Domani, 25 Settembre, si celebrerà il processo di appello per il caso di Rosalba Romano, denunciata per diffamazione da Vladimiro Rulli, un agente del VII reparto mobile di Bologna, e condannata in primo grado. Questa vicenda si incrocia con la storia di Paolo Scaroni, selvaggiamente picchiato durante una violenta carica della polizia, il 24 Settembre 2005, al rientro da una partita del Brescia. Paolo Scaroni, in seguito a quell’episodio, versa in una condizione di gravissima invalidità e nessuno gli restituirà la vita che conduceva prima. La vicenda di Paolo è una vicenda terribile, purtroppo simile (troppo simile) a tanti casi di abusi da parte delle forze dell’ordine, che si sono conclusi tragicamente. In seguito al pestaggio di quel giorno, Paolo rimane in coma per un mese; poi si sveglia e racconta tutto a una poliziotta che apre un’inchiesta contro i colleghi scoprendo un labirinto di depistaggi, verbali truccati, vere e proprie bugie e falsificazioni degli eventi.
Nonostante questi reati risultino provati, nessuno ha pagato per il pestaggio di Paolo, e gli otto imputati, tra cui Vladimiro Rulli, sono stati assolti anche in appello per insufficienza di prove.
Rosalba Romano è stata considerata “colpevole” per aver semplicemente ricordato, in un articolo, l’ennesimo abuso impunito, abuso – questo – che vede protagonista il VII reparto celere, già coinvolto in episodi di violenza, a cominciare dalle giornate di protesta contro il G8 di Genova 2001.
L’aggressione e l’ultima offesa a Paolo e alla famiglia, che forse non potrà nemmeno chiedere un risarcimento, e il processo contro Rosalba sono episodi gravissimi, che forse non si sarebbero verificati se in Italia le forze dell’ordine avessero l’obbligo di portare il numero identificativo sulla divisa. Una condizione minima per far funzionare lo stato di diritto e scoraggiare abusi da parte delle forze dell’ordine.
La condanna per diffamazione di Rosalba, inoltre, non colpisce lei individualmente ma – come giustamente ha scritto nella lettera inviata a Vito Crimi, vice-ministro dell’Interno del governo Conte bis – colpisce una collettività; una collettività che da tempo tenta di riflettere sugli abusi delle forze dell’ordine, su storie oscure che sono state chiarite (quando è successo, come nel caso di Stefano Cucchi) solo grazie al coraggio dei familiari delle vittime, supportati da comitati o da larghi e condivisi momenti di mobilitazione e movimenti di opinione.
L’articolo di Rosalba non ha nulla di diffamatorio, ma pone l’attenzione su episodi troppo frequenti nella nostra storia, che troppo spesso si concludono con un nulla di fatto, proteggendo chi abusa del proprio potere.
Domani saremo a fianco di Rosalba per sostenerla nel processo di appello e per ricordare la storia di Paolo, per chiedere ancora una volta e con maggior forza l’obbligo dei numeri identificativi per gli agenti delle forze dell’ordine, e per rafforzare la lotta contro la repressione e gli abusi in divisa.
Potere al popolo – tavolo giustizia, repressione e carcere.