Si sono svolti in contemporanea in tutta Italia, e anche a Reggio Calabria, presidi in solidarietà a Rosa Maria Dell’Aria, la professoressa di Palermo colpita da un provvedimento infame, per aver solo fatto il suo lavoro di insegnante.
Con studenti e docenti abbiamo voluto ribadire che la scuola è un luogo di esercizio del pensiero, della critica e anche del dissenso.
La scuola può e deve fornire gli strumenti per emanciparsi dalla repressione e dall’oppressione del potere e dei governi, per essere parti pensanti della società e contribuire alla sua costruzione, indipendentemente dalla propria estrazione sociale: per questo da molto tempo è costantemente sotto attacco, politico ed economico, attraverso miliardi di continui tagli.
Approfittano del clima di odio, che della disperazione delle persone si nutre, per tentare di annientare ogni voce minimamente non allineata. Eppure questo governo non ha dato nessuna risposta alle cause di quella disperazione, al contrario le ha amplificate: non ha portato avanti politiche per la casa, per il lavoro, per contrastare l’emigrazione, per la scuola e per i servizi pubblici. Ha invece puntato il dito contro gli ultimi, gli stranieri e i poveri: eppure, attaccando loro, non sono sorte più case popolari, non sono migliorate le scuole, non è aumentato il lavoro e le tutele, i servizi pubblici sono sempre appaltati ai privati che ci lucrano e i giovani continuano ad emigrare.
La disperazione resta!
E allora, di fronte a questa evidenza, diventa chiaro di chi sia la responsabilità: di chi ha il potere e lo usa a vantaggio della classe di speculatori di questo paese. Nel mentre, per il nostro malessere, ci racconta che dovremmo incolpare l’immigrato, l’insegnante, il senzatetto o la persona emarginata che vive in una baracca o in una roulotte; ci racconta di dover fare “zone rosse” perché i turisti o le persone “bene” nei centri delle nostre città non vedano i più poveri, o chi vive di lavori umili.
Vogliamo una società diversa, vogliamo decidere noi, che l’esclusione e la disperazione la viviamo sulla nostra pelle, che la precarietà ce l’abbiamo cucita addosso da quando siamo a scuola; noi che non crediamo che stare zitti e inermi di fronte a quello che ci succede migliori le cose, perché abbiamo visto con i nostri occhi che la lotta e la solidarietà tra le persone sono gli unici strumenti per cambiare le cose.
Vogliamo riprenderci quello che è nostro, le nostre vite, le nostre città, il nostro potere.
Potere al popolo!