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[GENOVA] I MERCATI NON SONO LA SOLUZIONE E NEMMENO IL MES

La crisi economica prodotta dall’emergenza coronavirus si inserisce in un quadro generale più grande: più volte, infatti, abbiamo ribadito che questa è una crisi di sistema.

Le previsioni sul PIL italiano fatte dall’Ocse prima dell’epidemia erano già al ribasso. Gli analisti non riescono ancora a quantificare un dato preciso sulla perdita percentuale di pil a seguito dell’epidemia, esso infatti dipende da quanto durerà la paralisi e il periodo emergenziale.

Le prime stime dicono che dalle prime settimane di “lockdown” le perdite di produzione e di reddito si aggirano intorno agli 80 miliardi di euro, ossia il 4% del pil. Proprio in questo contesto dobbiamo chiederci: come si sta muovendo il governo italiano?

Intanto, come affermano già diversi economisti (si guardi al recente appello pubblicato sul Financial Times da Brancaccio, Realfonzo e Gallegati), le misure intraprese dal governo italiano non sono sufficienti.
Inoltre, al momento, non è nemmeno chiaro come si consumerà la lotta intestina alla BCE, che vede contrapposti due fronti: da una parte, i Paesi che vogliono la mutualizzazione del nuovo debito che sarà necessario ai singoli governi per puntellare le rispettive economie, dall’altra chi vi si oppone, sostenendo che gli attuali strumenti emergenziali di politica economica (il MES) sono già adeguati a fronteggiare la situazione odierna, come la Germania e i paesi del Nord Europa.

Il Meccanismo Europeo di Stabilità, però, non è dotato delle risorse sufficienti a far fronte ad una sempre più probabile crisi dei debiti pubblici dei Paesi pesantemente colpiti dal virus; basti pensare che le stesse misure approvate dalla Bce la settimana scorsa per far fronte al crollo delle borse (750 miliardi) (per quanto non risolutive) sono superiori a quelle del MES.

Inoltre con la nuova riforma, il MES impone pesanti condizioni di ristrutturazione del debito ai paesi che ne chiedono il sostegno e che non hanno un rapporto debito/pil pari o inferiore al 60%.

Per questo ci appaiono irrealistiche le dichiarazioni di Gualtieri: come farebbe l’Italia nelle attuali condizioni sociali ed economiche a ristrutturare il proprio debito pubblico trovando 60-70 miliardi di euro ogni anno?
Se la Banca Centrale Europea non interviene direttamente attraverso l’acquisto dei titoli di stato, controllando quindi i tassi di interesse dei debiti pubblici sul mercato (agendo da prestatrice di ultima istanza), difficilmente si potrà intravedere uno spiraglio di uscita dal disastro che ci si para davanti, o uno spazio minimo di politica economica per salvare il salvabile.

Queste opposizioni e impasse dentro alle Istituzioni europee sono il frutto dell’ideologia ordoliberale su cui sono fondate. Questa crisi ci dice la verità: da questa situazione non se ne uscirà con la spontanea ripresa dei mercati, perché questa crisi distrugge sia la capacità di spesa sia la produzione. Serve inevitabilmente una logica di pianificazione economica, oltre che la liquidità necessaria.

Senza il sostegno diretto della BCE, i singoli stati saranno costretti ad indebitarsi direttamente sui mercati, e l’affollamento di offerta di titoli di stato sul mercato produrrà quasi sicuramente effetti di speculazione finanziaria. Il controllo e la limitazione dei movimenti internazionali di capitali è uno dei primi passi da sostenere e rivendicare. Nel rapporto con l’Unione Europea il governa sembra allo sbando e bisognerà comprendere quali saranno i prossimi passi. Di sicuro al centro di tutta questa fase ci sono le classi popolari del nostro paese, che a causa della pochezza di questo governo e del suo asservimento agli interessi padronali, rischieranno di pagare il prezzo più caro. È ormai da anni che denunciamo l’insostenibilità di questo modello di sviluppo.

L’economia sociale di mercato ha dimostrato di fallire, la crisi del 2008 con i suoi effetti devastanti non ha messo da parte le ideologie neoliberiste, anzi nel corso degli anni si sono pure rafforzate. Le dosi di austerity inflitte alle classi popolari di tutta Europa sono servite a salvare e a giustificare i debiti speculativi delle banche attraverso le privatizzazioni e i tagli al welfare.
Non possiamo pensare ora che avvenga un’improvvisa inversione di rotta da parte di chi fino ad oggi ha governato. Le misure intraprese saranno sempre parziali, gli interessi dei lavoratori saranno sempre all’ultimo posto se non ci assumiamo la responsabilità di costruire un’alternativa credibile allo stato di cose, affinché tutto non torni come prima.

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