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[EMILIA-ROMAGNA] ROMPIAMO LA CONTINUITÀ DELLO SFRUTTAMENTO E DELLA DEVASTAZIONE: LA PROPOSTA DI ROTTURA DI POTERE AL POPOLO PER L’EMILIA-ROMAGNA SI COSTRUISCE FUORI DALLE COMPATIBILITÀ COSTITUITE /PARTE 1

A partire dalla nomina di Elena Ugolini alla posizione di possibile candidata presidente per la coalizione di destra, nelle ultime due settimane si è andato velocemente a definire il quadro per la corsa a due in vista delle prossime elezioni regionali dell’Emilia-Romagna, previste per novembre. La Direzione regionale del PD ha infatti immediatamente risposto con la candidatura di Michele De Pascale, braccio destro dell’uscente Bonaccini, e il cui profilo centrista alla testa di una coalizione unitaria del “campo largo” rappresenta la figura giusta per contenere il tentativo di Fdi di farsi largo nei cosiddetti settori moderati tramite l’opzione apparentemente “civica” della direttrice delle scuole paritarie Malpighi di Bologna. Se cinque anni fa la precedente tornata elettorale fu schiacciata nella polarizzazione costruita ad arte tra il rassicurante nome di Bonaccini e quello dell’outsider Borgonzoni, enfatizzata da due narrazioni ideologiche differenti utili a chiamare a raccolta il massimo delle forze nei rispettivi ambiti di consenso, la vittoria di Bonaccini e la normalizzazione del partito di Meloni sul piano nazionale hanno oggi creato le condizioni per una contesa sostanzialmente statica in nome della continuità con la “buona amministrazione” di questi decenni in Piazzale Aldo Moro. In alternativa alla cordata di cooperative, CGIL e sigle datoriali a traino di De Pascale, la destra mette in campo la propria cordata di interessi specifici di cooperative bianche e consociativismo, con una proposta di alternanza al potere che non ne mini però le fondamenta, i presupposti e i fini strategici: portare avanti il taglio della spesa pubblica per rispettare la piega nazionale verso l’economia di guerra, proseguendo con la privatizzazione dei servizi pubblici, dell’istruzione e della sanità spinta ulteriormente dall’autonomia differenziata (che sia quella in “salsa leghista” o in “versione bonacciniana”), attaccare i diritti e il salario dei lavoratori in nome della competitività, approfondire la strada segnata dall’attuale modello di sviluppo a totale deterioramento dell’ambiente con il carico di cemento e asfalto che si porta con sé.

 La proposta di rottura che abbiamo avanzato negli scorsi giorni (qui il link https://shorturl.at/sB1Un) e che sta vedendo Potere al Popolo confrontarsi sul territorio con le lotte e le forze sociali alternative al triste quadro esistente, vuole rompere questo schema e ribaltare il tavolo, imponendo sulla scena la rappresentanza degli interessi che vengono esclusi dal potere e che subiscono le conseguenze nefaste delle scelte politiche avanzate dai due principali schieramenti.

Con la pubblicazione di alcuni articoli, in questi giorni proponiamo al dibattito un approfondimento analitico dello scenario regionale e delle implicazioni insite nelle proposte in campo, andando a meglio definire i parametri secondo cui costruire il percorso alternativo che abbiamo appena posato sui binari fuori dalle compatibilità costituite.

Il campo largo del green-washing e della concertazione: alla corte di De Pascale

Se qualcuno si era illuso che il PD avrebbe potuto provare qualcosa di diverso in Emilia-Romagna, si è dovuto presto ricredere. Dopo diversi mesi di nomi suggeriti dai giornali, è stato confermato quello che sembrava il più probabile: il sindaco di Ravenna De Pascale, indicato dallo stesso Bonaccini. Questo nome ha messo un po’ in difficoltà anche Lepore, che rivendicava un rinnovato ruolo per Bologna, e che si è visto superare da Ravenna, una città che nell’ultimo anno ha acquisito una sua centralità sia per scelta del sindaco, sia per l’alluvione e la gestione che ne è seguita.

Iniziamo con la scelta di De Pascale di ospitare il rigassificatore, una scelta in controtendenza rispetto a quella di altri sindaci in altre regioni d’Italia, che si sono opposti (spesso più per interessi tattici) a un’infrastruttura pericolosa. Abbiamo sempre accusato quest’opera di essere un pezzo della nuova “economia di guerra” che il nostro paese, pedina importante dell’alleanza Euroatlantica, ha sviluppato in seguito al conflitto in Ucraina. Per fare un dispetto alla Russia ora compriamo gas liquido dagli Stati Uniti, pagandolo molto di più, e dovendo utilizzare i rigassificatori, strutture inquinanti e pericolose. Il 6 maggio 2023, anche come Potere al Popolo, partecipammo da tutta la regione alla manifestazione a Ravenna chiamata dal coordinamento “Per il clima – Fuori dal fossile”, che ha segnato la ripresa di un nuovo attivismo cittadino in opposizione alle scelte della giunta. In quella giornata contestammo anche la scelta politica della Questura che vietò al corteo di concludere il percorso nella centrale Piazza del Popolo. Altra stranezza fu vedere pezzi della maggioranza sfilare in quel corteo, come Verdi e Sinistra Italiana, che in questi giorni stanno confermando la loro posizione solidamente a fianco del PD.

La prima dichiarazione di De Pascale dopo la sua nomina a candidato è stata infatti: “Qui a Ravenna già amministro con una maggioranza larga e in questi giorni sto ricevendo telefonate da movimenti civici” per confermare che è lui il nome giusto per dare concretezza romagnola alla foto di gruppo scattata sul palco dell’ANPI, dato che la coalizione con AVS e M5S è quella con cui sta già governando. E una delle prime uscite pubbliche è stata al cantiere della piattaforma SNAM insieme all’amministratore delegato Venier e al ministro Pichetto Fratin. Questo ci dice due cose. La prima è che De Pascale viene premiato per essere stato un fedele esecutore del progetto del rigassificatore senza alcun problema, e che dà tutte le garanzie al sistema di potere PD per continuare a esserlo. La seconda è che può permettersi di farlo sapendo gestire serenamente i “mal di pancia” della cosiddetta “sinistra ecologista”: possono anche andare in piazza, ma questo non provoca problemi politici. Anzi, aiuta a gestirli.

Pochi giorni dopo quella manifestazione, il territorio romagnolo fu colpito dalla grande alluvione. Ci organizzammo subito anche come PAP per andare ad aiutare i territori colpiti, e spalando il fango ci accorgemmo subito, parlando con le persone, che la sensazione generale fosse quella di essere stati abbandonati. C’era la protezione civile, c’era una grande mobilitazione solidale, ma mancavano pezzi importanti dello Stato che avrebbero potuto aiutare con i mezzi pesanti, a partire dall’Esercito. Continuammo quindi organizzando una piattaforma “di solidarietà e lotta” per denunciare questa mancanza. Come si dice, oltre al danno la beffa: il 26 maggio il Prefetto di Ravenna, insieme ai sindaci della provincia, “licenziava” i volontari del fango, dicendo che rischiavano di ostacolare le operazioni ufficiali.

Continuammo ovviamente ad andare a spalare, ma ci prendemmo un pomeriggio “di riposo” per andare ancora sporchi di fango sempre in quella Piazza del Popolo, su cui si affacciano sia la Prefettura che il Comune, a criticare con uno striscione e un megafono questo divieto, contestando che non serviva assolutamente al suo scopo dichiarato di lasciare libere le strade ai soccorsi, ma al contrario a nascondere questa mancanza, e che quindi le istituzioni avessero paura che nel rapporto tra cittadini e volontari potessero innescare delle contestazioni. Le democratiche istituzioni di Ravenna risposero con due decreti penali di condanna per manifestazione non autorizzata. Nel giro di un mese si faceva così sempre più evidente la cappa di gestione securitaria costruita dal sindaco negli anni dei suoi mandati, volta a una gestione del territorio che tenesse ben schiacciata la conflittualità politica. Se Piazza del Popolo negli ultimi mesi è tornata agibile politicamente, è soltanto grazie ad azioni politiche che hanno rotto la gestione concertativa del conflitto, come abbiamo visto nelle mobilitazioni per la Palestina, ma anche proprio contro le politiche repressive che arrivarono addirittura a vedere la polizia municipale picchiare e fermare un ragazzo, colpevole di avere acceso una cassa musicale in piazza San Francesco.

La questione dell’alluvione è strettamente collegata con uno dei principali punti di opposizione che abbiamo portato avanti negli ultimi cinque anni contro Bonaccini: la critica alla farsa della legge “consumo di suolo zero”, che garantisce invece amplissimi spazi per la cementificazione, come abbiamo visto accadere su tutto il nostro territorio, o per la speculazione edilizia o per fare spazio a nuovi hub della logistica. Ravenna, da questo punto di vista, non si tira indietro, rimanendo ogni anno stabile sul podio delle province che consumano più ettari di suolo, seconda solo a Roma. Eppure, subito dopo l’alluvione, De Pascale rispose agli ambientalisti che criticavano la cementificazione selvaggia dicendo che “prima i comunisti come mio nonno abbracciavano l’innovazione per bonificare, spaccandosi la schiena, adesso gli ambientalisti vorrebbero bloccare tutto” chiedendo quindi “è più importante salvare vite umane o preoccuparsi di questioni come la nidificazione nei fiumi o la difesa di alberi e nutrie?” De Pascale riesce a fare un contrattacco incredibile: l’alluvione non è colpa della cementificazione, ma degli ambientalisti e delle nutrie.

E ci sarebbero tanti altri punti da discutere: l’ampliamento dell’A14 a servizio dell’allargamento del porto (che comprende i progetti di stoccaggio di CO2 di ENI e di deposito GNL), l’approvazione di estrazione di metano al largo della costa, la costruzione della linea adriatica del gasdotto SNAM… ovvero di tutte quelle opere che sono la naturale continuazione di una decennale politica di connivenze tra le giunte di centrosinistra e i colossi del petrolchimico come ENI e Marcegaglia, nella gestione di interessi di pochi, oggi non più sostenibile.

La questione ambientale era, tra l’altro, uno dei due pilastri su cui si fondava il “Patto per il Lavoro e il Clima”, tentativo di Bonaccini di rilanciarsi per il secondo mandato, cercando l’appoggio dei sindacati confederali. A siglare questo patto è proprio la nomina di Vincenzo Colla, già segretario regionale e vice-segretario nazionale della CGIL, all’assessorato al lavoro. Non a caso Colla è stato fino alla settimana scorsa il possibile sfidante di De Pascale, prima di benedire il nome del sindaco, volendo comunque mantenere un ruolo nelle prossime elezioni, come sta venendo titolato dai giornali con la “Fabbrica del Programma”. Peccato però che, come dal punto di vista ambientale il “Patto per il Lavoro e il Clima” era evidentemente un’opera di green-washing (e che venne firmato solo da Legambiente, che ha però ritirato la firma un anno fa), dal punto di vista sociale è servito per creare una piattaforma di concertazione da cui escludere i sindacati conflittuali, come rappresentato plasticamente da un tavolo di confronto sulla sicurezza all’Interporto di Bologna a cui sono stati convocati solo i sindacati concertativi, non rappresentativi dei lavoratori e delle lavoratrici dell’Interporto, mentre i sindacati realmente presenti in quella realtà furono tenuti fuori con l’uso della polizia in assetto antisommossa. In cambio, i sindacati gialli sposavano anche la devastazione ambientale: così abbiamo visto la FILCTEM-CGIL approvare il rigassificatore di Ravenna come “un’opportunità per il territorio”, CGIL-CISL-UIL a favore del Passante di Mezzo e della linea Rossa del tram di Bologna, utile solo alla speculazione, e come “progetti fondamentali per lo sviluppo della città” fino ad arrivare alla CGIL bolognese che osserva in silenzio per mesi la vertenza del Parco Don Bosco, intervenendo solo quando ha avuto un pretesto per attaccare il comitato Besta che sta portando avanti la vertenza.

La gestione concertativa delle relazioni industriali ha portato a risultati negativi soprattutto per le fasce giovanili e/o precarie della popolazione. Basta pensare ai contratti firmati da CGIL-CISL-UIL come quello dei Multiservizi, che permette di lavorare a 3,5 euro all’ora e che viene ampiamente usato nella giungla degli appalti della pubblica amministrazione, o ancora al rinnovo del contratto dei Pubblici Esercizi che non recupera neanche l’inflazione nominale. Ma si rivela controproducente anche sul terreno della sicurezza, come dimostrato in maniera atroce dalla Strage di Suviana, dove a mesi di distanza l’unica certezza è che le vittime lavoravano nella catena degli appalti, e dallo stillicidio quotidiano di ferimenti e omicidi sul lavoro.

Ultimo punto, non per importanza, è la questione dello sfruttamento delle forme di lavoro studentesco. La Giunta regionale e i sindacati concertativi non hanno modificato la propria posizione favorevole all’alternanza scuola-lavoro di Renzi neanche di fronte a tre ragazzi uccisi sul lavoro in tutta Italia. Al contrario, hanno sponsorizzato il meccanismo dei PCTO nascondendosi dietro il dito dei progetti con aziende ad alta specializzazione. L’ultimo tassello in ordine di tempo è la normativa che permette lo sfruttamento minorile durante la stagione turistica, tramite l’approvazione del Ministero del Lavoro per l’apprendistato per minorenni proposto dalla Regione, un nuovo modo per abbassare ulteriormente i salari.

Vogliamo chiudere mostrando la “coerenza differenziata” che caratterizza Bonaccini tanto quanto De Pascale. Nel 2021, fra i promotori dell’autonomia differenziata c’era proprio il governatore emiliano, e anche De Pascale, come presidente dell’Unione delle Province Italiane, dichiarava al ministro Calderoli che “sull’autonomia differenziata non c’è da parte delle Province una posizione negativa”. È dunque ben difficile pensare che oggi il PD possa mettersi a guida dei referendum contro l’AD, tanto nella raccolta firme per il quesito referendario che ne prevede la giusta abrogazione, tanto rispetto al quesito depositato dai consigli regionali di Emilia Romagna, Toscana e Campania e che rappresenta la mela avvelenata con cui – anche in caso di vittoria – il percorso verso la realizzazione dell’autonomia differenziata portato avanti negli scorsi anni da Bonaccini (con un ampio consenso nel partito, da Schlein allo stesso De Pascale) assieme a Zaia e Fontana potrebbe continuare indisturbato pur dietro la tattica opposizione del momento alla norma approvata dal Parlamento.

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