La famiglia di Brahim è una delle troppe che – a causa della crisi economica e del lavoro precario – non sono riuscite a pagare l’affitto e sono state sfrattate.
Almeno per loro però la casa popolare rappresenta una soluzione plausibile. Sono infatti alti in graduatoria per l’assegnazione e tra poco potranno probabilmente sistemarsi (a meno che non si cambino le carte in tavola ancora una volta).
Come Sportello per il diritto alla casa abbiamo partecipato ai picchetti per rinviare lo sfratto e abbiamo proposto un accordo con la proprietà Unicoop (nota cooperativa imolese).
La proposta era semplicemente più conveniente per tutti. Sospendere la procedura di sfratto in cambio del pagamento del canone d’affitto fino all’assegnazione. La famiglia non sarebbe rimasta per strada in questi mesi, i servizi sociali non si sarebbero dovuti fare carico di spese per moglie e minori (separando il nucleo familiare e sperperando soldi pubblici) e Unicoop avrebbe incassato qualche cosa.
Ma a quanto pare la questione per la cooperativa è di principio. La proposta di mediazione è stata assolutamente respinta. Alcuni rappresentanti della coop hanno anche preferito consigliare alla famiglia di Brahim di “tornarsene a casa loro, nel loro paese” aggiungendo che “avrebbero dovuto pensarci prima”. Si sa, la retorica è che la povertà è una colpa e una responsabilità personale e non un problema strutturale, sociale, collettivo.
Oggi la famiglia è stata sfrattata, durante ore di trattativa abbiamo tentato di resistere a quest’inutile ingiustizia. La soluzione dei servizi sociali è stata la solita: separazione del nucleo famigliare o un biglietto solo andata per il Marocco, tanto per incrementare la logica razzista sempre più in voga di questi tempi.
E quindi semplice: tutt* in mezzo alla strada; questo grazie in particolare alla Cooperativa che ha rifiutato qualunque compromesso.
Singolare poi il fatto che l’avvocato di Unicoop, militante dei Giuristi per la vita (associazione antiabortista) abbia voluto utilizzare toni decisamente minacciosi senza farsi remore a sfrattare una famiglia (istituzione sociale che tanto ha voluto difendere nella sua attività politica quando risultava conveniente farlo contro i diritti umani di autodeterminazione di tutt*).
Ci chiediamo se un comportamento di questo tipo possa essere ritenuto giusto da una cooperativa che si presenta con determinati “valori sociali”: sul loro sito si legge “l’importanza della casa trascende per Unicoop Imola il concetto di individuo e si estende alla società civile”. Questo rifiuto di mediare e accettare soluzioni non ci sembra indice dello spirito “mutualistico” con cui la cooperativa si descrive o, più probabilmente, fa semplicemente marketing.
A noi sembra che qua il solo obbiettivo sia, ancora una volta, il profitto e non le persone e la collettività. Enorme il vuoto che lasciano le istituzioni che per scelta politica decidono chi è meritevole di aiuto e chi invece no.
Il diritto alla casa è di tutte e tutti.
Su questo non faremo passi indietro: complici e solidali con chi resiste e lotta per il diritto all’abitare!