Quasi 8 milioni di studentesse e studenti e oltre 800.000 insegnanti tornano a scuola in un clima pesante. In tempo di guerra la scuola troppo spesso diventa strumento di manipolazione: celebra eroi, reprime il dissenso, o prepara i giovani alla logica bellica. Oggi la scuola continua a riprodurre l’ideologia dominante, costruendo consenso nelle retrovie o, peggio, inviando i giovani al fronte.
Dopo il 7 ottobre 2023 la pressione si è fatta ancora più forte: chi tra i docenti ha osato parlare, anche timidamente, delle responsabilità dello Stato sionista in Palestina è stato messo sotto accusa, sospeso o zittito. Circolari e “vigilanza” su commemorazioni come il Giorno della Memoria hanno limitato la libertà di insegnamento proprio quando era urgente confrontarsi sui crimini in corso.
La militarizzazione della scuola non nasce oggi: iniziative di “civismo” hanno aperto le porte a forze armate e corpi di polizia come presunti “esperti”, normalizzando la loro presenza in materie che vanno dall’educazione civica alla prevenzione del bullismo. Parallelamente si assiste alla trasformazione delle scuole in caserme: reintroduzione del voto di condotta, lavori socialmente utili come sanzione, restrizioni sul diritto di espressione del personale e crescente potere discrezionale dei dirigenti. Le linee guida e i programmi spingono verso una scuola nostalgica e autoritaria — “Patria”, primato occidentale, ritorno ai miti del passato — in un tentativo reazionario di cancellare il pensiero critico.
La precarietà aggrava tutto: oltre 200.000 docenti precari salgono in cattedra anche quest’anno. La precarietà produce vulnerabilità, paura di perdere il posto, scarsa partecipazione a progetti educativi a lungo termine e riduce la capacità collettiva di resistere e organizzarsi.
Per questo è necessaria una svolta.
La mobilitazione contro il genocidio del popolo palestinese ha risvegliato una coscienza che si riflette anche nelle scuole: iniziative, mozioni, prese di posizione di singoli e di istituti dimostrano che la scuola democratica — praticata ogni giorno da migliaia di insegnanti — è viva e resistente.
Per l’avvio del nuovo anno si stanno organizzando iniziative diffuse: dal minuto di silenzio all’ora di discussione, testi per mozioni collegiali e azioni di mobilitazione. In rete gira un appello a tutti i sindacati per indire uno sciopero generale unitario della scuola contro il genocidio, e l’Osservatorio contro la militarizzazione propone la data del 4 novembre, con mobilitazioni preparatorie a partire dal 20 ottobre.
Come Potere al Popolo e come docenti militanti, sosteniamo e diffondiamo queste iniziative. Facciamo anche noi appello alle sigle sindacali — e in primo luogo al sindacalismo conflittuale — perché si ragioni su uno sciopero della scuola contro il genocidio. Continueremo a contrastare il progetto reazionario del Governo, costruendo legami tra chi lotta dentro e fuori la scuola — docenti, studenti e personale tecnico-amministrativo — consapevoli di essere tutti dalla stessa parte della barricata: quella giusta.