Non è la prima, e non sarà l’ultima: a meno che non invertiamo la rotta.
L’emergenza attuale, ultima delle diverse epidemie virali che si sono succedute negli ultimi anni, ha messo in luce tutte le debolezze dei vari sistemi sanitari nazionali, non da ultimo quello italiano, che eravamo abituati a pensare come “uno dei migliori al mondo”. Oggi sta diventando impossibile non vedere come, in realtà, ad essere i migliori, sono le lavoratrici e i lavoratori del Sistema Sanitario e della Ricerca, che “eroicamente” operano tutti i giorni per tutelare la salute di tutte e tutti, avendo a disposizione strumenti e strutture tristemente inadeguate.
La genesi del fallimento odierno va ricercata sicuramente nel taglio continuo che il Sistema Sanitario Nazionale ha subito nel corso degli anni (37 miliardi di euro solo nel decennio 2010-2019), ma anche nello spostamento progressivo delle risorse residue, a livello regionale, dal sistema pubblico a quello privato, delegando a quest’ultimo le cure meno costose, e quindi più redditizie, come la diagnostica, la gestione delle case di riposo e l’assistenza domiciliare, rendendo nel contempo più fragili gli altri settori di cura del servizio pubblico, che oggi si dimostrano indispensabili nel contrastare l’epidemia.
Oltre a questa combinazione letale di regionalizzazione, tagli e privatizzazioni, l’Italia si è fatta trovare sguarnita di un piano operativo per affrontare l’epidemia, tenendolo solo sulla carta, nonostante questo fosse stato fortemente raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, memore dell’ultima epidemia di SARS-CoV, consumatasi tra il 2002 e il 2003 nella provincia del Guandong, in Cina.
“Mamma, che cos’è un Consultorio Familiare?” – La desertificazione dell’assistenza territoriale
L’organizzazione scelta dalla Regione Veneto, racchiusa nei Piani Socio-Sanitari, evidenzia una visione ospedalocentrica dell’assistenza, che dequalifica la medicina di territorio. Negli ultimi anni sono stati dismessi molti ospedali e presidi territoriali, creando una rete assistenziale a maglie molto, troppo larghe: già in una situazione di normalità ciò vedeva negato a molte persone il diritto alla cura, persone per le quali, ad esempio, grandi spostamenti dal proprio domicilio non sono possibili.
In tempo di pandemia, durante la quale è necessario dedicare interamente alcuni ospedali alla cura dei malati di Covid-19, come è stato fatto, ad esempio, con gli ospedali Santorso in provincia di Vicenza e il Magalini a Villafranca di Verona, vaste porzioni di territorio sono rimaste sguarnite per ciò che riguarda la gestione delle ordinarie emergenze (incidenti stradali, infarti, parti…), aggravando il rischio di morti collaterali all’epidemia. La chiusura del punto nascite dell’ospedale di Schiavonia, ad esempio, lascia le future neo-mamme prive di un servizio di assistenza vicino a casa.
La privatizzazione delle attività ambulatoriali, la riduzione dei posti letto, che segna oltre 800 unità in meno nel servizio pubblico rispetto al 2013, con un concomitante ed equivalente aumento di quelle a gestione privata accreditata, hanno impedito una adeguata risposta da parte del SSR, mettendo in crisi il gestore pubblico, che risulta sempre più marginale.
Più aziendale, meno personale… – Non chiamateli eroi!
Per completare il quadro, alla risposta solamente parziale che abbiamo dato ad un’emergenza sanitaria tanto importante ha sicuramente contribuito la carenza cronica del personale, favorita dal blocco del turn-over, a cui si è aggiunta l’incredibile scelta di contingentare anche le borse di studio.
Rispetto a quest’ultimo punto basti pensare che, a fronte di circa 22mila candidati al test di specializzazione per l’anno 2020, sono disponibili solamente 8mila posti. I restanti 14mila studenti dovranno così cercare un percorso alternativo che restituisca coerenza ai sei anni di studio precedenti, che, per almeno 1500 di questi, sfocerà nella strada verso altri paesi. La “mancanza di medici” non si risolve con l’aumento dei posti per il corso di studio in Medicina e Chirurgia, come denuncia tra le altre l’Anaao Giovani, che va solo ad aggiungere neolaureati al limbo del cosiddetto “imbuto formativo”.
Lo stesso decreto denominato “Cura Italia”, (che sullo sblocco delle borse di studio non aggiunge nulla di nuovo), d’altra parte, assume circa 20mila tra medici e infermieri, ma con contratti precari e a tempo determinato di un anno, denotando la mancanza di qualsivoglia desiderio di invertire la rotta, stabilizzando nuovo personale nelle corsie degli ospedali. I nuovi “eroi”, si aggiungeranno ad altri medici ed infermieri precari, quelli ignorati fino a ieri dagli assessori alla sanità regionali.
Un atteggiamento questo di totale disinteresse verso la tutela dei lavoratori della sanità, sentito in Veneto già da tempo, come denunciato da vari sindacati di medici, infermieri e delle altre categorie della sanità. Questo disinteresse si è sostanziato nel blocco delle assunzioni, anche a fronte di massicci pensionamenti, determinando l’impossibilità di compensare il turnover, obbligando a turnazioni con carichi di lavoro eccessivi, incuranti delle condizioni minime di riposo, creando situazioni di crescente disagio lavorativo per i dipendenti del SSR, mettendo a repentaglio contemporaneamente la salute dei lavoratori e degli stessi pazienti.
Tutto questo, ancora una volta, in situazione di normalità! L’emergenza Covid-19 ha solamente fatto scoppiare il bubbone.
L’inefficienza della gestione a conduzione leghista è stata messa in evidenza anche dai grotteschi tentativi di reperire dispositivi di protezione individuale: dalla Lombardia di Lorenzo Fontana, che ha ordinato in fretta e furia quattro milioni di mascherine, come rivela un’inchiesta de “L’Espresso”, ad aziende che non ne producevano più da tempo, ritardando di due settimane il loro arrivo, al Veneto di Luca Zaia, che ha consegnato alla popolazione migliaia e migliaia di “schermi filtranti”, prodotti da Grafica Veneta, non adeguati come Dispositivi di Protezione Individuale per stessa ammissione dell’azienda, dando un’illusione di sicurezza ai cittadini, mettendoli quindi in pericolo, ma riuscendo comunque a fare notizia per la pronta riconversione produttiva, il tutto sponsorizzato da una nota catena di supermercati.
Va segnalata la contrarietà della cittadinanza a questo modello di gestione, numerose sono state le proteste anche in tempi antecedenti la crisi attuale, tra le quali vanno annoverate quelle dei Comitati per la salvaguardia dell’ospedale Orlandi di Bussolengo (ridimensionato notevolmente subito essere stato riammodernato), e la lotta vincente per non declassare l’Ospedale civile di Venezia.
Non torneremo alla normalità, perché la normalità era il problema!
Insomma, per riassumere, pare proprio che né le misure stabilite dalla Regione Veneto, né quelle stabilite dal governo italiano determinino un cambiamento strutturale, ma, al contrario, siano state redatte pensando ad un ritorno al solito sistema non appena passata la crisi.
Sono molte, a questo punto, le preoccupazioni che ci assillano e che vogliamo mettere in evidenza.
Al di là di probabili, dicono gli scienziati, pandemie di ritorno o di nuovi virus che possono affacciarsi all’orizzonte, il nostro è un territorio che sta vivendo già da anni un’emergenza sanitaria progressiva. Le malattie respiratorie dovute all’inquinamento atmosferico si sommano alla paura indotta da recentissimi studi della Società Italiana Medici Ambientali, in collaborazione con diverse Università, che mettono in guardia sull’ipotesi, provata per ora solo a livello statistico, che proprio le polveri pm10 e pm2,5 funzionino da vettore per virus come quello che ha causato l’epidemia.
Se i nostri sforzi e le nostre rivendicazioni sono protesi a pretendere un sistema sanitario pubblico universale, solidale e adeguatamente finanziato, dobbiamo prestare anche attenzione alle misure che saranno messe in atto per la rincorsa alla ripresa economica. Il pericolo, infatti, che in nome del ripristino di un modello economico che ha messo in mostra tutti i suoi limiti, si taglino ancora i fondi alla sanità, proseguendo il progetto di desertificazione già in atto da tempo, è reale.
Basti pensare che, durante un intervento alla Camera dei Deputati avvenuto il 30 marzo, un deputato veronese ha invocato il taglio delle aliquote Irap per le imprese. Lo ha fatto dopo aver ossequiato in modo ipocrita medici e infermieri, ben sapendo, da imprenditore, che il taglio dell’Irap ricadrebbe soprattutto su di loro, visto che il 90% di quella tassa, imposta anche sui profitti delle imprese, serve a finanziare proprio il Servizio sanitario nazionale, e che l’Irap complessiva contribuisce per circa il 30% al finanziamento integrale della sanità pubblica.
Potere al Popolo! propone ai cittadini e alle cittadine, e pretende dalle istituzioni che:
- Sia data nuova forza e importanza alle cure integrate e di prossimità: la Regione Veneto non chiuda i nosocomi riaperti e li rimetta invece in condizioni di risposta ottimali alle esigenze sanitarie dei cittadini. Sia attuata ogni politica atta a prevenire il bisogno di cura, mettendo i servizi e le professioni in grado di operare in maniera integrata e dialogica, realizzando davvero la collaborazione socio-sanitaria.
- Meno aziendale, più personale! Che venga sbloccato il turn-over del personale sanitario, che vengano aumentate le borse di studio di specializzazione, che agli operatori sanitari vengano garantite le giuste tutele e un salario adeguato, in linea con gli altri paesi europei. Che la Regione stabilizzi le nuove assunzioni fatte con il decreto Cura Italia, rendendo i nuovi contratti a tempo indeterminato.
Si tratta di provvedimenti che possono essere presi subito, proprio a partire dalla situazione che si è creata in queste settimane: se gli ospedali sono stati riaperti, perché richiuderli? E se il personale sanitario è stato assunto, perché licenziarlo tra 12 mesi?
Ma non ci basta. Già da ora dobbiamo pensare a cosa fare quando la fase più acuta dell’emergenza sarà passata. Ci serve un piano, per non farci trovare di nuovo impreparati. Per questo pretendiamo che:
- Il Servizio sanitario sia organizzato su base nazionale sia dal punto di vista legislativo che della normativa tecnica: le forme di regionalismo in sanità sono inefficienti per contrastare una situazione emergenziale. Privare di risorse il SSN, facendo crescere la sanità privata e l’industria sanitaria delle assicurazioni non protegge nessun* dalle pandemie. Il servizio sanitario deve garantire a tutte e a tutti i servizi essenziali, senza generare profitto, operando in modo coordinato sul territorio.
- Promuovere la salute significa Partecipazione: siano ampliati in brevissimo tempo i servizi di supporto psicologico e psichiatrico, per lenire i danni e le patologie derivanti da queste settimane di crisi, costellate di paure, incertezze e limitazioni. Favorire l’autodeterminazione delle persone e delle comunità e generare politiche di trasformazione sociale, attraverso meccanismi di inclusione, ascolto e azione collettiva diretta.
- La salute è un mondo giusto e sostenibile: non siano più permesse, con la scusa dello snellimento burocratico, processi di deregolamentazione inerenti la salvaguardia dell’ambiente, per evitare l’aggravamento delle condizioni sanitarie della popolazione del Veneto.