Abbiamo deciso di tradurre l’ultima newsletter di “Tricontinental: Institute for Social Research” – un istituto di ricerca internazionale, con sedi in India, Sudafrica, Argentina e Brasile. Buona lettura!
Diciannovesima newsletter, 2021
Care compagne, cari compagni
Saluti dalla redazione di Tricontinental: Istituto di ricerca sociale
La bruttezza definisce lo spirito della violenza di stato da Cali (Colombia) a Durban (Sudafrica), ogni contesto è diverso e la profondità della violenza particolare al luogo. Le immagini delle forze di sicurezza che reprimono le persone che cercano di esprimere i loro diritti politici sono diventate un luogo comune. È impossibile tenere traccia degli eventi, che passano rapidamente dalle manifestazioni pubbliche alle scene in tribunale, dall’uso dei gas lacrimogeni alla frustrazione invisibile della cella di una prigione. Eppure, alla base di questi eventi e in mezzo alla gamma di sentimenti che li modellano c’è un senso di rifiuto, il Grande Rifiuto, il rifiuto di accettare i termini dettati da chi è al potere e il rifiuto di esprimere questo dissenso in termini educati e gentili.
La rabbia del popolo colombiano
Il governo della Colombia ha deciso di far passare una legge dal nome peculiare “legge di solidarietà sostenibile” (Ley de Solidaridad Sostenible) che ha trasferito il costo finanziario della pandemia sulla popolazione, che ha reagito – come era prevedibile – con rabbia. Di fronte allo sciopero nazionale del 28-29 aprile, lo stato colombiano ha risposto, come spesso fa, con dura violenza, anche mobilitando le unità speciali dal nome pericoloso, cioè lo squadrone mobile anti-disturbo (ESMAD). Le persone nelle strade sono arrivate con rabbia e con musica, questa è la gamma di risposte unite dall’avversione verso il governo del presidente Iván Duque.
L’inflessibile oligarchia colombiana, che ha dispensato violenza per mantenere il potere, deve aver tremato quando ha visto i manifestanti a Cali abbattere la statua di Sebastián de Belalcázar, un conquistador [conquistadores è comunemente usato per riferirsi ai soldati, agli esploratori e agli avventurieri che portarono gran parte delle Americhe sotto il controllo dell’impero coloniale spagnolo tra il XV e il XVII secolo, N.d.T]. Questo atto ha fatto capire che i manifestanti non si sarebbero accontentati semplicemente del blocco della proposta di legge, ma che vogliono rovesciare le rigide gerarchie che governano la loro società. Duque non vede i manifestanti come cittadini, per lui sono “vandali”. Non c’è da stupirsi che Duque abbia scatenato la più brutta violenza, soprattutto nelle città di Bogotà, Cali e Medellin che hanno subito maggiori attacchi. Nonostante gli appelli dei sindaci di Bogotà (Claudia López) e Medellin (Daniel Quintero), questa violenza di stato è andata avanti, il campo di battaglia nelle strade è diventato simile all’Iraq, secondo le parole di un amico colombiano che ha coperto mediaticamente le guerre in Asia occidentale.
Palestina in lotta contro l’apartheid
Come l’Iraq. O come Israele, recentemente definito uno stato di apartheid da Human Rights Watch (HRW). Apartheid è una parola afrikaans che significa “separazione”, per tenere i bianchi separati dagli altri o, nel caso di Israele, per tenere i cittadini ebrei separati dai sudditi palestinesi. Il rapporto di HRW segue numerosi altri della Commissione economica e sociale delle Nazioni Unite sull’Asia occidentale (ESCWA), che ha usato la parola “apartheid” per descrivere le politiche razziste di Israele verso il popolo palestinese. HRW, che ci ha messo tempo per arrivare a queste conclusioni elementari, afferma che Israele priva ferocemente i palestinesi del diritto di affermare la vita: “Queste privazioni sono così gravi che equivalgono a crimini contro l’umanità, apartheid e persecuzione”.
Il collegamento tra i termini “apartheid” e “crimini contro l’umanità” si riferisce a una risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del dicembre 1966 che condannava “le politiche di apartheid del governo del Sudafrica come crimine contro l’umanità”. Nel 1984, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite descrisse l’apartheid come “un sistema caratterizzato dal crimine contro l’umanità”. Il termine “crimine contro l’umanità” è stato successivamente inserito nell’articolo 7 dello Statuto di Roma della Corte penale internazionale (1998). Non è un caso che il 3 marzo 2021, il procuratore principale della Corte penale internazionale (CPI), Fatou Bensouda, abbia dichiarato che la CPI avrebbe aperto un’indagine sui crimini commessi in Israele dal 2014. Israele ha rifiutato di collaborare con la CPI.
La lotta per Gerusalemme Est
I tribunali israeliani hanno deciso di procedere con lo sfratto di sei famiglie dal quartiere palestinese di Sheikh Jarrah a Gerusalemme Est, una zona con tremila residenti – nonostante il fatto che i tribunali israeliani non abbiano giurisdizione nei territori occupati. Nel 1967, Israele si è impadronito di Gerusalemme Est, che fa parte dei territori palestinesi occupati. La risoluzione 242 (1967) dell’ONU afferma che la potenza occupante, cioè Israele, deve rispettare la sovranità, l’indipendenza politica e l’ “inviolabilità territoriale” di ogni Stato della zona. Nel 1972, i coloni israeliani si sono rivolti ai tribunali israeliani per sfrattare le migliaia di palestinesi che vivevano nella zona, un processo che è stato contrastato dai palestinesi nei cinquant’anni successivi. La violenza sfacciata della polizia di frontiera israeliana, o Magav, è stata ulteriormente intensificata con l’ingresso di soldati israeliani pesantemente armati nella moschea di al-Aqsa a Gerusalemme il 7 maggio, in maniera del tutto simile alla violenza dell’ESMAD colombiano.
La terribile repressione si affianca al continuo tentativo di delegittimare qualsiasi progetto politico del popolo palestinese. Se il popolo palestinese si oppone, Israele lo chiama terrorista. Questo rispecchia il modo in cui il governo sudafricano dell’apartheid e i loro alleati occidentali descrivevano l’African National Congress ANC durante il periodo di maggiore intensità della lotta anti-apartheid. Nel 1994, l’alleanza dell’ANC ha preso il potere sullo stato sudafricano, iniziando un processo a lungo termine per smantellare le strutture di disuguaglianza e apartheid; ci vorranno generazioni di resistenza per disfare ciò che è stato così potentemente messo in atto negli ultimi decenni.
La repressione politica in Sudafrica
Nell’agosto 2020, la Tricontinental ha pubblicato un dossier intitolato ‘The Politic of Blood’: Political Repression in South Africa. All’inizio del testo, si cita da I dannati della terra (1961) di Frantz Fanon, che più volte usa la parola “incapacità” per riferirsi alle classi dirigenti dei nuovi stati che emergono dal colonialismo. “Quando il popolo forma le proprie organizzazioni e sviluppa le sue rivendicazioni di forme partecipative di democrazia, la classe dirigente – scrive Fanon – è incapace di comprendere questa azione popolare come razionale; vede questa azione popolare come una minaccia al suo dominio”. Un tale atteggiamento governa l’oligarchia colombiana e la classe dell’apartheid israeliana; così come la classe dominante sudafricana, i cui strumenti politici non permettono di trovare lo spazio per la crescita dell’organizzazione politica indipendente della classe operaia in quel paese.
Il 4 maggio 2021, le autorità hanno arrestato Mqapheli George Bonono, il vice presidente di Abahlali baseMjondolo (AbM), il movimento degli abitanti delle baraccopoli in Sudafrica. Le autorità hanno accusato Bonono di “tentato omicidio”. Sin dalla sua fondazione nel 2005, AbM – con alla sua guida gli abitanti delle baraccopoli e 82.000 affiliati che organizzano occupazioni di terre e lotte per la casa – subisce forti repressioni.
Nel 2018, abbiamo intervistato il leader di AbM S’bu Zikode per un dossier, in cui diceva: “La politica è diventata un modo per arricchirsi e la gente è disposta a uccidere o a fare qualsiasi cosa per diventare ricca e rimanere ricca. Ci spostiamo di funerale in funerale. Seppelliamo i nostri compagni con la dignità che gli è stata negata in vita. Molti dei nostri compagni non possono dormire nelle loro case o non possono uscire di casa dopo il tramonto nel cosiddetto Sudafrica democratico post-apartheid. La repressione arriva a ondate.”
Bonono è solo l’ultimo dei membri dell’AbM ad affrontare la repressione politica. Attivisti coraggiosi da un capo all’altro del pianeta affrontano intimidazioni e omicidi per aver costruito organizzazioni contro l’attuale stato delle cose. Questa repressione ha portato alla recente uccisione, da parte della polizia, dell’artista Nicolas Guerrero a Cali (Colombia) e all’omicidio politico di Kakali Khetrapal del Partito Comunista dell’India (Marxista) di Nabagram, East Burdwan (West Bengal, India). Guerrero è stato ucciso per strada durante le prime ore di questa ondata di protesta, mentre Ketrapal è stato assassinato da membri del partito che ha vinto le elezioni legislative nel Bengala occidentale. Si tratta di una vera e propria pulizia politica o di politicidio, cioè l’assassinio di attivisti la cui morte sgonfia la fiducia delle masse per affrontare il grande blocco granitico del potere. Affilando le loro spade nell’ombra, gli assassini prendono ordini da cellulari dai quali possono chiamare le case dei potenti.
Se cado nella lotta…
Brutto, questo uso del potere, questo uccidere impunemente. Il 6 maggio, squadroni dello stato sono entrati nella favela di Jacarezinho a Rio de Janeiro (Brasile) e hanno aperto il fuoco uccidendo almeno venticinque persone che sembravano arrendersi prima che le armi sparassero. Le Nazioni Unite hanno chiesto un’indagine, ma questa non andrà lontano. La costituzione brasiliana del 1988 ha abolito la pena di morte, eppure le prove suggeriscono che la polizia crede che se si vive nelle favelas, la condanna a morte – senza processo – è permessa.
Che razza di tempi sono questi in cui la repressione politica opera senza incontrare sufficiente indignazione? Muin Bseiso cantava canzoni per svegliare i suoi compagni palestinesi a Gaza, soffocati dall’apartheid israeliana. Nel suo poema epico, Al-Ma’raka (La battaglia), Muin Bseiso ha trovato questa consolazione:
Se cado nella lotta, compagno, prendi il mio posto.
Contempla le mie labbra mentre fermano la follia del vento.
Non sono morto. Ti chiamo ancora da oltre le mie ferite.
Suona il tuo tamburo affinché il popolo possa sentire la tua chiamata alla battaglia.
Con affetto,
Vijay