Impossibile non lasciarsi commuovere dall’oltraggiosità della guerra, dalla bruttezza dei bombardamenti aerei, dalle paure che attanagliano i civili intrappolati da scelte che non sono le loro. Se leggendo queste righe pensate che mi stia riferendo all’Ucraina avete ragione, ma ovviamente non si tratta solo dell’Ucraina. Nella stessa settimana in cui le forze russe sono entrate in Ucraina, gli Stati Uniti hanno lanciato attacchi aerei in Somalia, l’Arabia Saudita ha bombardato lo Yemen e Israele ha colpito la Siria e i palestinesi a Gaza.
La guerra è una ferita aperta per l’anima dell’umanità. Attira preziose ricchezze sociali nella distruzione: “L’impatto della guerra è evidente”, scrisse Karl Marx nei Grundrisse (1857-58), “poiché, economicamente, è esattamente come se la nazione dovesse far cadere una parte del suo capitale nell’oceano”. Distrugge l’unità sociale e danneggia la possibilità della solidarietà internazionale: “i lavoratori del mondo si uniscono in tempo di pace”, scriveva Rosa Luxemburg nel 1916, “ma in guerra si tagliano la gola a vicenda”.
La guerra non è mai un bene per chi è poverə La guerra non è mai un bene per chi lavora. La guerra stessa è un crimine. La guerra produce crimini. La pace è una priorità.
Una guerra che dura da anni ormai
Plurinazionalismo vs sciovinismo etnico. L’Ucraina, formata dagli imperi lituano, polacco e zarista, è uno stato plurinazionale con grandi minoranze linguistiche che parlano russo, ungherese, moldavo e rumeno. Quando l’Ucraina faceva parte dell’Unione Sovietica, la questione dell’etnia era tenuta sotto controllo perché gli e le ucrainə erano cittadinə dell’URSS e la cittadinanza sovietica era sovraetnica. Nel 1990, quando l’Ucraina lasciò l’Unione Sovietica, la questione dell’etnia emerse come una barriera alla piena partecipazione alla società per tuttə gli e le ucrainə. Il problema socio-politico affrontato dall’Ucraina non era una eccezione; il nazionalismo etnico è emerso in quasi tutti i paesi dell’Europa orientale post-comunista, dalla terribile disgregazione della Jugoslavia iniziata dall’indipendenza croata nel 1991 al confronto militare tra Georgia e Russia nel 2008. La pulizia etnica è stata trattata come del tutto normale, come quando l’Occidente ha esultato per la rimozione forzata di mezzo milione di serbi dalla Krajina, in Croazia, nel 1995. Al contrario, la Cecoslovacchia, uno dei paesi dell’Europa orientale comunista, si è sciolta pacificamente lungo linee etniche nel 1993 nella Repubblica Ceca e Slovacchia.
Pace regionale contro imperialismo della NATO, parte I. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica e la dissoluzione del Patto di Varsavia (1991), gli Stati Uniti hanno cercato di assorbire tutta l’Europa orientale nella NATO. Questo nonostante l’accordo raggiunto nel 1990 con l’ultimo governo dell’Unione Sovietica prevedesse che la NATO non si sarebbe spostata “di un pollice verso est”, secondo le parole dell’allora Segretario di Stato americano James Baker. Nel nuovo periodo, i paesi dell’Europa orientale e la Russia hanno cercato l’integrazione nel progetto europeo attraverso l’ingresso nell’Unione europea (per scopi politici ed economici) e nella NATO (per ragioni militari). Durante la presidenza di Boris Eltsin (1991-1999), la Russia divenne un partner della NATO e si unì al G-7 (che, per un certo periodo, divenne il G-8). Anche nei primi anni di presidenza di Vladimir Putin, la Russia ha continuato a pensare che sarebbe stata accolta nel progetto europeo. Nel 2004, la NATO ha assorbito sette paesi dell’Europa orientale (Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia e Slovenia); a quel tempo, il segretario generale della NATO, Jaap de Hoop Scheffer, disse che la Russia aveva capito che la NATO non aveva “secondi fini”.
Tuttavia, Mosca alla fine ha messo in discussione la persistente marcia della NATO verso est e, nel 2007, Putin ha accusato la NATO di “dimostrazione muscolare” nell’Europa orientale. Da quel momento in poi, l’espansione della NATO è diventata una questione sempre più controversa. Sebbene l’ingresso dell’Ucraina nella NATO sia stato bloccato da Francia e Germania nel 2008, la questione del suo coinvolgimento nel progetto NATO ha iniziato a definire la politica russo-ucraina. Quest’ultimo punto evidenzia come la discussione sulle “garanzie di sicurezza” per la Russia sia incompleta; non si tratta solo dei timori per la sicurezza della Russia – dal momento che la Russia è una grande potenza nucleare – ma anche delle relazioni dell’Europa con la Russia. Vale a dire, l’Europa sarebbe in grado di formare una relazione con la Russia che non si basi sui diktat degli Stati Uniti?
Democrazia contro il colpo di stato. Nel 2014, il presidente ucraino Viktor Yanukovych ha chiesto un prestito dalla Russia, che Putin ha detto che avrebbe fornito se Yanukovych avesse isolato le reti finanziarie controllate dall’oligarchia del paese. Invece, Yanukovych si rivolse all’Unione europea (UE), che offriva consigli simili, ma le cui preoccupazioni erano state silenziate dagli Stati Uniti, una dinamica che esplicitata quando l’assistente segretario di Stato americano Victoria Nuland disse all’ambasciatore americano in Ucraina Geoffrey Pyatt: “Al diavolo l’UE”. In precedenza, Nuland si era vantata dei miliardi di dollari che gli Stati Uniti hanno speso per la “promozione della democrazia” in Ucraina, il che in realtà significava il rafforzamento delle forze filo-occidentali e anti-russe. Yanukovich è stato rimosso e sostituito in un colpo di stato parlamentare da una serie di leader sostenuti dagli Stati Uniti (Arseniy Yatsenyuk e Petro Poroshenko). Il presidente Poroshenko (2014-2019) ha portato avanti un’agenda nazionalista ucraina riassunta nello slogan armiia, mova, vira (“esercito, lingua, fede”), che è diventato realtà con la fine della cooperazione militare con la Russia (2014), l’emanazione di una legislazione che ha reso l’ucraino “l’unica lingua ufficiale di stato” e ha limitato l’uso del russo e di altre lingue minoritarie (2019) e, infine, la rottura dei legami tra la chiesa ucraina e il patriarca Kirill di Mosca (2018). Queste misure, insieme alla normalizzazione di elementi neonazisti, hanno frantumato il patto pluri-nazionale del paese e prodotto un grave conflitto armato nella regione del Donbass nell’Ucraina orientale, che ospita una consistente minoranza etnica di lingua russa. Minacciata dalla politica statale e dalle milizie neo-naziste, questa popolazione minoritaria ha cercato protezione dalla Russia. Per mitigare la pericolosa pulizia etnica e porre fine alla guerra nella regione del Donbass, tutte le parti hanno concordato una serie di misure di pacificazione, tra cui il cessate il fuoco, noto come Accordi di Minsk (2014-15).
Il ruolo dell’ultranazionalismo ucraino
Quello che è successo in seguito è stata essenzialmente una pulizia etnica, con ampie sezioni di russofoni in fuga attraverso il confine verso la regione di Rostov in Russia e gli ucraini che si spostavano verso ovest. C’è stata poca attenzione internazionale a questa crisi e all’ascesa degli elementi neonazisti. Le potenze della NATO si sono rifiutate di prendere sul serio questi problemi o di fornire a Mosca garanzie di sicurezza; in particolare, per garantire che l’Ucraina non sia dotata di armi nucleari e non diventi membro della NATO. Inoltre, la Russia è intervenuta per impadronirsi della Crimea, dove la sua marina ha un porto. Queste mosse hanno ulteriormente destabilizzato la situazione, minacciando la sicurezza della regione. Il rifiuto della NATO di negoziare sulla sicurezza della Russia è lo stimolo che ha portato all’intervento.
Per una via diplomatica
- Applicazione degli accordi di Minsk.
- Garanzie di sicurezza per la Russia e l’Ucraina, che richiederebbero all’Europa di sviluppare una relazione indipendente con la Russia che non sia modellata dagli interessi degli Stati Uniti.
- Inversione delle leggi ultra-nazionaliste dell’Ucraina e ritorno al patto pluri-nazionale.
Se negoziati e accordi sostanziali su queste questioni essenziali non si materializzeranno nelle prossime settimane, è probabile che armi pericolose continueranno ad affrontarsi sulla base di divisioni tenui e altri paesi saranno trascinati in un conflitto che potrebbe andare fuori controllo.
Lo scrittore ucraino sovietico Mykola Bazhan scrisse il poema Elegy for Circus Attractions (1927) sulle tensioni di un circo. Potrebbe esserci una metafora migliore per i nostri tempi?
Una signora griderà in modo penetrante…
Poi il panico prende la mira e vola
nei loro ululati strazianti,
accartocciando le loro bocche nude!
Macina lo sputo e le lacrime,
sbatti le labbra in smorfie!
Oscillano come cadaveri sui fili,
le voci.
Un affettuoso saluto dalla redazione di Tricontinental: Institute for Social Research,
Vijay