UP protesta di fronte alla Rheinmetall: no guerra ed invio di armi dai territori, costruiamo un Lazio terra di pace. Verso la manifestazione di domenica 5 febbraio a Pratica di Mare
Unione Popolare e Potere al Popolo si mobilitano ancora una volta contro l’invio delle armi in Ucraina, verso la manifestazione di domenica 5 febbraio a Pratica di Mare. Non ostante le politiche di guerra stiano mettendo in ginocchio il paese, infatti, il governo Meloni continua imperterrito nella via della belligeranza e dell’escalation varata dal suo predecessore Draghi: i nuovi aiuti militari si vanno ad aggiungere alle preoccupanti notizie di forniture di carri armati da parte delle altre potenze occidentali.
Per questo motivo Potere al Popolo, durante la campagna elettorale per la Regione Lazio in cui Pap sostiene Unione Popolare e la candidata presidente Rosa Rinaldi, ha deciso venerdì 3 febbraio di organizzare un blitz per denunciare le complicità delle istituzioni italiane e gli interessi del complesso militare-industriale nazionale nel soffiare sul fuoco della guerra.
Siamo stati di fronte allo stabilimento di Rheinmetall Italia, in via Affile, parte di quella “Tiburtina Valley” un tempo cuore industriale e produttivo della capitale ma ormai destinata soltanto a fabbriche di armi e sale slot. Qui, oltre alla nota fabbrica di armi tedesca che ha avuto un ruolo determinante nell’invio di armi in Ucraina, trovano sede molte aziende del gruppo Leonardo, maggiore esportatore di sistema d’arma e di difesa italiano.
Ribadiamo la nostra contrarietà ad ogni invio di materiale bellico in Ucraina ed in ogni altro conflitto attivo nel mondo: solo in questo modo potremo porre fine all’escalation e dare voce alle trattative. Gli italiani hanno già più volte dimostrato la propria contrarietà a questa guerra, che sta causando l’aumento dei prezzi e mettendo in difficoltà una popolazione già provata dalla crisi economica. La guerra va fermata, e va fatto immediatamente: tutti i partiti e le realtà politiche istituzionali, nessuno escluso, si stanno dimostrando supini agli interessi di NATO ed industria bellica.
Le industrie belliche della Tiburtina: tra Leonardo e Rheinmetall
Leonardo SPA, ex Finmeccanica, è la più grande impresa militare dell’Unione Europea: nel 2016, infatti, sono confluite nella stessa le attività delle società AgustaWestland, Alenia Aermacchi, Selex ES, OTO Melara e Wass, già precedentemente controllate. Dal 2018 Leonardo ha acquisito anche Viotrociset, che si occupa di gestione di sistemi elettronici e informatici e che anch’essa ha sede sulla via Tiburtina. Leonardo partecipa, nel settore aereonautico, al programma Eurofighter. Costituito insieme all’inglese BAE Systems, alla tedesca Premium Aerotec ed alla spagnola EAD-CASA, il consorzio produce il Typhoon, aeroplano militare multiruolo con il ruolo primario di caccia intercettore e da supremazia aerea, esportato poi a vari paesi come Arabia Saudita e Quatar. Leonardo partecipa, inoltre, al progetto Joint Strike Fighter F-35 come partner di secondo livello nello sviluppo dei famigerati e costosissimi arei stealth F-35 prodotti dall’americana Lockheed-Martin. Ha inoltre recentemente firmato un contratto per il Global Combat Air Programme (GCAP) per il futuro aereo da combattimento di sesta generazione.
Leonardo, soprattutto grazie all’apporto di AgustaWestland, è uno dei maggiori produttori di elicotteri: la maggior parte dei mezzi sono pensati per un uso sia militare che civile, a parte alcuni modelli finalizzati soltanto all’utilizzo militare. Tra questi il più noto è il biposto “Mangusta”, utilizzato dall’esercito italiano in Iraq e Afghanistan è stato reso famoso soprattutto dalla Turchia, dove viene prodotto su licenza, che lo ha impiegato nelle operazioni tra Siria e Kurdistan.
Oltre a questo Leonardo produce cannoni OTO Melara, in uso alle forze armate italiane, elettronica militare anche tramite la controllata americana DRS Technologies, mentre con i francesi di Thales cogestisce Telespazio, che eroga servizi satellitari. Secondo il rapporto ICAN del 2019 (International Campaign to Abolish Nuclear Weapons), Leonardo è coinvolta nell’arsenale nucleare francese tramite la joint venture MBDA, consorzio europeo per i missili di cui detiene il 25% mentre il resto è diviso tra Airbus e BAE Systems.
Leonardo SPA, quindi, si configura come primo portatore di interesse italiano presso il complesso militare industriale della NATO, con rapporti solidi con le omologhe ditte leader degli armamenti di paesi come USA, Turchia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Spagna… mentre tra i suoi clienti figurano anche paesi mediorientali come l’Arabia Saudita. Vale la pena ricordare il protagonismo di queste potenze in decine di conflitti e le stragi compite con mezzi che, evidentemente, provengono anche dal nostro paese e dalla Regione Lazio.
La storia di Rheinmetall è invece più lunga: in precedenza Rheinische Metallwaaren – und Maschinenfabrik AG, è stata fondata nel 1889, diventando celeberrima durante il secondo conflitto mondiale per i cannoni montati sui panzer tedeschi. La produzione militare tedesca, dopo la guerra, fu inibita fino al 1956. Da quell’anno la rinata Rheinmetall AG, insieme alla Krauss-Maffei Wegmann (KMW), è stata volano del rilancio dell’industria militare tedesca. Le due aziende hanno, infatti, progettato e prodotto i carri armati Leopard, tra i più diffusi e venduti agli eserciti della NATO. Anche l’Italia ha centinaia di Leopard 1, ormai fuori servizio dagli anni 90 e stoccati nel cimitero dei tank italiano di Lenta, nel vercellese, insieme a decine di altri mezzi ormai antiquati, destinati allo smaltimento o alla vendita.
Se l’Esercito Italiano ha optato, negli anni ’90, per una soluzione autarchica cominciando a produrre il carro armato Ariete, l’industria militare tedesca ha trovato nuovi sbocchi per vendere i suoi nuovi carri Leopard 2: in particolare i paesi dell’ex Patto di Varsavia, soprattutto la Polonia, hanno acquistato questo mezzo militare che monta un cannone Rheinmetall da 120 mm, secondo gli standard NATO. Sono proprio questi ad essere al centro della vicenda dei tank forniti all’Ucraina: i Leopard 2, in particolare quelli polacchi, sono la soluzione più agevole, rispetto ai Challenger 2 inglesi ed agli Abrams americani che, al contrario, presentano diverse difficoltà logistiche nell’essere consegnati all’Ucraina. Lo sblocco di queste forniture, per quanto abbia un valore principalmente politico, porta il livello del conflitto su un piano nuovo, togliendo ogni ambiguità sulla partecipazione delle potenze occidentali alla guerra contro la Russia. I carri armati andranno, probabilmente, resi abili al servizio: questo significa soprattutto pezzi di ricambio e manodopera specializzata ed il capitolo, particolarmente controverso, dell’addestramento degli equipaggi.
Rheinmetall è stata parte attiva nella vicenda, spesso gli amministratori dell’azienda di armi hanno spinto per la fornitura di mezzi Leopard 1 e 2 che la ditta stessa ha in stock: pochi giorni fa, fino al definitivo via libera alle forniture da parte del governo tedesco, si parlava di ben 139 carri armati tra modelli datati e più moderni che l’azienda avrebbe potuto consegnare entro pochi mesi. Un modo per spingere sull’acceleratore, probabilmente, e vincere le reticenze di Berlino. L’azienda tedesca, infatti, sta lanciando sul mercato un nuovo modello: il KF51 Panther, in cui senza neanche prendersi il disturbo di trovare il nome di altro grande felino si ricicla direttamente quello di una delle wunderwaffen di epoca nazista.
Non può trattarsi di un caso: spingere per liberarsi di armamenti datati significa sostituirli con nuovi. Il principale concorrente di Rheinmetall per la messa a punto di un Main Battle Tank europeo di nuova generazione, ad oggi, è gestito dai francesi di Nexter e dai tedeschi di KMW e pare ad un punto morto.
Rheinmetall è stata al centro delle polemiche già negli scorsi anni: in particolare nel 2019 attiviste ed attivisti si erano incatenati al cancello della fabbrica, quando dallo stabilimento romano era in partenza un super-cannone destinato alle forze armate turche che, proprio in quei giorni, stavano nuovamente bombardando il Kurdistan.
Una proposta per la riconversione
La Tiburtina rappresenta uno snodo fondamentale per queste due aziende, Leonardo possiede diversi stabilimenti in zona, come Vitrociset, MBDA e Telespazio. Rheinmetall qui possiede uno degli stabilimenti della sua controllata Rheinmetall Italia, dove già in passato Potere al Popolo e i solidali con il popolo curdo hanno protestato per forniture di cannoni alla Turchia. Il gruppo tedesco ha inoltre una sede in Lombardia, a Ghedi dove si trova anche una delle basi NATO dove vengono conservate bombe atomiche nel nostro paese, e due stabilimenti in Sardegna, dove puntualmente partono carichi di bombe che i sauditi utilizzano contro i civili in Yemen.
Il know how ingegneristico delle fabbriche di armi e sistemi tecnologici della Tiburtina Valley è, quindi, immenso. Se queste conoscenze venissero riconvertite ad un uso esclusivamente civile questa potrebbe rifiorire e ridare lavoro e speranza ad una zona della capitale abbandonata. I quartieri limitrofi, infatti, sono proprio quelli che vivono lo stigma di essere “periferie difficili”, quelle che nella vulgata mainstream troppo spesso vengono descritti come popolate da malavitosi e in mano alla criminalità organizzata. Ma quest’ultimo fenomeno fiorisce in questi quartieri per la mancanza cronica di un’alternativa di vita, causata da pregiudizi nei confronti dei loro abitanti e politiche di isolamento degli stessi. Troppo spesso vediamo queste zone invase dalle forze dell’ordine nell’ennesimo blitz contro gli spacciatori, mentre poco lontano marciscono abbandonati i capannoni di un passato ormai dimenticato. La rappresentazione plastica è l’immenso ed inquinatissimo sito dell’ex Penicilina LEO, che si affaccia sulla consolare all’altezza dell’incrocio con Via del Casal San Basilio, ma tante sono le altre ditte ormai lasciate all’abbandono. Riconvertire all’uso civile le industrie belliche, con il loro portato di conoscenze ingegneristiche di altro livello, potrebbe finalmente ridare fiato alla zona e lavoro agli abitanti. Un piano di riconversione è necessario e possibile, recuperando anche quegli spazi inutilizzati per rilanciare un piano di investimenti pubblici necessari non soltanto a Roma ma a tutta Italia.
Unione Popolare Lazio
MANIFESTAZIONE
PRATICA DI MARE
5 FEBBRAIO H 10:30