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FIRENZE: LETTERA DI UN DIPENDENTE DI UNA RSA

Di Potere al Popolo – Firenze

Qualche giorno fa ci è arrivata la lettera di un dipendente di una  RSA (Residenza sanitaria assistita). Vogliamo riportare la sua mail insieme alla nostra risposta perchè rispecchia un risentimento forte che esiste tra i dipendenti del privato convenzionato – che guadagnano meno e sono sottoposti a condizioni peggiori – rispetto a quelli del pubblico. Capiamo benissimo questo senso di frustrazione che si vive quando ci si sente svalorizzati, nonostante i sacrifici quotidiani. Di fronte alla pandemia non ci sono solo i lavoratori del Servizio sanitario nazionale, ma anche i dipendenti delle Rsa convenzionate o private, che in molti casi sono diventate luogo di focolai Covid, proprio perchè “tralasciate” dalla prevenzione di cui hanno goduto le strutture pubbliche. Ma ci sono anche gli/le addetti alla pulizia o alle portinerie, e tutte le altre figure in appalto. Da lavoratori e lavoratrici dobbiamo e possiamo dirigere questa rabbia verso i giusti obiettivi. Unirci tra lavoratori del pubblico e del privato per ottenere condizioni di lavoro migliori, quanto più uniformi possibili, e poter così garantire un servizio adeguato.

LA LETTERA

Sono infermiere da venti anni. Laureato nel 2001 a Firenze. Comunista. Babbo partigiano. Antifascista. Fortemente statalista ma deluso.

Sono tra i pochi che ha lasciato la sanità pubblica per scegliere di esercitare il proprio mestiere in RSA. Primo per l’autonomia intellettuale e professionale che questa realtà ci regala, secondo, per il profilo che gli ospedali e le Asl formano nei miei colleghi.

Diciamo la verità. Su 10 professionisti la metà galleggiano su i contratti statali.

L’ho visto con i miei occhi, in pronto soccorso si fa attendere fuori il “dolore addominale” lieve, l’anziano non arrivato in ambulanza ma accompagnato dai familiare per fiato corto, si fa 4 prelievi in un turno. Il popolo aspetta fuori anche sei ore, vero? Si, ci sono i tagli, ma ci vuole anche il cervello del dipendente che per sette ore di turno deve lavorare come fosse sul suo. Non parliamo dell’infermiere sul territorio, che parte dall’Asl del quartiere per fare quattro medicazioni, e ne approfitta per fare la spesa alla Coop durante il turno. O no? Io lo so che lavoro nel privato accreditato, ma ho 80 anziani e disabili (anche relativamente giovani), 8 letti regionali per indigenti, tutti quanti mi ringraziano per il lavoro svolto e sanno che lasciati a casa la loro vita sarebbe stata molto più breve. Inoltre siamo più di 40 dipendenti, i due terzi donne, straniere, integrate ma dimenticate dalla società (visto anche il contratto scaduto da 12 anni).

In più ci sentiamo colpevolizzare per la nascita di focolari in loco.

Sapete, la struttura in cui lavoro è a zero contagi, l’accesso a parenti non è consentito da più di un mese. Facciamo turni di 12 ore di cinque giorni, con 5 liberi a seguito. Ogni 15 giorni sierologico o tampone veloce ai dipendenti, pagati dalla struttura perché non rientriamo nei piani dell’ASL. È giusto? In più se volete saperlo quindici giorni fa abbiamo mandato un anziano per una frattura spontanea al femore. Entrato negativo covid ad oggi positivo. Un altra anziana stesso discorso ad aprirle.

Ma siamo in crisi no? Poi se vogliamo dirla tutta anche noi indossiamo i DPI, ma tutti questi selfie di segni sul viso non le ho, e non vi mando foto di me a lavoro perché non ho tempo per farmela e se ho 5 minuti di pausa preferisco farmi una sigaretta che una foto….

Il covid esiste ma le differenze sociali continuano a cavalcare l’onda.

Lavoriamo nel privato si, ma come gli appalti ospedalieri, come gli addetti alla sanificazione, i barellieri, i portieri, l’autista soccorritore, sono anch’essi privati (non parliamo di cooperative che è meglio).

Pretendiamo non solo il rispetto ma anche l’adeguato riconoscimento per il servizio svolto. Lo stato esiste se il popolo è educato per rispettare il popolo. Popolo che fa lo stato. Non si lavora per lo stato solo per i diritti e la sicurezza di arrivare in pensione. Si lavora per essere stato e popolo. Oggi non è così. Ringrazio a nome di tutte le RSA, appalti Asl e chiunque lavora nel privato e vede, a parità di mansioni, una differenza di stipendio pari a 400 € in meno (pari al mio mutuo). Ma a noi quasi nessuno ci pensa. Siamo il ciccione che ingrassa il ricco. Peccato che ritrovo più compagni nella mia realtà lavorativa che nella medicina di Careggi.

Grazie
Un dipendente Rsa


LA NOSTRA RISPOSTA

Ciao XXX,
grazie davvero della tua testimonianza. Siamo d’accordo, chi lavora negli appalti, cioè in tutto quel privato che in realtà svolge un servizio pubblico (cioè un servizio che non dà profitto, ma esiste per il bene di tutti), è il “ciccione che ingrassa il ricco”. Negli appalti si guadagna di meno, si lavora di più, spesso ci sono CCNL peggiorativi. E ormai l’appalto e il privato convenzionato è la regola di molti servizi pubblici, per cui è più facile diventare “ciccioni che ingrassano i ricchi” piuttosto che essere assunti nel pubblico, dove le assunzioni sono da tempo ridotte al lumicino. Infatti nel pubblico l’età media dei dipendenti è molto più alta che nel privato convenzionato, e non stentiamo a credere che sia in quest’ultimo che sta la gente più incazzata e disposta a lottare.

C’è però una cosa su cui non siamo d’accordo: il “ricco” che voi ingrassate col vostro lavoro non è il dipendente pubblico.

Conosciamo tanti e tante tuoi colleghi/e del pubblico che sono dediti al servizio che svolgono tanto quanto te, e che non meritano di essere accusati di essere “fannulloni” e “garantiti”. Il “ricco” che tu ingrassi prendendo 400 euro in meno rispetto a un dipendente pubblico è il padrone dell’azienda o il dirigente di cooperativa che si pappa l’appalto. La Asl infatti, per il lavoro che tu svolgi, spende molto di più di quello che ricevi. Più di quello che spenderebbe se ti assumesse direttamente con il CCNL del pubblico. Dove va quella differenza? Nelle casse dell’azienda in cui lavori. Ecco “il ricco” che ingrassi e che molti di noi che lavorano in appalto o in cooperativa ingrassiamo. Una pletora di titolari d’azienda e di personale dirigente di cui non ci sarebbe bisogno, ma che hanno ottimi agganci col dirigente ASL di turno, a sua volta legato al partito politico in carica. Loro si fanno le leggi, e loro ci guadagnano.

Per questo noi lottiamo, nell’immediato, per ottenere più diritti per tutti i lavoratori, da quelli del pubblico, ai lavoratori in appalto, a quelli del privato.

Ma sappiamo che la vera soluzione è la REINTERNALIZZAZIONE di tutti i dipendenti in appalto e di tutti i dipendenti della sanità convenzionata nel pubblico. Ciò creerebbe un notevole risparmio – perchè l’appalto costa meno dell’assunzione diretta -, garantirebbe a voi migliori condizioni di lavoro, e produrrebbe le condizioni per una sanità in grado di adattarsi rapidamente a situazioni di emergenza come quella che viviamo in questo momento.

Quello che è avvenuto in molte Rsa – con l’esplosione di focolai – non è avvenuto a causa dei lavoratori e delle lavoratrici del privato, ci mancherebbe, ma è a causa del fatto che le condizioni di sicurezza e di lavoro in cui in molte Rsa – non in tutte, non vogliamo generalizzare – si lavora, sono peggiori rispetto al pubblico. Anche nella “conta” dei deceduti per Covid e nella stessa prevenzione, nelle Rsa si è arrivati tardi proprio perchè, pur svolgendo un servizio pubblico, sono appaltate al privato, sono una specie di bubbone separato dalle procedure del pubblico. Reinternalizzarle gioverebbe certamente a creare un vero servizio sanitario.

Quanto agli sprechi di cui parli, compreso il problema di chi nel pubblico ci sta solo per guadagnarsi lo stipendio, beh, la nostra soluzione si chiama “controllo popolare”.

Noi pretendiamo che all’interno di ogni servizio pubblico siano previsti organi collegiali di utenti e lavoratori che possano controllare la qualità del servizio ed esprimere pareri vincolanti. Ne gioverebbe la qualità del lavoro di tutti e si eviterebbero inutili sprechi. E di sicuro la pandemia sarebbe stata affrontata meglio se vi fosse stato un controllo vincolante di utenti e lavoratori sulle riorganizzazioni interne, sullo smantellamento della sanità territoriale etc. etc. La svogliatezza nasce dove finisce la responsabilizzazione, dove si perde il senso di quello che si fa.

Un abbraccio

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