Sono stati resi noti qualche giorno fa i dettagli della bozza della manovra di bilancio che il Comune di Torino si appresta a varare per il 2020. Si parte da un dato, imposto dal rispetto dei vincoli di bilancio, ovviamente neanche per un istante messo in discussione dalla giunta Appendino: il taglio della spesa sarà secco anche per il 2020, da 1 miliardo e 227 milioni a 1 miliardi e 205 (22 milioni, non proprio bruscolini per un comune). Quali voci saranno tagliate? Presto detto: manutenzione del verde e delle strade, cultura, servizi educativi. Nell’istruzione si arriva al totale rovesciamento della logica del servizio pubblico visto che nel settore saranno più le entrate (rette individuali) che la spesa pubblica.
Niente di nuovo sotto il sole: solamente la conferma, l’ennesima, della sostanziale continuità tra questa amministrazione e quelle precedenti a guida PD. Stesse le linee politiche: tagli ai servizi pubblici, via libera alle privatizzazioni e ai progetti speculativi (ultimo esempio l’inceneritore), assenza totale di politiche di redistribuzione della ricchezza. Davanti a tutto il religioso ossequio dei vincoli di bilancio, a partire dagli interessi delle banche (Intesa San Paolo e Unicredit) e delle fondazioni che si confermano i veri amministratori grazie al debito contratto dalla città a causa di speculazioni finanziarie e grandi eventi. In sintesi parliamo esattamente di quel Sistema Torino contro cui i 5 Stelle hanno speso tante vuote parole, per poi rivelarsene fedeli appendici.
Torino ha da un certo punto di vista anticipato, insieme a Roma, un processo ormai del tutto evidente a livello nazionale con la formazione dell’ultimo governo, e cioè la “normalizzazione” dei 5 Stelle, il loro rientro nei ranghi, l’opportunistica abdicazione a ogni presunta volontà di rappresentare un cambiamento per le classi popolari. Appendino ha vinto le elezioni comunali torinesi del 2016 con la promessa di cambiare le priorità sociali a vantaggio delle periferie e degli strati sociali penalizzati; da quel momento, assolutamente nulla è cambiato. Dov’è dunque la differenza con il PD che ha governato la città per i 25 anni precedenti, facendo pagare alle classi popolari i costi della riconversione post-Fiat della città?
Non è un caso che una delle poche voci di spesa pubblica in aumento sia quella relativa al turismo. Si vuole continuare a raccontare la balla che il futuro della città possa essere tutto nel turismo, soprattutto quello enogastronomico, salvo poi accorgersi di come questo possa provocare tensioni e problemi per chi risiede nelle zone “turistiche”: aumento degli affitti, sfratti, distruzione del tessuto sociale di interi quartieri, sgombero delle realtà sociali che quel tessuto provano a tenerlo in piedi. In questo i casi di San Salvario, Aurora, Balon e Vanchiglia sono tutti, diversamente, paradigmatici di come lo sviluppo urbanistico della città non abbia l’obiettivo di massimizzare il benessere collettivo, ma solo gli interessi di speculatori privati a cui sindaco e giunta, di oggi come di ieri, regalano interi pezzi di città.
Ma lavoratrici e lavoratori, precari, disoccupati, migranti – a Torino come nel paese – hanno bisogno di un’alternativa reale, di una proposta politica che rompa con la subalternità a politiche dettate sempre e solo dagli stessi attori, e che rimetta al centro i loro interessi. Rompere con questo quadro e con le forze politiche che ne assicurano la continuità, e costruire l’alternativa è una necessità per ridare Potere al Popolo!