Esprimiamo la nostra totale solidarietà ai lavoratori e ai sindacalisti del SUDD Cobas vigliaccamente aggrediti a spranghe durante un picchetto dinanzi a una pelletteria nel distretto industriale di Prato.
Non è la prima volta che lavoratori e lavoratrici, sindacalisti e sindacaliste vengono aggrediti da squadracce assoldate da padroni e padroncini – italiani, cinesi, pakistani, poco cambia – con l’obiettivo di stroncare le lotte per un salario e un lavoro regolare, per poter lavorare 5 giorni a settimana 8 ore al giorno (e non 7 su 7, 12 ore o più al giorno), per il riconoscimento di diritti e tutele.
A maggior ragione, la risposta nata quasi spontaneamente nel distretto pratese è il più bel segnale che si potesse dare a questa violenza squadrista: i lavoratori pakistani delle ditte cinesi di Seano sono scesi in sciopero e in corteo notturno per le vie di Prato, al grido di “Prato libera, basta mafia”.
Mentre le autorità locali si producono in un profluvio di parole scontate e banali, la verità è che il potere politico agisce per favorire questi interessi industriali criminali.
Le parole di Piantedosi in Parlamento con cui motiva la possibilità del carcere – fino a 2 anni – per chi partecipa a un picchetto operaio, perché “colpevole” di arrecare danno alla normale accumulazione di profitto da parte delle imprese, la dice lunga sugli interessi che stanno a cuore al governo dell’ultradestra e a un’intera classe politica, sempre immobile quando sotto attacco è la vita di migliaia di operai nonché la libertà sindacale.
La violenza squadrista ai picchetti e quella dello Stato a livello normativo dimostrano che scioperi e picchetti sono ancora armi utili nelle mani dei lavoratori e delle lavoratrici. Sono armi che fanno paura. L’unico modo per difenderle è praticarle, allargando la solidarietà.