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L’Occidente vuole far precipitare l’Africa nel baratro

L’attivista panafricanista Babacar Sylla, intervistato da Thinhinane Makaci per il quotidiano algerino “L’Expression”, parla del Covid-19, del suo impatto sul continente africano e del ruolo delle istituzioni nazionali e internazionali.

L’articolo originale in francese è reperibile a questo link:

 

Già prima dell’arrivo del coronavirus in Africa, il Continente era nel radar dell’occidente. Nel tentativo di comprendere l’interesse delle grandi potenze riguardo alle sorti degli africani, scopriamo il colloquio che ci ha concesso Babacar Sylla…

 

Può presentarsi ai nostri lettori?

Mi chiamo Babacar Sylla, sono senegalese e abito a Pikine, la seconda città più grande del Senegal. Sono ingegnere dello sviluppo urbano e ambientale e lavoro per la mia città come responsabile degli archivi e della documentazione. Oltre ad essere membro della Confederazione Nazionale dei Lavoratori del Senegal (CNTS), di cui sono un rappresentante, ho al suo interno anche il ruolo di incaricato alle politiche ambientali e climatiche.

 

Per cominciare, potrebbe fare il punto sull’evoluzione del Covid-19 in Senegal?

Il Senegal è stato il secondo paese a registrare un caso confermato di Covid-19 in Africa occidentale, dopo la Nigeria. Era il 2 marzo e il virus è stato riscontrato in un cittadino francese residente a Dakar da due anni, di ritorno dalle vacanze in Francia. Oggi siamo a 219 casi con 72 guariti, 2 decessi, uno straniero rimpatriato e 144 pazienti ancora sotto trattamento.

 

Da un mese o poco più il coronavirus è apparso ufficialmente in Africa. Qual è, a suo avviso, il bilancio dell’evoluzione del virus nel Continente?

Diciamo che la propagazione del virus è relativamente lenta rispetto ad altri paesi e territori, se ci si limita alle informazioni ufficiali dei nostri Stati. Detto questo, nutriamo la speranza che i numeri restino bassi anche quando l’epidemia raggiungerà il picco della pandemia.

 

I media occidentali parlano già di ecatombe e sono allarmisti riguardo alla situazione. Cosa crede che si nasconda dietro questa previsione, solidarietà o sfide?

Bisogna dire che questi stessi media si ponevano già delle domande quando, nel momento di massima crisi in Cina e in altri paesi europei, in particolare in Italia, l’Africa non aveva ancora casi confermati. Ora che il Continente comincia a contarne a una velocità di propagazione fortunatamente lenta, predicono il peggior scenario evocando l’ecatombe. Certo, in Africa abbiamo un sistema sanitario che non potrà far fronte a questa pandemia, se raggiungerà le stesse proporzioni conosciute in Italia, in Spagna, in Francia o negli Stati Uniti, ma perché voler dichiarare con tanta certezza che l’Africa sarà il prossimo epicentro? D’altronde, non si tratta soltanto dei media occidentali, ma di tutto il panorama internazionale. Una simile previsione, infatti, è stata annunciata anche dal segretario generale dell’ONU Antonio Guterres. Queste affermazioni, che fanno precipitare il nostro Continente nel baratro, non possono essere una prova di solidarietà. A mio avviso, esse rivelano tutt’ora del disprezzo, di cui questi Stati danno prova da molti anni. In questo modo vogliono mostrare le nostre debolezze, per provare la loro superiorità. Penso che sono dei semplici riflessi da neocolonialisti.

 

In una trasmissione di grande ascolto, andata in onda mercoledì su un canale francese, Jean-Paul Mira, capo reparto della rianimazione all’ospedale Cochin di Parigi, e Camille Locht, direttore delle ricerche all’INSERM[1], propongono di fare dell’Africa una cavia. Quale crede che debba essere la reazione dell’Unione Africana e dei dirigenti africani?

È vergognoso! Questo odio viscerale, questa mancanza di rispetto totale descrivono allo sguardo africano la proposta di queste due persone, che confondono assolutamente le epoche. È il momento di ricordare loro che gli africani non dimenticano il passato dei loro nonni schiavi, dei loro genitori colonizzati, e hanno, ormai da tempo, deciso di prendere in mano il proprio destino. Se hanno dei vaccini da testare, non c’è bisogno di spostarsi, è più indicato che i vaccini vengano testati lì, dove le persone ne hanno più bisogno. Al tempo stesso bisogna, tuttavia, denunciare il mutismo incomprensibile dei dirigenti africani a questo riguardo. Credo che l’Unione Africana in seguito alla trasmissione di quel servizio, avrebbe dovuto denunciare quella proposta, esigerne il ritiro e pretendere scuse pubbliche da parte degli autori.

 

I sistemi sanitari africani sono fragili. Questo virus sarà l’allarme che farà risvegliare le coscienze?

Effettivamente questo virus fa luce sull’emergenza sanitaria e i dirigenti non possono sfuggire questa situazione. I paesi africani non hanno scelta, dovranno prendere risolutamente la decisione di adattare i propri sistemi sanitari alle norme e gli standard internazionali. A questo proposito, pretendiamo investimenti consistenti nella sanità pubblica, con scelte politiche che mettano l’uomo al centro delle preoccupazioni.

 

Quali saranno le conseguenze economiche sull’Africa?

Come tutte le altre economie, anche l’economia africana ha subito un freno a causa di questa crisi. Penso soprattutto a quelle migliaia di lavoratori del settore informale che rappresentano circa il 70% del PIL in certi paesi e che ne subiranno gli effetti per moltissimo tempo. Gli stati dovranno includere queste porzioni vulnerabili della popolazione nei piani di sostegno che intendono destinare alle imprese. Peraltro, questa crisi interpella gli stati su un’altra urgenza di cui è necessario occuparsi: si tratta della sovranità economica, dell’autosufficienza alimentare e del consumo locale. Per essere un po’ sognatore, suggerirei di perseguire lo stesso obiettivo e le stesse speranze che nutriva per il Continente il capitano Sankara, che non ha mai smesso di incitare gli africani a produrre ciò che consumano e consumare ciò che producono. Detto questo, è ormai evidente che nessun paese può dipendere a lungo da un altro paese. La crisi del Covid-19 e la conseguente chiusura delle frontiere ce lo dimostrano chiaramente.

 

Perché l’Unione Africana non si è ancora espressa riguardo al virus, che incombe su di noi?

Per rimanere fedele all’umorismo africano, direi «forse i capi di stato che ne fanno parte sono risultati positivi al Covid-19». Sfortunatamente, il silenzio dell’Unione Africana non è una novità. È un’abitudine consolidata di questa istituzione, che appare oggi più un sindacato dei capi di stato, che delle voci unite degli Stati e dei popoli del Continente. Questa amara realtà, del resto, è già chiara da tempo ai popoli, per i quali l’Unione Africana non rappresenta un granché.

 

Traduzione a cura di Lavinia Borhy

 

Per approfondimenti:

[1] L’INSERM è l’Istituto Nazionale francese della Sanità e della Ricerca Medica

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