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Un marxista al parlamento europeo

Intervista a Marc Botenga di David Broder, da Jacobinmag.com

Fonte: https://jacobinmag.com/2019/05/ptb-belgium-european-parliament-workers-party/

 

I risultati delle elezioni della scorsa settimana hanno prodotto risultati deludenti per la sinistra in Europa. Ma in Belgio, il Parti du Travail de Belgique (PTB) ha ottenuto un risultato storico.

Di tradizione marxista-leninista ortodossa, il PTB in anni recenti si è via via rivelato una delle forze più dinamiche della sinistra europea. Le elezioni di domenica scorsa hanno confermato questo quadro. Mentre il voto per il parlamento europeo ha visto un arretramento per la sinistra radicale nella maggior parte del continente – il gruppo del GUE-NGL ha visto scendere i suoi seggi da 52 a soli 38 in una camera da 751 componenti – il Belgio è stato la principale eccezione.

L’estrema destra è qui, come altrove in Europa, una forza pericolosa. Il partito fiammingo nazionalista Vlaams Belang è avanzato significativamente alle elezioni regionali, nazionali ed europee di domenica scorsa, tenutesi in contemporanea dopo la caduta del governo di destra a causa di dissidi sull’immigrazione. Ma un risultato altrettanto importante nella notte delle elezioni è stato l’avanzata del PTB, che ha raccolto quasi il 9 per cento del voto a livello nazionale, più che raddoppiando il proprio supporto elettorale.

Oltre ad incrementare il numero di deputati da due a dodici ed eleggere svariati componenti delle assemblee regionali in Belgio, il PTB ha anche fatto un’importante passo in avanti alle elezioni europee, perché Marc Botenga è diventato il suo primo rappresentante al parlamento europeo. David Broder di Jacobin ha parlato con Marc delle ragioni del successo del PTB, della costruzione di un’alternativa sociale all’estrema destra, e delle difficoltà della sinistra europea.

 

DB: hai fatto la campagna elettorale con lo slogan ‘La gauche qui pique contre l’Europe du fric’ – “Una sinistra pungente, contro l’Europa del contante”. La tua campagna in particolare ha messo in luce il problema delle ‘porte girevoli’ fra la politica e il settore privato, per esempio come l’ex presidente della commissione europea Jose Manuel Barroso sia andato immediatamente a lavorare per Goldman Sachs dopo la fine del suo incarico.

Ma se le istituzioni dell’Unione Europea sono opache, questo significa anche che i cittadini non si interessano a quello che stanno facendo i loro rappresentanti al parlamento europeo. Cosa pensi di poter fare in quanto Europarlamentare per spiegare quello che sta succedendo a Bruxelles?

MB: Primo, mi soffermerò sul fatto che slogan contro ‘L’Europe du fric’ ha tre dimensioni. C’è il problema delle porte girevoli e gli alti salari dei funzionari europei – è osceno che un funzionario pubblico possa essere pagato anche 30.000 euro al mese quando una persona su tre a Bruxelles vive in povertà.

Poi c’è il problema della priorità delle libertà economiche sulle misure sociali ed ecologiche: prima di essere approvata ogni legge deve essere sottoposta ad un controllo per essere sicuri che rispetti la libertà di circolazione dei capitali e dei servizi. Dare priorità alla legge del mercato mostra il tipo di Europa che si sta costruendo.

E poi c’è l’austerità, che fa pagare il popolo a beneficio dei ricchi.

Però certo, guardando a come l’Unione Europea funziona, quando andiamo nel paese in campagna elettorale vediamo che la prima reazione delle persone è dire che non seguono quanto accade, o che non gli interessa. Non c’è fiducia – l’Unione Europea è difficile da capire. Ma quello che vediamo nelle nostre riunioni e discussion con gli elettori è che puoi ottenere molto quando metti in chiaro quello che è in gioco.

Prendiamo l’esempio del CETA, un complesso accordo commerciale – nessun elettore andrà a leggersi un documento di 1700 pagine. Ma parlando dei polli al cloro, o portando un cavallo di Troia nelle strade di Bruxelles, puoi spiegare questo documento tramite problemi simbolici. E ancora prendendo l’esempio delle porte girevoli, se si guarda a quel commissario europeo al clima che è stato il proprietario di due compagnie petrolifere e ha venduto le proprie azioni ad una holding controllata dalla sua famiglia soltanto quando è divenuto commissario, nessuno metterebbe in dubbio che questo è un problema.

Questo tipo di spiegazioni concrete di che cosa è in gioco aiuta a creare una mobilitazione. È in questo modo che siamo riusciti a stoppare il multilateral investment agreement [bozza di accordo negoziato negli anni ‘90 fra paesi OCSE che avrebbe reso più’ facile alle multinazionali sfuggire alle legislazioni nazionali, ndt], e siamo quasi riusciti a farlo con il CETA.  Questo tipo di mobilitazione, e non soltanto la produzione dei migliori emendamenti al parlamento europeo, è quello che farà la differenza nella battaglia delle idee.

 

DB: Hai menzionato il problema della priorità accordata alla libera circolazione dei capitali e dei servizi nell’Unione Europea, e potremmo citare altre misure contenute nei trattati che promuovono le privatizzazioni e la concorrenza. In cerca di una via d’uscita da queste dinamiche, all’interno della sinistra radicale c’è chi vuole “rompere con i trattati europei”, chi invece vuole riscriverli o disobbedirvi. Sapendo che è difficile cambiare i trattati UE, quale pensi che possa essere la soluzione?

MB: Non possiamo fare tutto e siamo molto umili, – abbiamo una visione, una strategia che speriamo sia utile al popolo, e speriamo di contribuire ad un cambiamento più generale. Ma abbiamo anche un sacco da imparare.

Allo stesso tempo bisogna tener presente che ognuna di queste strategie non esclude tutte le altre. Vogliamo rompere con la logica dei trattati – la priorità data alla concorrenza ed alla competitività – e questo può essere fatto in diversi modi. Ad esempio, nel caso del ‘Fourth Railway Package’, che liberalizza il settore ferroviario del trasporto passeggeri ed impone misure simili per i treni merci.

Di fronte ad un simile pacchetto, crediamo che il Belgio debba disobbedirvi. Questa non sarebbe soltanto la reazione di un singolo paese, ma renderebbe possibile la costruzione di movimenti europei di solidarietà. Come abbiamo visto con gli scioperi contro la privatizzazione delle ferrovie francesi l’anno scorso,  anche lì la nostra posizione godrebbe di ampio sostegno. La cosa importante è creare un tipo di disobbedienza che possa diffondersi e prevalere, anche se non per forza in tutti e 28 gli stati contemporaneamente.

Infatti cito sempre l’esempio dei lavoratori portuali europei. Negli anni 2000 difesero con successo le loro condizioni lavorative organizzando scioperi paneuropei, costruendo un rapporto di forza più favorevole attraverso la loro mobilitazione e costringendo la Commissione a ritirare le proposte di liberalizzazione.

Tutto questo non nasce dal nulla – lo straordinario movimento di scioperi in Francia, il coinvolgimento dei lavoratori ed il supporto dei passeggeri richiesero mesi di lavoro. Ma si tratta di costruire legami di solidarietà radicati in queste lotte.

 

DB: I socialisti sono calati leggermente qui come negli altri paesi europei, ma la vostra ascesa in percentuale di voti è stata molto maggiore. Da dove vengono i nuovi votanti del PTB – sono socialisti delusi, persone che prima non votavano? E cosa li ha mobilitati ?

MB: In questa fase è difficile valutare il movimento preciso degli elettori. I socialisti sono andati particolarmente male nel nord del paese (Fiandre), a sud [Vallonia, francofona] hanno perso voti ma sono rimasti il primo partito. Senza dubbio abbiamo conquistato alcuni elettori delusi dal loro operato.

In Belgio votare è obbligatorio, ma questo non significa necessariamente che tutte le persone lo facciano— in città come Charleroi l’astensionismo arriva al 20-25%. La gente spesso esprime il proprio disgusto della politica votando in bianco, quindi facendo campagna porta a porta o nei mercati ci siamo sforzati di dire: condividiamo la vostra sfiducia nei politici e siamo qui per cambiare le cose, non per riempirci le tasche o cercare vantaggi personali. Ecco perché un eletto del PTB riceve il salario del lavoratore medio, non quello che è previsto per quella carica.

Per quanto riguarda la mobilitazione degli elettori, abbiamo spostato il dibattito su argomenti dove gli altri partiti erano obbligati a copiarci. Prendiamo le pensioni — quella media è pari a 1200 € mensili e solo 900 € per le donne, mentre una casa di riposo può facilmente arrivare a costare 1600 €. L’età pensionabile è stata inoltre innalzata da 65 a 67 anni. Abbiamo chiesto l’aumento della pensione minima a 1500 € e gli altri partiti hanno cercato di imitarci  — i socialisti in particolare hanno “copiancollato” il nostro programma.

Un altro esempio è l’energia — in Belgio l’IVA è al 21% per i beni di lusso e al 6% per i beni essenziali, tuttavia l’energia domestica è considerata un prodotto di lusso e dunque è soggetta allo stesso tasso dello champagne. Ma se non hai l’elettricità non puoi combinare molto nel tuo appartamento!

Insomma, portiamo avanti rivendicazioni radicali ma essenziali che sono allo stesso tempo normale buon senso. Mentre l’estrema destra vuole parlare soltanto di immigrazione noi siamo quelli che parlano di temi sociali, e contrariamente ai socialisti le nostre promesse non scadono il giorno dopo le elezioni.

Allo stesso momento non diciamo soltanto “vota per noi”. Abbiamo già programmato incontri post-elettorali con le persone che abbiamo conosciuto, perché mentre i nostri parlamentari  faranno un ottimo lavoro, abbiamo anche bisogno di creare un diverso rapporto di forza nelle strade. Persino le più elementari conquiste democratiche furono ottenute tramite la lotta di classe, non tramite politici benintenzionati, e questo si applica anche all’ottenimento di conquiste sociali.

 

DB: E a proposito di chi si sta iscrivendo al tuo partito?

MB: Oggi il nostro partito cresce molto rapidamente — dobbiamo contare chi si è iscritto durante la campagna, ma siamo già più di sedicimila. Una cosa della quale siamo molto contenti è che abbiamo eletto operai nel parlamento, perché in genere è un luogo dove non ne vedi tanti. Domenica ad esempio abbiamo eletto una ex-addetta alle pulizie negli aeroplani, Maria Vindevoghel, e un ex-operaio presso Caterpillar, Roberto D’Amico, al parlamento federale ed anche un ex-conducente di autobus, Youssef Handichi, al parlamento regionale di Bruxelles. Tutti loro hanno anche un passato da sindacalisti.

Nel Belgio francofono, per le elezioni europee, 6 dei nostri 14 candidati erano sindacalisti e la maggioranza sono operai. Siamo un partito del lavoro ma anche molti piccoli imprenditori si sono avvicinati a noi perché i liberali, che hanno sempre dichiarato di essere dalla parte delle piccole e medie imprese, organizzano di fatto l’evasione fiscale per le multinazionali.

Sorprendentemente ci sono anche un sacco di giovani provenienti dal movimento climatico, fra gli altri e il partito è anche culturalmente eterogeneo. Questo non è un caso — è il risultato del lavoro locale che si sta facendo nei quartieri popolari. Se con le elezioni municipali dello scorso ottobre e quelle regionali, federali ed europee di domenica lo sforzo elettorale è salito in primo piano, è anche importante rimanere attivi al di fuori del periodo delle elezioni, per essere parte delle comunità dei lavoratori.

 

DB: Il PTB è salito da 2 a 12 membri eletti al parlamento belga, ed è uno dei grandi vincitori delle elezioni federali. Avete preso più del 13 % a Bruxelles e in Vallonia e più del 5 % nelle Fiandre, dove però Vlaams Belang è molto più forte. In effetti sembra che la Vallonia sia uno dei pochi posti in Europa dove l’estrema destra non è in ascesa. Cosa spiega questa differenza — e siete in concorrenza con l’estrema destra per i voti degli stessi elettori?

MB: La forza dell’estrema destra è dovuta a vari fattori. I primi due sono che quando ebbe inizio il declino della socialdemocrazia alla fine degli anni ‘80 ed all’inizio dei ‘90, per il disappunto della sua stessa base operaia, noi eravamo percepiti — forse a ragione — come un partito troppo piccolo e radicale per poter costituire un’alternativa. L’incarnazione precedente dell’estrema destra, Vlaams Blok, ottenne grande seguito in quegli anni. Le Fiandre hanno sempre avuto una corrente di nazionalismo fiammingo che ha un’importante influenza culturale e la destra radicale è stata in grado di capitalizzare su di essa. N-VA — un partito fiammingo nazionalista di destra che si presenta come non di estrema destra, ed al contrario sostiene di ostacolarla — ha condotto con successo una guerra culturale che ha spostato lo spettro politico a destra ed ha aperto la via ai temi ed al vocabolario dell’estrema destra. Questo ha aiutato Vlaams Belang a diventare il secondo partito nelle Fiandre. Tuttavia in queste elezioni abbiamo anche visto che questa regione non è un monolite. Eleggendo membri al parlamento fiammingo ed al parlamento federale, abbiamo smentito la tesi dell’estrema destra che non ci sia posto per marxisti o progressisti nelle Fiandre, resistendo alla loro violenta retorica contro i “ratti” di sinistra. Abbiamo affrontato situazioni difficili — l’estrema destra è stata normalizzata, arrivando ad essere invitata in programmi televisivi per bambini a ballare con altri politici, ed ha avuto una copertura mediatica forse 20 volte superiore alla nostra. Ma prendere le preoccupazioni e le paure della gente sul serio è le condizione necessaria per distruggere il fascino dell’estrema destra ed offrire una locomotiva per trainare le cose a sinistra. In effetti abbiamo fatto uno sforzo particolare ad Anversa, perché era importante eleggere persone nelle diverse parti del paese. In Vallonia, è vero, l’estrema destra non ha sfondato. Questo ha a che fare col nostro operato, ma non dovremmo idealizzarla come se fosse un paradiso libero dai razzisti. Alle elezioni locali, in alcune città le forze di estrema destra sono arrivate alla doppia cifra, se prese insieme, ed il potenziale esiste, ma noi lottiamo contro questa tendenza ed abbiamo negato con successo a questi partiti lo spazio per emergere in Vallonia. Siamo riusciti a mobilitare un voto anti-establishment, parlando dei salari della gente, del loro futuro, dei loro lavori, ma c’è anche una battaglia culturale da combattere contro l’estrema destra. Allo stesso tempo, se riceviamo un voto “anti-establishment”, il popolo inizia a conoscere il nostro programma specifico con circa 840 proposte concrete e alternative.

 

DB: I risultati in Europa sono stati deludenti per la sinistra radicale — la GUE è crollata da 52 seggi a 38, e partiti come Podemos e la France Insoumise sono andati molto male. Questa elezione ha anche segnato il declino finale, in Grecia, del governo di Syriza, che ha da tempo abbandonato la sua agenda anti-austerity. Mentre i blocchi centristi hanno perso terreno, in generale non abbiamo l’impressione che la sinistra stia approfittando della crisi nell’Unione Europea. Perché pensi che il PTB sia in controtendenza?

MB: Chiaramente Syriza non poteva presentarsi come l’alternativa perché era al governo e ne aveva accettato la cornice, ma sarebbe difficile indicare un singolo fattore capace di spiegare le difficoltà (forse temporanee) di Podemos o France Insoumise.

Quando prima ho detto che noi abbiamo molto da imparare non era solo etiquette — ci credevo davvero. Siamo un partito strutturato e non un movimento, ma la situazione attuale implica anche problemi crescenti — non dovrebbe essere idealizzata. Allo stesso tempo, ogni situazione nazionale è diversa e non vorrei generalizzare. Alcune persone dicono che la nostra situazione oggi è simile a quella della Prima Internazionale con la sua varietà di forze, penso che forse sia vero. Sappiamo più o meno quali sono le differenze tra i partiti ed abbiamo bisogno di scoprire ciò che possiamo imparare gli uni dagli altri.

Ma vorrei dire che penso che uno dei successi che abbiamo avuto è avere una retorica ed una pratica di rottura, insistendo sul fatto che non siamo come gli altri partiti ed al contempo offrendo soluzioni concrete. Concretamente, crediamo nel lavoro locale. Vogliamo con impazienza il cambiamento ma costruiamo pazientemente, riconoscendo e dicendo esplicitamente che il voto per il PTB è soltanto un piccolo passo nella costruzione di un contro-movimento.

 

DB: Recentemente hai preso parte alla riunione del Plan B a Stoccolma. Senza dubbio esiste una corrente di pensiero nella sinistra che e’ critica dei trattati europei, ad esempio per via delle barriere che pongono agli aiuti statali e alla possibilità [per gli stati] di indebitarsi per fare investimenti. Ma non sembra esistere un vero e proprio piano B: una proposta collettiva che unisca i partiti della Sinistra Europea. Pensi che ci esista la possibilità’ di un processo tramite cui questo effettivamente accada?

MB: Vogliamo rompere con la logica dei trattati. Non abbiamo necessariamente bisogno di un manuale per la società perfetta, benché abbiamo la nostra visione di come una società diversa dovrebbe essere: il socialismo. Sappiamo che questa visione non e’ condivisa da tutti i partiti di sinistra in Europa.

Certo, non sono soltanto i trattati europei il problema, ma il sistema economico nel suo complesso: i trattati incidono quei dogmi nella pietra, questo e’ certo, ma se vuoi rompere con questa logica allora ritornare alla legislazione nazionale non e’ necessariamente una soluzione.

Le multinazionali sono più o meno unite internazionalmente, come lo sono le istituzioni europee (che sono, ovviamente, costruite dagli stati membri). Quindi rimane la questione di come trovare soluzioni europee, il che non significa necessariamente [che lo si debba fare] dall’Islanda alla Turchia, o in tutti i 28 stati membri UE, ma costruire o rafforzare movimenti sociali che si espandano in più paesi e sfidino la logica di lasciare tutto al mercato.

Esempi di lotte internazionali dei lavoratori come quelle dei portuali o di Ryanair sono un esempio della solidarietà di cui abbiamo bisogno, e del contro-potere contro queste multinazionali e queste istituzioni. Il ruolo della sinistra e’ espandere queste lotte. Nell’ottenere vittorie, ad esempio contro una tassa socialmente ingiusta sull’elettricità (la ‘Turteltaks’), possiamo creare la sensazione che sia possibile costruire un’altra società che metta i bisogni sociali e quelli del pianeta al centro. La speranza e’ davvero importante per mobilitare le persone. Certamente, nelle marce dei giovani per il clima vediamo questo: che [i giovani] hanno chiaro che vogliono una società’ che metta prima il pianeta, anche se non hanno un piano scritto nei minimi dettagli.

Ma anche in questo caso si tratta di mettere al centro la questione sociale. Le multinazionali pianificano che cosa, dove e quanto si dovrebbe produrre, e anche il pianeta merita un piano per delle soluzioni.

La cosa importante, però, e’ chi pagherà per un ‘Green New Deal’, e chi lo controllerà. I negazionisti climatici avranno vita facile se potranno dire che saranno le persone comuni a dover pagare per la transizione energetica. E, sia chiaro, dobbiamo tagliare le emissioni del 10 per cento all’anno in Belgio. Questo non e’ qualcosa di cui si occupera’ il mercato.

Diem25 o Alexandra Ocasio Cortez o i verdi avranno le loro differenti visioni di cosa sara’ il Green New Deal, ma la cosa importante e’ riaffermare il controllo democratico pubblico della pianificazione sull’energia, ad esempio. C’e’ un passo interessante nel libro di John Kenneth Galbraith ‘Predator State’, dove dice che o la transizione ecologica sarà’ pianificata da un’autorità pubblica con potere pubblico o sarà via via erosa dalle imprese private, che non hanno altro interesse se non vendere più petrolio e gas naturale. Penso sia questo il dilemma a cui siamo di fronte.

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