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Liceali per la Palestina, in galera senza scuola!

Il 22 settembre a Milano due studenti minorenni sono stati arrestati durante la manifestazione per la Palestina. Tre notti al Beccaria senza udienza, poi domiciliari con aggravanti e – l’atto più infame – il divieto di andare a scuola.

La giudice per le indagini preliminari, Antonella De Simone, avrebbe motivato la scelta affermando la necessità di una “risposta adeguata” fino al manifestarsi dei “sintomi di una crescita morale e di progressiva responsabilizzazione”.

La scuola come premio

A questi ragazzi non è stata tolta solo la libertà personale: gli è stato tolto il diritto costituzionale all’istruzione, una misura di gravità tale che uno degli avvocati, Mirko Mazzali, ha affermato di non averne memoria in 35 anni di carriera.

Frequentare la scuola è, evidentemente, per il giudice De Simone, un privilegio riservato a chi obbedisce, non contesta, non protesta; una singolare convergenza di vedute con l’idea di scuola del ministro Valditara.

Di che cosa hanno paura?

La verità è che lo Stato e il Governo stanno mostrando in molteplici modi di temere la ribellione e il coraggio soprattutto delle giovani generazioni.

Hanno paura che questo “contagi” altri coetanei: il termine medico non è casuale, ma in linea con le parole usate dalla giudice che parla di “sintomi”.

Siccome la lingua non mente, è lampante che per chi comanda, in questo paese, non da oggi, le proteste sono una malattia, una patologia, e la repressione è la cura.

La scuola protagonista delle piazze del 22

Chi comanda teme soprattutto il risveglio del settore istruzione.

Mentre gli studenti sono in piazza dal primo giorno, il 22 l’elemento sorprendente e imprevisto è stata la massiccia partecipazione delle e dei docenti allo sciopero, con percentuali che non si vedevano da dieci anni e anche molto di più, se si considera che a indire lo sciopero sono stati i sindacati di base.

Questo è il cuore della vicenda: non i presunti capi d’accusa, non una vetrina rotta.

Perché è proprio lì la misura della sproporzione: mentre i giornali gridano allo scandalo per un vetro infranto, tacciono sulle migliaia di vite spezzate dal genocidio in Palestina. Si fa rumore per un danno materiale per silenziare la rabbia popolare che nasce davanti a un’ingiustizia immensa.

Ma noi sappiamo bene cosa c’è in gioco:

una società capitalista che promuove guerra e repressione;

un sistema che preferisce punire due adolescenti piuttosto che fare i conti con le proprie complicità;
una scuola che viene usata come arma di ricatto, luogo di indottrinamento e reclutamento, invece che come luogo di crescita.

Per questo gridiamo forte:

la rabbia degli studenti non si processa;
il diritto alla scuola non si sospende per decreto;
una vetrina si ricostruisce, una coscienza libera no: quella resiste e cresce.

Solidali e complici con gli studenti arrestati.
La repressione non fermerà la ribellione.

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