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[TOSCANA] LA FINANZIARIZZAZIONE DEI SERVIZI PUBBLICI ESSENZIALI E IL CASO MULTIUTILITY TOSCANA SPA. PERCHÈ È UNA BATTAGLIA IMPRESCINDIBILE

acqua pubblica

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E’ un tema tanto complesso quanto strategico per organizzazioni politiche come la nostra ma sul quale si ha un oggettiva difficoltà a creare mobilitazione ampia. Eppure la questione della finanziarizzazione dei servizi pubblici è il nodo cruciale che sta alla base delle contraddizioni più cogenti e visibili sul piano locale: come la costruzione di gassificatori (come quello paventato a Empoli), di grandi opere impattanti (come l’ampliamento dell’aeroporto di Peretola) e distruttive per la comunità locale (come il progetto di raddoppio della linea ferroviaria Empoli-Siena). La finanziarizzazione è al cuore anche di scandali ambientali come quelli del Keu, che nascono proprio nelle intercapedini di un impianto di gestione del territorio basato sul partenariato pubblico-privato.

Di norma i comitati su temi puntuali e locali sviluppano relazioni tra loro, si sostengono a vicenda, e in molti casi riescono ad essere incisivi, ma hanno un limite naturale di estensione di massa nella società. Viceversa, cambiamenti in negativo progressivi e generalizzati, che riguardano quasi tutti, come l’impoverimento diffuso della biosfera, i cambiamenti climatici, l’inflazione e la perdita di valore delle retribuzioni, l’impoverimento dei servizi pubblici sanitari, scolastici e comunali, la precarizzazione del lavoro e della vita delle giovani generazioni, stentano a determinare movimenti in grado di farsi soggetti organizzati in grado di incidere e cambiare.

È un problema che abbiamo e che abbiamo chiamato anche in altri contesti la “rana bollita”. Spesso questi cambiamenti passano attraverso una miriade di provvedimenti che si fatica a seguire anche perché di norma si entra in tecnicismi che richiedono competenze e informazioni non banali, ma nemmeno tanto affascinanti per i più. La finanziarizzazione dei servizi pubblici locali a rete, come acqua, rifiuti urbani ed energia, la trasformazione progressiva delle nostre società di gestione pubbliche in società di capitali prima, poi miste e poi in grandi aziende quotate in borsa come Multiutility Toscana SPA, determinano un impoverimento di tutti i cittadini, anche se ovviamente colpiscono più pesantemente i ceti popolari a minor reddito, minor patrimonio privato e minore livello di scolarizzazione e istruzione. Parliamo di un massiccio spostamento di risorse, soldi e potere dall’ambito pubblico all’ambito privato.

Ecco perché, nonostante la difficoltà di mobilitazione, un’organizzazione politica di respiro nazionale che si definisca radicale non può che occuparsi del tema: da un lato capendo meglio cosa sta succedendo, cosa siano le multiutility e la posta in gioco, dall’altro chiedendoci come strategicamente fare per far crescere mobilitazione e renderla strutturata, capace di muovere rivendicazioni sostanziali.

È una unica società che fonde tutte le attuali società di diritto privato ma a capitale interamente pubblico o misto che svolgono servizi in Toscana relativi a ciclo dell’acqua, dalla sorgente alla depurazione, dei Rifiuti urbani e della distribuzione di energia (gas ed elettricità). Sono servizi indispensabili per tutti, famiglie e imprese, in regime di monopolio di fatto in quanto non ci può essere scelta tra più gestori che operano sullo stesso territorio per i cittadini. Punto essenziale di questa operazione è la successiva quotazione in borsa della società il primo anno con un miliardo e mezzo e poi altri due o tre miliardi nei 4 anni successivi. Queste le previsioni.

Attualmente l’operazione è stata approvata da oltre 60 consigli comunali delle province di Firenze, Prato e Pistoia per il primo nucleo societario che avviene con l’incorporazione in ALIA,  società di diritto privato ma a capitale interamente pubblico, di tutte le società che attualmente svolgono i servizi pubblici che abbiamo detto. La società si chiama per ora “Multiutility Toscana spa” che indica chiaramente l’obiettivo esplicito e dichiarato di includere l’intera Toscana ed anche parte dell’Umbria.

All’interno della Multiutility ci sarà una società “Holding Toscana SPA”, a capitale totalmente pubblico dei comuni aderenti, che possiederà il 51 % delle azioni di Multiutility. Al suo interno la maggioranza l’avranno i comuni di Firenze e Prato per ora, ma a scanso di equivoci e di imprevedibili giochi di alleanze tra comuni, nei patti parasociali si chiarisce che non si possono costitute maggioranze senza Firenze all’interno della Holding; quindi, Firenze rimane l’unico comune garante della stabilità della azienda, come il Comune di Roma è il garante di ACEA.

Questa struttura societaria che viene vantata come a “controllo pubblico” è viceversa proprio solo a garanzia di stabilità dell’impresa per la massima redditività delle azioni. In una società quotata in borsa questa è la cosa che conta, non i comuni o gli utenti o l’ambiente.

Dal punto di vista politico essenzialmente il PD o almeno chi al suo interno conta ed in particolare i sindaci di Firenze, Prato ed Empoli e FdI che esprime il sindaco di Pistoia. In realtà a spingere in questa direzione sono principalmente gli apparati societari dei gestori di acqua e rifiuti. Li dentro i politici diventano “imprenditori” e spesso ne diventano amministratori o dirigenti, mentre i privati si giovano della consociazione con il potere pubblico.

Dicono per sfruttare sinergie, per razionalizzare ed “efficientare” i servizi mentre per la quotazione in borsa, per ridurre l’indebitamento e fare investimenti, poiché il capitale raccolto in borsa è “capitale proprio” non debiti.

Viene anche detto che siccome questi servizi non sono impostati, come “in house” ossia gestioni realmente pubbliche come chiedeva il referendum tradito sull’acqua pubblica che ha vinto nel 2011, essi devono andare a gara periodicamente ed è necessario che la gestione sia affidata a imprese con le spalle robuste, in grado di competere con concorrenti privati di analoghe dimensioni in Europa.

Quello che non viene detto è che in realtà la quotazione in borsa non significa affidarsi ad un azionariato popolare, di migliaia di persone fisiche, ma esclusivamente a grandi investitori, ossia a pochi fondi di investimento che operano in tutte le società tra loro concorrenti, possedendone una consistente quota di minoranza. Si tratta di fondi come State Street, Vanguard e Blackrock e pochi altri che ovviamente proprio perché la responsabilità della società è in mano pubblica, hanno il coltello dalla parte del manico, fanno la radiografia dell’impresa e per investire chiedono alla parte pubblica maggioritaria che i livelli di profitto e dividendi siano sempre almeno al livello elevato dei profitti finanziari in borsa. E’ l’unica cosa che interessa a loro.

Di fatto il ruolo dei fondi di investimento privati, proprio perché di minoranza, sarà di severo esaminatore e censore che chiede garanzie alla parte pubblica, la quale con il 51% ha la responsabilità della ottimale redditività dei capitali. La parte pubblica in questa società è peraltro, per rifiuti e acqua e altre reti, costituita dagli stessi comuni consorziati nelle ATO rifiuti e nell’Autorità idrica toscana che indicono le gare e stabiliscono le tariffe. Possiamo quindi star certi che alla fine nella Multiutility gli alti profitti della parte privata saranno prioritari e garantiti o da incrementi di tariffe consistenti, o da riduzione di investimenti e manutenzioni o da un mix delle due cose. E’ successo altrove e succederà in Toscana.

Le motivazioni sono diverse da quelle enunciate, tra queste anche gli alti introiti che arriveranno con le azioni della società ai comuni proprietari del 51% del rendimento delle azioni. La normativa nazionale stabilisce che questi servizi devono finanziarsi direttamente con specifiche tasse o tariffe, ma non che servano viceversa a finanziare altre funzioni comunali e, cosa non indifferente, a sostenere gli apparati clientelari dei partiti che all’interno dei consigli di amministrazione e degli stessi ruoli direttivi possono designare e spartirsi posizioni interessanti.

Ma vi è anche un altro punto di estrema gravità e importanza: Per quanto grandi e grosse siano queste società, e talvolta anche proprio perché ipertrofiche,  e per quanto le gare vengano bandite dai consorzi degli stessi comuni proprietari, colossale conflitto di interesse che sfugge, per ora, alla UE, che si chiami ATO per i rifiuti (Ambito Territoriale Ottimale) o AIT per il sistema idrico integrato (Autorità Idrica Toscana), il rischio che una gara alla prossima occasione venga perduta permane ed a quel punto l’intero patrimonio pubblico di saperi, mezzi e azioni ereditato da decenni di gestioni pubbliche prima e semi private dopo va in fumo e esce dal territorio. Un depauperamento gravissimo.

Pap e altri comitati a Empoli hanno subito compreso il nesso fra la volontà di costruire l’impianto di gassificazione per rifiuti plastici e la costituzione della Multiutility. L’idea progettale rispondeva alla necessità di dotare ora Alia, poi la Multiutility, di quella che tutti hanno chiamato subito “macchina da soldi” o “bancomat”. Un “giocattolo” per far soldi sia con la vendita dei carburanti prodotti (pericolosi), sia con le laute compensazioni che vanno a chi risolve l’annoso problema della massa di rifiuti di origine plastici, urbani e speciali, non riciclabili realmente. Molta parte dei composti non biodegradabili delle vare plastiche in commercio non sono in alcun modo riciclabili. Generalmente questi polimeri costituiscono il plastimix, come viene chiamato, e sono circa il 30-40% della raccolta differenziata di plastiche, quando è fatta bene bene. Sono migliaia di tonnellate all’anno. Che si fa con il plastimix? Niente! Lo stabilimento per cui il Presidente Giani e i sindaci poco virtuosi in fatto di raccolte differenziate e riciclo, Nardella, Biffoni e Tomasi, e gli altri politici-imprenditori doveva trattare infatti 250.000 tonnellate di plastimix con enormi impatti ambientali e profili di rischio, ma altrettanto cash flow. L’ideale per quotare la Multiutility in borsa e dare ai fondi di investimento garanzie di redditività dei capitali.

La partita Multiutility Toscana è formalmente avviata da ottobre con l’approvazione in quasi tutti i comuni delle province di Firenze, Prato e Pistoia, tuttavia la sua conclusione e il suo effettivo successo, è ancora lontana. Per ora è stato solo fatto un terzo del programma: la sua costituzione su mezza Toscana, in termini di abitanti, ma manca l’estensione a tutta la Toscana e la raccolta in borsa di un miliardo e mezzo di Euro il primo anno e di altri 2-3 nei successivi 3-4 anni. Non è affatto scontato che l’operazione non fallisca. Da una parte una consapevolezza del tema sta lentamente montando sia all’interno delle forze di sinistra a partire da PAP e UP, sia all’interno stesso del PD e del CS., mentre la Lega segue in modo molto riottoso e poco convinto. Zaia in Veneto non ha sposato la follia delle Multiutility, questo è da osservare.

Ne caso del PD si tratta di prese di distanze esplicite di esponenti di rilievo che alle primarie de PD hanno sostenuto Elly Schlein, come l’assessora regionale Monni, prese di distanza deboli e strumentali certo, che dubitiamo abbiano seguito, ma su cui cogliere la contraddizione.

Le alternative legittime e immediate alla Multiutility ci sono e consistono semplicemente nell’evitare che i servizi pubblici locali vadano a gara, ma restino realmente pubblici con consorzi a capitale interamente pubblici, gestione in house che comporta anche un controllo analogo a quello che le Amministrazioni pubbliche hanno sui propri apparati e servizi gestiti direttamente. E’ ben vero che la gestione In house è sottoposta ad una serie di vere e proprie vessazioni dal potere politico nazionale per i tanti legami tra apparati burocratici statali, interessi privati e identità di interessi tra politici di CD e CS. Non si è proprio voluta sviluppare una cultura della gestione dei servizi pubblici locali acqua e rifiuti in particolare. Da una parte infatti le Amministrazioni comunali, titolari delle competenze principali di gestione dei servizi pubblici locali si sono dimostrate tutte sempre più poco interessate ad una gestione pubblica, non essendo cosa su cui si raccolgono voti facilmente e dall’altra le lobby delle società di gestione di diritto privato hanno spinto nella direzione contraria all’in house.

Un esempio interessante di questa azione verso gestioni privatistiche la vediamo nel sito web ministeriale https://reopenspl.invitalia.it/  un servizio di consulenza rivolto a sindaci, consiglieri, assessori e società di gestione tutto sbilanciato verso gestioni privatistiche. Dal punto di vista formale, quindi, le gestioni pubbliche in house sono possibili anche su dimensioni rilevanti ed anche integrando servizi locali diversi come acqua e rifiuti, e tuttavia dal punto di vista esecutivo le politiche nazionali sono state orientate in senso contrario a quanto richiesto col referendum vittorioso del 2011 detto “per l’acqua pubblica”.

Per quanto riguarda il finanziamento delle attività di gestione dei consorzi In House nulla vieta di fare ricorso nelle società effettivamente pubbliche e che non sono tenute ad andare a gara, di finanziarsi attraverso obbligazioni anche direttamente sottoscritte dai cittadini utenti che hanno disponibilità finanziaria anche con incentivi di sconti su tasse e tariffe specifiche. E’ però mancato interesse politico a sviluppare questa forma gestionale certo più conveniente per i cittadini, le imprese e l’ambiente, ma altrettanto certamente meno interessante per i capitali finanziari che hanno bisogno di occasioni di investimento profittevoli e garantite dal pubblico e per la classe di “politici-imprenditori coi soldi pubblici” che è avanzata negli ultimi 30 anni nell’intelaiatura politica del paese.

Per raggiungere un obiettivo immediato -ovvero cercare di ostacolare la realizzazione del progetto multiutility e dare una battuta d’arresto alla finanziarizzazione dei servizi è utile tentare ciò che per esempio i compagni e le compagne empolesi stanno da mesi cercando di costruire, ovvero cogliere il collegamento tra le numerose vertenze territoriali puntuali che vengono squalificate come NIMBY, e problemi più generali e diffusi. Ecco, l’analisi, la conoscenza approfondita, dei processi di finanziarizzazione dei servizi pubblici locali a rete è da questo punto di vista un terreno fecondo, non l’unico ma comunque importante [1].

Da un punto di vista di azioni concrete, la strada del referendum abrogativo, dove possibile, è a nostro avviso una buona strada. Su questo noi di Empoli ci stiamo impegnando, ma se la pratica referendaria si estendesse ad altri comuni la Multiutility potrebbe essere anche fermata o comunque potrebbe essere messa in grave difficoltà.  Nel caso di Empoli Il comune entro fine marzo o aprile dovrà approvare un regolamento per i referendum che doveva essere pronto 20 anni fa e al contempo dovrà nominare una commissione di 3 esperti per valutare la liceità dei due quesiti referendari: se entrambi o uno dei due fosse promosso dovremo organizzarci bene per raccogliere in 4 mesi 3500 firme autenticate di residenti, (10% del corpo elettorale) per poter indire effettivamente il referendum. Per questo è già da ora necessario formare una squadra di attivisti che in parte già c’è, preparata su questo tema.

Siamo consapevoli del limite dello strumento referendario, ma al netto di una sua efficacia concreta, può essere uno strumento di battaglia politica che siamo coscienti richieda tanto tempo ed energie ma che può portare ad allargare una massa critica (insieme ad altre iniziative diffuse) e rappresentare una controparte credibile in grado di mettere in difficoltà le giunte. Il nostro fermo NO alla Multiutility e più in generale alle gestioni privatistiche che vanno a gara è quindi accompagnato da un altrettanto fermo SI alle gestioni pubbliche in house, per le quali è necessaria una contemporanea spinta dal basso, ossia movimenti e autorità locali, e dall’alto, quindi governi nazionali e regionali. Al tempo stesso non è nostro compito pensare all’elaborazione specifica di piani alternativi. Compito è portare nelle piazze e nei luoghi di incontro critiche puntuali e quadri d’insieme radicalmente alternativi. Su questo, una gestione coordinata a livello regionale ci sembra imprescindibile.

Questi obiettivi di breve e medio termine non ci  sollevano certo dall’elaborazione ancora più compiuta di prospettive di lungo periodo, e certamente non sono da intendersi in contrapposizione o sostituzione ad esse. Al contrario, sono battaglie che passano da nodi centrali e occuparcene qui ed ora è un decisivo proprio nella costruzione di alternative di più ampio respiro.


[1] Aver colto questo collegamento ha consentito ad Empoli di presentare in tempi record osservazioni sottoscritte da 50 cittadini residenti, prima della delibera del Consiglio comunale di approvazione della Multiutility presso il Comune, poi approvata il 18 ottobre ’22. In quelle osservazioni dettagliatamente motivate già si minacciava la richiesta di referendum abrogativo ai sensi dell’articolo 44 dello Statuto comunale. Le osservazioni sono agli atti e sono state ignorate dalla AC, ma la mobilitazione popolare che ha avuto luogo  poi sul gassificatore ha consentito intanto di raccogliere a gennaio in pochi giorni le firme, oltre 100 per chiedere due referendum abbinati, contro il gassificatore e contro la Multiutility.

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