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Dal caldo sole di Cuba arriva la speranza

Abbiamo deciso di tradurre l’ultima newsletter di “Tricontinental: Institute for Social Research” – un istituto di ricerca internazionale, con sedi in India, Sudafrica, Argentina e Brasile. Buona lettura!


Sedicesima newsletter, 2021

Care compagne, cari compagni

Saluti dalla redazione della Tricontinental: istituto di ricerca sociale

Dopo vent’anni, il governo degli Stati Uniti – e le forze della NATO – lasceranno l’Afghanistan. Avevano detto di essere arrivati nel Paese per fare due cose: distruggere al-Qaeda, che aveva lanciato un attacco contro gli Stati Uniti l’11 settembre 2001, e distruggere i talebani, che avevano dato ad al-Qaeda una base. Dopo la grande perdita di vite umane e l’ulteriore distruzione della società afghana, gli Stati Uniti se ne vanno – come se ne andarono dal Vietnam nel 1975 – sconfitti. Infatti, al-Qaeda si è ri-costituita in diverse parti del mondo, e i talebani sono pronti a tornare nella capitale, Kabul.

Il portavoce del parlamento afghano, Mir Rahman Rahmani, avverte che il paese è destinato a entrare in un nuovo periodo di guerra civile, una riedizione di quella che si è svolta dal 1992 al 2001. L’ONU calcola che nel primo trimestre del 2021 le vittime civili sono aumentate del 29% rispetto allo scorso anno, mentre il numero di vittime tra le donne è salito del 37%. Non è chiaro se ci saranno ulteriori colloqui tra i talebani, il governo afghano del presidente Ashraf Ghani, la Turchia, il Qatar, gli Stati Uniti e le Nazioni Unite. L’Afghanistan è sull’orlo di ulteriori violenze, il cui impatto può essere descritto in maniera impeccabile attraverso le parole del poeta Zarlasht Hafeez:

Il dolore e il lutto, queste serate nere,
Occhi pieni di lacrime e tempi pieni di tristezza,
Questi cuori bruciati, l’uccisione di giovani,
Queste aspettative insoddisfatte e le speranze disattese delle spose

“Salvare” le donne afghane e promuovere i diritti umani: queste parole hanno perso significato dopo due decenni. Come disse Eduardo Galeano, “Ogni volta che gli Stati Uniti ‘salvano’ un paese, lo convertono in un manicomio o in un cimitero”.

Una guerra interminabile

Il governo degli Stati Uniti calcola che questa guerra, che entrerà nel suo ventesimo anno, è la più lunga guerra degli Stati Uniti nel periodo moderno (l’impegno degli Stati Uniti in Vietnam è durato quattordici anni, dal 1961 al 1975). Ma questa guerra in Afghanistan non è la guerra più lunga perseguita dal governo degli Stati Uniti. Ci sono due guerre statunitensi che continuano: una guerra contro la Repubblica Democratica Popolare di Corea o RPDC (dall’agosto 1950) e contro Cuba (dal settembre 1959). Nessuno di questi conflitti è terminato, con gli Stati Uniti che continuano a condurre guerre ibride sia contro la Corea del Nord sia contro Cuba. Una guerra ibrida non richiede necessariamente l’intero arsenale di un esercito per essere effettivamente in corso; è una guerra combattuta attraverso il controllo dell’informazione e dei flussi finanziari, nonché con l’uso di sanzioni economiche e mezzi illeciti come il sabotaggio. Non c’è dubbio che le guerre statunitensi più lunghe e incompiute siano quelle contro la Corea e Cuba.

Sessant’anni fa, il 17 aprile 1961, la Brigata 2506 della CIA sbarcò a Playa Girón (“Baia dei Porci”) a Cuba. Il popolo cubano ha resistito a questa invasione come poi ha fatto per sei decenni di guerra ibrida contro il suo processo rivoluzionario. Cuba non ha mai minacciato gli Stati Uniti; non ha mai violato la Carta delle Nazioni Unite del 1945. Gli Stati Uniti, invece, hanno regolarmente minacciato il popolo cubano. Nell’ottobre 1962, quando i sovietici inviarono una copertura missilistica per proteggere Cuba, il generale Maxwell Taylor, il coordinatore del gruppo che riunisce i capi di stato maggiore degli Stati Uniti, pianificò un’invasione su vasta scala. In un memorandum ora desecretato, Taylor sottolineava che una simile impresa militare avrebbe potuto provocare 18.500 vittime statunitensi a causa della determinazione dei cubani a proteggere la loro terra e il loro progetto politico. Il progetto era quello di ripristinare la vecchia oligarchia cubana che aveva cercato rifugio a Miami e far ritornare Cuba a essere un rifugio per gangster.

La continuità, anche con Biden

Dopo che il governo cubano inviò truppe per assistere il progetto di liberazione nazionale in Angola, nel novembre 1975, il 24 marzo 1976 il Segretario di Stato americano Henry Kissinger disse alla sua squadra: “Se decidiamo di usare la forza militare, deve avere successo. Non dovrebbero esserci misure intermedie: non otterremmo alcun premio per l’uso moderato della forza. Se decidiamo per il blocco, questo deve essere spietato, rapido ed efficiente ”. Gli Stati Uniti pianificarono di minare il porto dell’Avana e bombardare le città cubane. Kissinger disse al presidente degli Stati Uniti Gerald Ford: “Penso che dovremo distruggere Castro”, e Ford rispose: “Sono d’accordo”. Questo è stato l’atteggiamento del governo degli Stati Uniti, dal 1961 ad oggi.

Prima di lasciare l’incarico nel gennaio 2021, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha inserito Cuba nella lista degli “sponsor statali del terrorismo” del governo degli Stati Uniti. Settantacinque parlamentari statunitensi hanno chiesto al suo successore, il presidente Joe Biden, di revocare questa decisione. Il 16 aprile l’addetto stampa di Biden, Jen Psaki, ha dichiarato che “un cambiamento di politica verso Cuba o ulteriori passi non sono attualmente tra le massime priorità di politica estera del presidente”. Biden, in altre parole, ha deciso di continuare passivamente la politica di Trump dettatagli dai senatori repubblicani Marco Rubio e Rick Scott della Florida e dal senatore Ted Cruz del Texas (così come dal senatore democratico Robert Menendez del New Jersey). Biden ha deciso di persistere in questa crudele politica di soffocamento del popolo cubano.

Subito dopo la rivoluzione cubana del 1959, il governo degli Stati Uniti ha messo in chiaro che non avrebbe tollerato una Cuba sovrana a soli 145 chilometri dalla costa della Florida. L’impegno di Cuba per le persone e non per il profitto è un rimprovero permanente delle ipocrisie dei governanti degli Stati Uniti. Questa differenza è stata messa in luce ancora una volta nell’attuale contesto pandemico, nel quale i tassi di infezione e mortalità per milione di abitanti sono sorprendentemente più alti negli Stati Uniti che a Cuba (dati recenti indicano che gli Stati Uniti hanno registrato 1.724 morti per milione, mentre Cuba si attesta a 47 morti per milione). Mentre gli Stati Uniti si barricavano nel nazionalismo dei vaccini, la Brigata Medica Henry Reeve di Cuba ha continuato il suo lavoro tra le persone più povere del mondo (e per questo, ovviamente, merita il premio Nobel per la pace).

El bloqueo continua

Essendosi rivelati incapaci di invadere Cuba con successo, gli Stati Uniti persistono con uno stretto embargo dell’isola. Dopo la caduta dell’URSS, che aveva fornito a Cuba la possibilità di aggirare l’embargo, gli Stati Uniti hanno tentato di stringere la presa sull’Isola. I parlamentari statunitensi hanno attaccato l’economia di Cuba attraverso il Cuban Democracy Act (1992) e il Cuban Liberty and Democratic Solidarity Act (1996) – leggi con nomi che svuotano di significato le parole utilizzate. Dal 1992 in poi, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha votato in modo schiacciante a favore della fine dell’embargo statunitense. Un gruppo di relatori speciali del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha scritto una dichiarazione invitando gli Stati Uniti a ritirare queste misure, che hanno solo reso più difficile il tentativo di Cuba di combattere la pandemia.

Il governo cubano ha riferito che tra aprile 2019 e marzo 2020 Cuba ha perso 5 miliardi di dollari in potenziali scambi commerciali a causa dell’embargo; negli ultimi quasi sei decenni ha perso l’equivalente di 144 miliardi di dollari. Ora il governo Usa ha inasprito le sanzioni contro le compagnie di navigazione che portano petrolio nell’isola. Il capo del Comando meridionale degli Stati Uniti, l’ammiraglio Craig Faller, ha descritto l’internazionalismo sanitario di Cuba come una “influenza corrosiva a livello regionale”. C’è crudeltà a Washington.

A prescindere dalla bile del governo degli Stati Uniti, i comunisti cubani hanno tenuto il loro ottavo Congresso del partito. Hanno discusso di come migliorare le imprese statali e di come innovare per soddisfare le aspirazioni del popolo cubano. Il vice primo ministro Inés María Chapman ha affermato che i membri del partito devono essere attivi nelle loro comunità per costruire e difendere il socialismo. Rafael Santiesteban Pozo, presidente dell’Associazione nazionale dei piccoli agricoltori, ha affermato che i lavoratori devono produrre di più con le risorse disponibili. Il ministro dell’Economia e della Pianificazione Alejandro Gil ha sottolineato la necessità di una maggiore efficienza nel sistema delle imprese statali, l’espansione del lavoro autonomo e l’espansione delle cooperative.

Cuba è speranza

Queste sono persone serie che riconoscono i problemi ma non ne sono sopraffatte; fanno parte di un progetto che dal 1959 si batte per difendere la propria sovranità contro enormi avversità. La parola sconfitta non è nel loro vocabolario. Il loro programma di azione è pieno di speranza, a differenza di quello pieno di odio che proviene dal governo degli Stati Uniti e dall’oligarchia cubana con sede a Miami.

In questo Congresso, Raúl Castro si è dimesso dal suo incarico. Castro, uno dei protagonisti della rivoluzione, era stato imprigionato per il suo ruolo nella rivolta della Moncada del 1953. Dopo il suo rilascio, andò in Messico con suo fratello Fidel e poi tornò a bordo del Granma per guidare la ribellione contro il dittatore amico degli USA Fulgencio Batista. Dopo la vittoria della Rivoluzione, Castro prestò servizio nel governo e come leader nel Partito Comunista, guidandolo, al fianco di Fidel e altri, durante il difficile Periodo Speciale (1991-2000) e continuando poi a guidarlo dopo la morte di Fidel nel 2016. Il suo lavoro silenzioso nella difesa e nell’elaborazione della Rivoluzione Cubana è stato immenso.

Dopo l’attacco a Playa Girón da parte della CIA, il poeta spagnolo Jaime Gil de Biedma scrisse una poesia su Cuba intitolata “Durante l’invasione” (inserita nella raccolta Moralidades, del 1966). Riproduciamo i versi a chiusura di questa newsletter per celebrare il 60 ° anniversario della sconfitta degli Stati Uniti su quelle spiagge:

Sulla tovaglia, aperto, c’è il quotidiano
del mattino. Il sole splende nei bicchieri.
Pranzo al ristorantino,
una giornata lavorativa.

Stiamo quasi tutti zitti. Qualcuno parla con una voce sfuggente
e sono conversazioni con un dolore speciale
sulle cose che accadono sempre e
che non finiscono mai, o che finiscono in disgrazia.

Io penso che a quest’ora del giorno albeggia a Ciénaga,
che tutto è incerto, che il combattimento non si ferma,
e cerco nelle notizie un po’ di speranza
che non venga da Miami.

Oh, Cuba nella lontana alba dei tropici,
quando il sole non scalda e l’aria è limpida:
che la tua terra di carri armati e il tuo cielo spezzato
sia grigio delle ali dei tuoi aeroplani.

Con te è il popolo della canna da zucchero,
l’uomo del tram, quelli dei ristoranti,
le migliaia di noi che oggi cercano nel mondo
un po’ di speranza che non venga da Miami.

Dal caldo sole di Cuba arriva la speranza,

Con affetto,
Vijay

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