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[PERÙ] IL CONGRESO DESTITUISCE IL PRESIDENTE CASTILLO, LE FORZE ARMATE SPARANO. FERMIAMO IL GOLPE DEL CONGRESSO E DELL’OLIGARCHIA PERUVIANA!

Negli ultimi sette giorni, il paese delle Ande è caduto nella crisi politica, istituzionale e sociale più profonda degli ultimi decenni. Il 7 dicembre 2022 il presidente democraticamente eletto Pedro Castillo si è presentato davanti ai media per annunciare lo scioglimento del Parlamento, l’avvio di un “governo di emergenza eccezionale” e la convocazione di un’assemblea costituente entro nove mesi – tutte facoltà che la Costituzione peruviana accorda al Presidente.

Subito i media peruviani e internazionali hanno iniziato a parlare di svolta autoritaria, di “golpe” o di “autogolpe” di Castillo, in simbiosi con la narrazione imposta dall’opposizione peruviana. Hanno ragione loro? Per capirlo occorre fare un passo indietro.

Sin dal primo giorno della sua elezione con il 50,13% al secondo turno delle presidenziali del 6 giugno del 2021 (solo 45mila voti in più della rivale Keiko Fujimori, figlia dell’ex dittatore – ora agli arresti – Alberto), Castillo ha subito forti attacchi dai settori conservatori e dalle oligarchie del paese che hanno reso impossibile l’applicazione di importanti riforme sociali e l’avvio di un processo costituente con lo scopo di sostituire la Costiuzione voluta dall’ex dittatore Alberto Fujimori – lui sì autore di un “autogolpe” nel 1992.

Di fronte a questi attacchi, l’insegnante rurale proveniente da una famiglia umile ha però avuto grandi difficoltà a reagire. Per accontentare i settori economici dominanti, Castillo ha sostituito i suoi ministri con esponenti più moderati o esplicitamente conservatori. Inoltre, ha cercato aituo dalla già delegittimata Organizzazione degli Stati Americani (OSA, quella che Fidel Castro definiva il “ministero delle colonie” statunitense) invece di chiamare alla mobilitazione popolare per difendere il suo programma politico. In sintesi, negli ultimi 18 mesi Castillo si è sempre più allontanato dalle masse popolari e dai partiti che lo avevano sostenuto.

E così Castillo non è neanche riuscito a sciogliere il parlamento. Alla seduta congressuale, i/le 130 deputatə del “Congreso” del Perù hanno votato una mozione di destituzione del presidente in carica per “incapacità morale permanente” a causa di accuse di corruzione. Il risultato: 101 voti a favore, 6 contrari e 10 astensioni. Poche ore dopo il suo discorso in TV, Castillo è stato quindi arrestato e sostituito dalla sua vicepresidente Dina Boluarte, che ha subito accettato la sua nuova carica e prestato giuramento.

I principali mass media non hanno esitato un attimo per definire la destituzione di Castillo come un atto necessario per sventare un colpo di stato autoritario e rispettare la volontà popolare. Ma il vero golpe è stato programmato sin dall’inizio del mandato di Castillo da forze reazionarie composte da gruppi di industriali peruviani, ex militari del fujimorismo, fondazioni di destra legate a Paesi occidentali e mass media influenti, a partire dall’attore chiave in Perù, El Comercio.

E che questo colpo di stato rivolto contro il presidente stesso non rappresenti la volontà popolare, lo dimostrano le centinaia di migliaia di persone – la base sociale di Castillo composta da lavoratrici e lavoratori, poverə, nerə e indigenə, soprattutto provenientə dalle regioni fuori dalla capitale Lima – che sin dal primo giorno stanno scendendo in piazza in tutto il Paese, bloccando strade e aeroporti, e chiedendo lo scioglimento del Congresso, elezioni anticipate a breve termine e la convocazione immediata dell’Assemblea Costituente (o quanto meno di un referendum per verificare la volontà di aprire un nuovo processo costituente).

Ad applicare misure autoritarie e violente è proprio la nuova presidente Dina Boluarte, supportata dai militari, che dopo poche ore dal suo insediamento ha annunciato elezioni anticipate solo per il 2024, scatenando la rabbia dei manifestanti. In più, il comando generale delle Forze Armate ha dato indicazioni di applicare una dura repressione contro i “gruppi sovversivi di sinistra: usare la forza letale per controllare i disordini; arrestare immediatamente i manifestanti; sospendere tutti i diritti costituzionali nelle zone di emergenza”.

Il risultato di questa repressione è pesantissimo: almeno 7 morti, tra cui un 15enne e altri due minorenni, centinaia di feriti e arrestati e la limitazione dei più basilari diritti umani.

Di fronte a questa violenza e al mancato rispetto del mandato popolare, la comunità internazionale è in silenzio e si fa quindi complice della repressione subita dal popolo peruviano. Solo i presidenti di Argentina (Alberto Fernandez), Bolivia (Luis Arce), Colombia (Gustavo Petro), Honduras (Xiomara Castro), Venezuela (Nicolás Maduro), Cuba (Miguel DíazCanel) e Messico (Andrés Manuel López Obrador) hanno chiesto “il rispetto dell’investitura di Pedro Castillo e dei diritti umani”.

Per uscire da questa profonda crisi e dalla spirale di violenza che sta vivendo il Perù, è necessario che la cosiddetta comunità internazionale stia dalla parte del popolo in piazza, esigendo la fine immediata della repressione, il rispetto della volontà popolare, tempi certi e rapidi per un nuovo processo elettorale e, soprattutto, costituzionale.

Il rischio concreto è un governo golpista sul modello di quello di Jeanine Áñez dopo la deposizione violenta di Morales in Bolivia, che fa strage di diritti e, soprattutto, di esseri umani.

Il Governo italiano e la Farnesina cosa stanno facendo per render chiaro che non ci sarà alcuna impunità per i crimini dei golpisti peruviani?

Noi sappiamo chi è il nostro alleato, cioè l’unico attore sovrano del Perù: il popolo dei senza potere che oggi è nelle strade per impedire la stabilizzazione del golpe e per aprire una via d’uscita democratica e popolare alla crisi istituzionale che travaglia il Paese andino.

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