto militare a novembre ha riacceso i riflettori sulla lotta dei Saharawi, spingendo paesi come la Germania a ribadire la propria posizione a favore del Sahara occidentale, e ha deteriorato ulteriormente le relazioni del Marocco con la Spagna. È incredibile come nessuno paia nemmeno rendersi conto che questa politica produca un costo enorme che il Marocco, paese che riceve aiuti per lo sviluppo dall’Unione Europea, non potrebbe e dovrebbe permettersi.
Di fronte a questa politica diplomatica aggressiva, come reagiscono Europa, Stati Uniti e Comunità internazionale?
Il Marocco utilizza i migranti per tenere sotto ricatto l’Europa. Per quello che riguarda gli Stati Uniti, alla fine del suo mandato l’ex presidente americano Trump aveva appoggiato la pretesa marocchina di sovranità sul Sahara occidentale e annunciato l’apertura di un consolato.
Ma la presa di posizione di Trump sino ad ora non ha avuto alcun seguito dalla nuova amministrazione. Non c’è infatti alcun consolato americano in funzione sul territorio del Sahara occidentale. La Comunità internazionale, guidata da un Consiglio di sicurezza con 5 paesi con diritto di veto, è ormai superato dalla storia. In queste condizioni non può essere in grado di risolvere i conflitti presenti sul nostro pianeta. Un consiglio di sicurezza dove non c’è nemmeno un membro permanente del continente africano o dove paesi importanti come India e Germania non hanno alcuna rilevanza. Le mie maggiori speranze quindi le ripongo nell’Unione Africana dove la repubblica democratica araba dei Saharawi (RASD) è rappresentata e dove viene rispettato il principio dell’autodeterminazione dei popoli. E le ripongo soprattutto nella determinazione del popolo Saharawi.
In che cosa la società civile, le organizzazioni popolari e le organizzazioni politiche come la nostra possono darvi una mano?
Abbiamo soprattutto bisogno che non ci sia timidezza nella denuncia delle violazioni dei diritti umani che subisce la popolazione saharawi quotidianamente. Abbiamo bisogno che i saharawi siano visibili, sempre. Non solo quando 10.000 persone vengono «buttate in mare». Dovremmo essere visibili anche quando 34 prigionieri politici saharawi vengono condannati all’ergastolo per avere esposto la nostra bandiera o aver detto che il Sahara occidentale non è il Marocco. O quando Sultana Khaya, attivista sahrawi, viene violentata dalla polizia marocchina per aver manifestato a favore dell’autodeterminazione del nostro popolo, armata solo di una bandiera. Dobbiamo rompere il silenzio.