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UN/A INSEGNANTE DEI TUOI FIGLI SU QUATTRO È PRECARIO/A. LA RAGIONE È SCONVOLGENTE

Circa 250000 insegnanti italiane/i sono precarie/i, su un totale di poco meno di un milione.
Nonostante i concorsi banditi con maggiore frequenza rispetto al passato, il numero è quasi raddoppiato in meno di dieci anni.
L’unica soluzione vera è la stabilizzazione di tutte e tutti ma nessuno, dal PD a FdI, passando per i 5 Stelle, la vuole davvero.

La scuola italiana si regge sulle spalle delle e dei supplenti. Per capirci, si tratta di persone con una formazione alle spalle e con anni di esperienza a cui viene fatto un contratto per un anno scolastico o per una frazione di questo, e che anno dopo anno non solo non hanno la certezza di tornare in cattedra ma, anche se riconfermate, cambiano spesso scuola, o città, provincia, regione, magari emigrando a centinaia di chilometri da casa per coltivare la speranza di una stabilizzazione che assomiglia sempre più ad una lotteria.
Quando le nostre figlie ed i nostri figli entrano in classe a Settembre, un/a loro insegnante su quattro ha questo fardello sulle spalle. Perché? Non è questione di disorganizzazione, né si tratta del caso: i partiti che hanno governato il paese negli ultimi 30 anni almeno, tutti, hanno consapevolmente creato, mantenuto ed alimentato questo sistema, troppo spesso con la complicità almeno dei sindacati più grandi e “rappresentativi” e a vantaggio di una pletora di enti di formazione, università telematiche e non, private e non, che hanno mangiato, o letteralmente sono esistiti grazie al mega business della “formazione” permanente. Cerchiamo di capirci qualcosa.

Come si entra a scuola? La macchina dei concorsi infiniti

I concorsi, che prevedono requisiti di ammissione e un punteggio per titoli, prova scritta e prova orale, non sono più abilitanti. Una volta potevi risultare idoneo ma non vincitore perché avevi passato le prove e pur non rientrando nei posti per il ruolo ricevevi l’abilitazione. Adesso chi supera le prove ma non rientra nei posti messi a bando non va ad integrare nessuna graduatoria, deve solo aspettare il concorso successivo e ricominciare da capo.

I posti disponibili banditi non ricoprono mai le reali esigenze perché negli anni i ministri di ogni colore hanno avallato il taglio delle cattedre cosiddette “di diritto”, quelle cioè calcolate sulla base di una serie di criteri complessi, che non corrispondono mai a quelle “di fatto”, determinate dalle esigenze reali che si manifestano anno dopo anno.

Per capirci, lo Stato, in qualità di primo datore di lavoro precario in Italia, ragiona esattamente come il responsabile del personale di un’azienda: riduce al minimo il personale a tempo indeterminato per poi andare a sopperire alle esigenze che si presentano anno dopo anno (nuove iscrizioni, nuove e nuovi alunni con certificazioni di disabilità) con lavoratrici e lavoratori stagionali, che costano meno.

Soprattutto, non vanno a costituire una massa di soggetti portatori di un diritto potenziale, quello all’assunzione; se non si forma alcuna graduatoria, o non viene riconosciuto alcun “bagaglio” formativo acquisito, si ricomincia semplicemente da capo.

Lo Stato manager ha, quindi, affinato i suoi strumenti, togliendo da mezzo ogni “abilitazione”, che venisse da una formazione specifica o da un concorso, e ha introdotto concorsi per posti a tempo indeterminato ai quali ci si può iscrivere sommando al titolo di studio universitario dei crediti formativi che sono oggetto di un vero e proprio mercato miliardario, del quale parleremo poi.

Marginalmente, non è inopportuno ricordare che lo Stato incassa bei soldi dalle quote di partecipazione previste per ogni concorso che organizza: solo tenendo presente le e gli iscritti al cosiddetto “straordinario ter” (372.635), che hanno pagato 10 euro per partecipare (oltre alle spese personali per trasporti, alberghi etc), lo Stato ha incassato quasi 4 milioni di euro.

Se i Governi avessero avuto a cuore, negli anni, l’interesse collettivo – delle studentesse e degli studenti, delle e dei docenti, delle famiglie, della società tutta – avrebbero stabilito una volta e per tutte un percorso formativo dedicato all’insegnamento – una laurea specialistica ad hoc come avviene in alcuni paesi, o un percorso post-laurea – e avrebbero bandito concorsi annuali gratuiti per un numero di posti corrispondente alle effettive esigenze della platea, se non maggiore, avendo l’obiettivo – scritto in milioni di documenti ufficiali e subito dimenticato – di ridurre il numero di alunni per classe. Ovviamente, è opportuno ribadirlo, provvedendo prima a sanare il precariato accumulato con procedure di stabilizzazione. La frequenza dei concorsi potrebbe anche essere diradata, dando validità almeno biennale alle graduatorie, come del resto previsto per altre amministrazioni in nome del principio dell’economicità dell’azione amministrativa. Quello che si verifica in Italia invece è un loop di concorsi per pochissimi posti, dove chi perde, magari per uno-due punti, deve ricominciare da zero, e chi vince non ha finito, perché oltre all’anno di prova e alla formazione in servizio deve letteralmente comprare altri crediti. Anche qui, facendo un paragone con un’azienda privata, è come se si chiedesse a persone, assunte dopo un duro processo di selezione, di pagare, profumatamente, perché non ancora “formate” a sufficienza. Assurdo? È ciò che succede a scuola e che alimenta un business milionario dove mangiano, letteralmente, tutti.

Il mercato delle vacche dei CFU

Il ministro Valditara ha concretizzato un percorso messo in piedi e portato avanti dal precedente Ministro Bianchi (lo ricordate? Era quello del Governo dei Migliori, sostenuto praticamente da tutto il Parlamento). Come funziona? Semplice, basta pagare.

Chi ha un’abilitazione su una disciplina e vuole acquisirne un’altra, per cambiare, o per avere più chance di lavorare, o per non correre il rischio di trovarsi con cattedre su più scuole o in sovrannumero, compra 30 CFU con un percorso facile, full online, senza obbligo di frequenza dal vivo, attivato così da tutte le università telematiche che da marzo 2024 a oggi è già alla quinta edizione.

Chi ha più di 3 anni di esperienza (che dovrebbe essere stabilizzato di diritto secondo quanto previsto dalla Corte di Giustizia Europea in materia di lavoro a termine), per partecipare a un concorso compra 30 CFU che, però, possono essere acquisiti con un percorso che per almeno una parte deve essere in presenza, e che quindi è stato praticamente attivato da pochissime università perché tutte le telematiche o quasi non hanno sedi fisiche per attivare percorsi del genere, e le pubbliche si sono mosse in ritardo (per disorganizzazione o per non pestare i piedi alle potenti private?) ed è a numero chiuso. Questo ha impedito alla maggioranza dei precari con anni di esperienza di rientrare nella prima fascia delle graduatorie cosiddette GPS, vedendosi spesso scavalcati da chi ha comprato i crediti di cui sopra. Chi è “semplicemente” laureata/o ma non ha già un’abilitazione o 3 anni di supplenze alle spalle deve comprare 60 CFU.

I prezzi vanno da 1500 euro a 2500 euro, ossia da uno a quasi due stipendi di un supplente ad inizio carriera. È chiaro, quindi, che se non si hanno le spalle coperte dalla famiglia di provenienza, o da un coniuge con un lavoro stabile e meglio retribuito, a scuola non si entra. La selezione di classe delle e degli insegnanti avviene con un metodo brutalmente economico (come del resto accade da almeno vent’anni, dall’epoca delle Scuole Interuniversitarie di Specializzazione, per non andare troppo lontano).

Abbiamo usato il verbo “comprare” riferito a CFU, cioè a crediti formativi. La formazione erogata da università telematiche o pubbliche ed enti vari non aggiunge, in realtà, nulla di più a quella che un insegnante, già abilitata/o o con esperienza, non abbia già.

Il business sembra secondario ma è enorme. Le più grandi università telematiche si reggono, essenzialmente, sulla fornitura di pacchetti di corsi per l’acquisizione di esami mancanti al curriculum universitario o per i CFU, con un giro d’affari talmente grande che, per dirne una, la Unipegaso è stata venduta dal suo fondatore, Danilo Jervolino, nel 2022, per la cifra monstre di un miliardo di euro.

Del resto il 28 Aprile scorso la trasmissione Report ha messo in luce i rapporti quantomeno opachi tra il mondo delle università telematiche e l’attuale Governo. Il ministro della PA Zangrillo ha incluso, per esempio, le telematiche nel programma di formazione per dipendenti pubblici “PA 110 e lode”, dal quale in origine erano state escluse perché ritenute non adeguate. Telematiche che, a loro volta, finanziano i partiti di Governo, come la Lega finanziata dal patron di eCampus, o la Unicusano di Bandecchi che ha distribuito quasi mezzo milione di euro tra il centrodestra, Di Maio ed Italia Viva. Lo stesso Valditara ha presieduto il corso di Giurisprudenza dell’Università Europea di Roma, privata, facente capo alla congregazione religiosa dei Legionari di Cristo, ed è stato presidente dell’Osservatorio inter-ateneo dell’Università Link Campus.

La guerra tra poveri

Nei decenni in cui il precariato scolastico è letteralmente esploso (dagli anni ‘90 in poi, all’incirca), i Governi si sono dati da fare non solo per aumentarlo – i numeri parlano da soli – ma per cambiare continuamente il modo in cui si diveniva precari, o si acquisivano diritti per l’assunzione. In questo modo, è stata scientificamente alimentata una vera e propria guerra tra poveri, dove per poveri intendiamo soggetti sottoposti alle stesse dinamiche letteralmente vessatorie, impegnati nello stesso lavoro eppure divisi ad arte in una serie infinita di categorie sulla base della condizione particolare: sissini contro precari storici, concorsisti contro abilitati in graduatoria, triennalisti contro abilitati online, tfa italiani contro esteri…dietro queste infinite contrapposizioni, dove è impossibile distinguere torti e ragioni, c’è la mano sapiente dello Stato che divide per comandare.

Non è un caso che la scuola, nonostante, lo ricordiamo, il 25% del personale docente sia precario, sia uno dei settori dove è più difficile mobilitare le lavoratrici e i lavoratori. Complici anche, lo diciamo con dispiacere, quei sindacati, dai confederali cd. Rappresentativi ai corporativi, che negli anni hanno approfittato per inserirsi negli interstizi del sistema e si sono specializzati chi nei ricorsi, chi nella formazione, alimentando di fatto ciò che teoricamente dovevano combattere, e approfittando del fatto che le leggi sulla rappresentanza sindacale hanno letteralmente tagliato le gambe ai sindacati “veri”, di lotta, non compromessi.

L’unica risposta valida, politica e sindacale, per superare la divisione ad arte delle e dei docenti precari, divisione che, ripetiamo, indebolisce tutte le lotte, è semplice quanto potente: stabilizzazione di tutte e tutti i precari storici, senza distinzioni né condizioni vessatorie, e rimozione degli strumenti in vigore per ricreare nuovo precariato. Al momento, però, a parte qualche sigla sindacale, nessuno degli attori in campo sembra voler perseguire questa linea. Le divisioni fanno comodo a molti mentre fanno il male delle lavoratrici e dei lavoratori, della scuola e delle famiglie.

Nella prossima puntata analizzeremo come, a fare le spese di questo sistema, oltre alle ed agli insegnanti e a tutta la platea scolastica, sono in particolare i più fragili: le studentesse e gli studenti con certificazione di disabilità.

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