Cinquanta anni fa le malattie infettive sembravano destinate a divenire uno spettro del passato, vinte dalle nuove metodiche diagnostiche e profilattiche. Una piacevole illusione, smentita dal fitto diffondersi di patogeni infettivi, come i successivi decenni ci hanno dimostrato.
Le malattie infettive non sono una esclusiva prerogativa degli esseri umani, infatti, il 70% di queste sono considerate malattie zoonotiche: ovvero a trasmissione animale-uomo, proprio come il COVID-19. Questo salto di specie e il diffondersi delle malattie conseguenti non sono solo impreviste e fortuite mutazioni casuali, sono bensì condizionate da tantissimi fattori: propri dell’ospite, ambientali e socioeconomici. Fattori che hanno nella struttura produttiva globale, nelle sue impalpabili, eppure così ferree regole di funzionamento, la cornice che amplifica la portata dei fenomeni infettivi.
Siamo quindi difronte ad una emergenza?
No, perché non siamo nel bel mezzo di un incubo, ma immersi in un problema strutturale.
Mentre continuano a crescere gli scambi commerciali e il Pil globale, aumentano anche povertà e indebolimento – quando non direttamente il completo smantellamento – dei servizi sanitari universalistici, di conseguenza non si allontana la presenza costante di “emergenze” virali nel mondo.
Sì, perché non agendo sulle cause strutturali, ma sui sintomi o nel migliore dei casi sulle cause più prossime e immediate, ci si trova davanti a fenomeni “imprevedibili” che diventano difficilmente gestibili ed espongono soggetti già fragili dal punto di vista sanitario al rischio della propria vita.
Anche se nel caso del nuovo Coronavirus (COVID-19) parliamo di un virus che provoca nella maggioranza dei casi sintomi simil-influenzali e porta alla necessità di una terapia intensiva per circa il 4% dei casi, con una diffusione che si stabilizza in maniera relativamente rapida. Tali caratteristiche devono invitarci alla calma e contemporaneamente ad assumere i corretti atteggiamenti preventivi che già sono stati indicati dall’istituto superiore di sanità.
La sanità pubblica: l’emergenza cronica.
I vari sistemi sanitari regionali (creatisi negli ultimi anni con il processo di regionalizzazione) presentano tra loro differenze importanti che sono principalmente il risultato di tagli indiscriminati. Secondo una stima della fondazione Gimbe sono 28 i miliardi sottratti alla sanità pubblica in 10 anni, arrivati da governi di tutti i colori!
Ciò ha comportato disinvestimento nel turn over dei medici e del personale sanitario, taglio dei posti letto e crescente delega alle strutture private.
Cosa si dovrebbe fare nell’immediato per combattere il coronavirus e rimettere in piedi il SSN?
Crediamo che per fronteggiare questa epidemia da un lato e per garantire in futuro un sistema sanitario stabile occorra:
- Attuare un piano straordinario per i posti letto, coordinato e dichiarato, sostenuto economicamente anche da fondi europei, investire a livello europeo nella ricerca pubblica di un vaccino contro il coronavirus, produrlo e distribuirlo tramite canali statali slegati dalle multinazionali del farmaco.
- Garantire alle lavoratrici e ai lavoratori, in quarantena fiduciaria od obbligata degli ospedali chiusi o in attività ridotta, che questa crisi sanitaria non sia pagata da loro tramite ferie o malattie decurtative. Inail e governo devono attivarsi in tal senso.
- Che venga istituito uno stanziamento straordinario per remunerare l’enorme sforzo fatto da tutte le figure professionali della sanità coinvolte, senza che siano toccati i loro fondi contrattuali.
- Che le spese della crisi sanitaria non vengano considerate, in virtù dei patti di stabilità, e fatte pagare da altri campi del settore pubblico.
- Che sia garantito alle lavoratrici e i lavoratori di tutti i settori e con tutte le forme contrattuali il diritto al salario anche nel periodo di sospensione delle attività lavorative.
Evidentemente – e ci sembra assurdo che debba arrivare un virus per renderlo chiaro- l’unica possibilità per garantire, in ogni suo aspetto, il diritto alla salute a tutte e tutti rimane una sanità pubblica che sia efficiente nei risultati, ben sostenuta economicamente, e finalmente slegata dalle dinamiche di potere e di profitto che la obbligano invece, troppo spesso, a scollarsi dai suoi veri obbiettivi: perché la salute è la prima cosa!
La quarantena così come è stata organizzata è il meglio che si possa fare?
Le regioni del nord stanno vivendo giorni a tratti surreali con forti restrizioni per la popolazione.
Siamo di fronte a una gestione del tutto emergenziale di una situazione che se non affrontata strutturalmente si ripresenterà senza che nulla sia cambiato.
Di una cosa abbiamo certezza: se anche noi sospendiamo le attività delle nostre Case del Popolo nelle zone interessate è perché sappiamo quali sono i rischi che i soggetti già fragili o con un quadro clinico complesso corrono nella diffusione del virus. È soprattutto per responsabilità nei loro confronti che sospendiamo le attività. Limitare il contagio è importante.
Ciononostante non possiamo non osservare che le direttive ministeriali che comportano il divieto di assembramento, abbiano davvero chiuso solo i luoghi di socialità, i servizi educativi e le manifestazione pubbliche. Mentre i luoghi della produzione (dalle fabbriche alle aziende di piccole e medie dimensioni alle cooperative) rimangono aperti, anche qualora non contribuiscano alla messa in circolo di beni di prima necessità. I diritti dei lavoratori e delle lavoratrici coinvolte in queste attività sembrano, ancora una volta, relegati all’ultimo posto.
Per quanto ci rendiamo conto della necessità di certe scelte, pensiamo che questo sia soltanto una parte di quanto fosse possibile attuare in termini di contromisure. Le persone sono al momento segregate nelle loro case, sottoposte a bombardamento mediatico e spinte quindi, in alcuni luoghi, ad atteggiamenti da panico collettivo con “assalti” a supermercati e farmacie o fughe dalla quarantena, incerte del proprio futuro e abbandonate a loro stesse, con l’unica possibilità di chiudersi nelle proprie paure. Serve una gestione pianificata che garantisca a tutti beni di prima necessità, medicinali e gli adeguati livelli di cura e sostegno, anche informativo.
I media
È evidente che gran parte dei media stanno facendo un lavoro pessimo: la paura fa notizia e genera notizie. In ciò che sta accadendo ci sono dei rischi sociali estremamente rilevanti che non possono non essere amplificati dalle lunghe maratone e da un bombardamento h24 dai toni apocalittici. Le persone sono reali e meritano una informazione puntuale e corretta a sostegno della cultura di una corretta prevenzione e della salute pubblica, senza sensazionalismi o morbosità, é interesse di tutte e tutti che le persone più fragili siano tutelate, protette e assistite. Per permettere che ciò avvenga non è necessaria l’iperappresentazione e la disinformazione che non fanno che incoraggiare atteggiamenti individualistici, dove riemerge implicitamente la legge del più forte (la corsa ai supermercati, all’amuchina, alle mascherine). Questo momento ci mostra in modo palese il potere che i media hanno sulla costruzione della realtà e sulle nostre scelte di vita.
Dobbiamo riflettere, aiutarci a vicenda, non giudicare la paura altrui né alimentarla, fare informazione corretta, nonché dare tutto il supporto possibile a chi è in prima linea negli ospedali.
Questo fenomeno emergenziale che tende adesso ad una fase di picco, ci lascerà, molto probabilmente, l’esperienza di un brutto ricordo che deve e dovrà farci riflettere molto. Ripensare il concetto di “salute” con un approccio che integri la salute umana, non umana e ambientale, mirando alla salvaguardia della salute e della salubrità degli ecosistemi, lavorando sulla prevenzione delle nocività, tenendo a mente che la salute non può essere ridotta al binomio mallattia/non malattia ma deve tenere in conto di un benessere psicofisico reale profondamente intrecciato e dipendente dalla realtà sociale che ci circonda.
Vita vegetale e animale, umana in particolare, sono connesse in un inscindibile legame attraverso i processi produttivi di terra, acqua e aria e possono trovare un equilibrio salubre solo fuori dagli attuali meccanismi che regolano la società umana.
Un pensiero solidale va a chi è stato colpito da questo virus come da tutte le malattie che sono lontane dai riflettori.
La solidarietà non ha confini né frontiere.