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Creare due, tre, molti Vietnam: Questa è la parola d’ordine

Abbiamo deciso di tradurre l’ultima newsletter di “Tricontinental: Institute for Social Research” – un istituto di ricerca internazionale, con sedi in India, Sudafrica, Argentina e Brasile. Buona lettura!


Trentatreesima newsletter 2021

Care compagne, cari compagni,

saluti dalla redazione del Tricontinental: Institute for Social Research.

Domenica 15 agosto il presidente dell’Afghanistan Ashraf Ghani è fuggito dal suo paese dirigendosi in Uzbekistan. Si è lasciato alle spalle una capitale, Kabul, già caduta nelle mani delle forze talebane in avanzata. L’ex presidente Hamid Karzai ha annunciato di aver formato un consiglio di coordinamento con Abdullah Abdullah, il capo del Comitato di riconciliazione nazionale, e il leader jihadista Gulbuddin Hekmatyar. Karzai ha invitato i Talebani ad essere prudenti mentre entravano nel palazzo presidenziale di Kabul e prendevano il comando dello stato.

Karzai, Abdullah Abdullah e Hekmatyar hanno chiesto la formazione di un governo nazionale. Questo farerbbe comodo ai Talebani, poiché permetterebbe loro di affermare di essere un governo afghano piuttosto che un governo talebano. Ma sono i Talebani e il loro leader Mullah Baradar che saranno effettivamente a capo del paese, con Karzai, Abdullah Abdullah ed Hekmatyar a fare da vetrina per placare l’opportunismo delle potenze estere.

Nessun progresso

L’ingresso dei Talebani a Kabul è una grande sconfitta per gli Stati Uniti. Pochi mesi dopo l’inizio della guerra contro i Talebani nel 2001, il presidente americano George W. Bush annunciò: “Il regime dei Talebani sta per finire”. Vent’anni dopo, è ormai evidente il contrario. Ma questa sconfitta degli Stati Uniti – dopo aver speso 2,261 trilioni di dollari e aver causato almeno 241.000 morti – è un magro conforto per il popolo dell’Afghanistan, che ora dovrà fare i conti con la dura realtà del dominio talebano. Dalla loro formazione in Pakistan nel 1994, non si può trovare nulla di progressista nelle parole e nelle azioni dei Talebani nel corso di quasi trent’anni di storia. Né si può trovare nulla di progressista nella guerra ventennale che gli Stati Uniti hanno portato avanti contro il popolo afghano.

Il 16 aprile 1967, la rivista cubana Tricontinental pubblicò un articolo di Che Guevara intitolato “Creare due, tre, molti Vietnam: Questa è la nostra parola d’ordine”. Guevara sosteneva che la pressione sul popolo vietnamita doveva essere alleviata da lotte di guerriglia altrove. Otto anni dopo, gli Stati Uniti fuggirono dal Vietnam mentre i funzionari statunitensi e i loro alleati vietnamiti salivano sugli elicotteri dal tetto dell’edificio della CIA a Saigon.

La sconfitta degli Stati Uniti in Vietnam si inserì in una sequenza di disfatte per l’imperialismo: il Portogallo capitolò l’anno prima in Angola, Guinea-Bissau e Mozambico; operai e studenti rovesciarono la dittatura della Thailandia, avviando un processo che culminò tre anni dopo nella rivolta studentesca del 1976; i comunisti presero il potere in Afghanistan con la rivoluzione di Saur nell’aprile 1978; il popolo iraniano si mobilitò per un anno contro il dittatore sostenuto dagli Stati Uniti, lo scià dell’Iran, arrivando alla rivoluzione del gennaio 1979; il New Jewel Movement, socialista, condusse una rivoluzione nel piccolo stato insulare di Grenada; nel giugno 1979, i sandinisti entrarono a Managua (Nicaragua) e rovesciarono il regime di Anastasio Somoza sostenuto dagli Stati Uniti. Questi erano alcune tra le tante Saigon, le tante sconfitte dell’imperialismo e le tante vittorie – in un modo o nell’altro – dei movimenti di liberazione nazionale.

Gli interventi imperialisti creano il caos

Ad ognuno di questi progressi si giunse con una diversa tradizione politica e un diverso ritmo. La più potente rivolta di massa fu in Iran, anche se non sfociò in una dinamica socialista ma in una democrazia clericale. Ognuno di questi ha dovuto affrontare l’ira degli Stati Uniti e dei loro alleati, che non avrebbero permesso a questi esperimenti – la maggior parte dei quali di natura socialista – di germogliare. Una dittatura militare fu incoraggiata in Thailandia nel 1976, guerre per procura furono messe in moto in Afghanistan e Nicaragua, e l’Iraq fu pagato per invadere l’Iran nel settembre 1980. Il governo degli Stati Uniti tentò con ogni mezzo di negare la sovranità a questi paesi e di riportarli ad una completa subordinazione.

Ne seguì il caos. Lungo due assi: la crisi del debito e le guerre per procura. Dopo che i paesi non allineati approvarono una risoluzione sul Nuovo Ordine Economico Internazionale (NIEO) nell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1974, si trovarono schiacciati dalle istituzioni finanziarie dominate dall’Occidente, incluso il Fondo Monetario Internazionale e il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti. Queste istituzioni spinsero gli stati non allineati in una profonda crisi del debito; il Messico andò in default nel 1982 e inaugurò l’attuale crisi del debito del cosiddetto Terzo Mondo. Inoltre, dopo la vittoria delle forze di liberazione nazionale negli anni ’70, una nuova serie di guerre per procura e operazioni di cambio di regime furono avviate per destabilizzare la politica di Africa, Asia e America Latina per due generazioni.

Non siamo ancora usciti dalla distruzione causata dalla politica occidentale degli anni ’70.

La distruzione dell’Afghanistan

L’ottusità occidentale verso l’Afghanistan definisce la natura della controrivoluzione e dell’interventismo liberale. Il presidente americano Jimmy Carter decise di mettere immense risorse dietro i peggiori elementi della politica afghana e di lavorare con il Pakistan e l’Arabia Saudita per distruggere la Repubblica Democratica dell’Afghanistan (DRA), che durò dal 1978 al 1992 (ribattezzata Repubblica dell’Afghanistan nel 1987).

Anni dopo la caduta della Repubblica dell’Afghanistan, ho incontrato Anahita Ratebzad, che era una ministra del primo governo della DRA, per chiederle di quei primi anni. “Abbiamo affrontato gravi sfide sia all’interno del paese – da coloro che avevano una visione sociale reazionaria – sia all’esterno del paese – dai nostri avversari negli Stati Uniti e in Pakistan”, ha detto. “Pochi mesi dopo il nostro insediamento, nel 1978, sapevamo che i nostri nemici si erano uniti per minarci e per impedire l’arrivo della democrazia e del socialismo in Afghanistan”. Ratebzad fu raggiunta da altre importanti leader come Sultana Umayd, Suraya, Ruhafza Kamyar, Firouza, Dilara Mark, la professoressa R. S. Siddiqui, Fawjiyah Shahsawari, il dottor Aziza, Shirin Afzal, e Alamat Tolqun – nomi da tempo dimenticati.

Fu Ratebzad che scrisse sul Kabul New Times (1978) queste parole: “I privilegi che le donne, per diritto, devono avere sono un’istruzione uguale, la sicurezza del lavoro, i servizi sanitari, e il tempo libero per allevare una generazione sana per costruire il futuro del paese…Educare e illuminare le donne è ora oggetto di una stretta attenzione del governo”. La speranza del 1978 è ormai perduta.

Questo pessimismo non deve essere imputato ai soli talebani, ma anche a coloro – come gli Stati Uniti, l’Arabia Saudita, la Germania e il Pakistan – che hanno finanziato e sostenuto i fascisti teocratici talebani. Nella polvere della guerra americana iniziata nel 2001, donne come Anahita Ratebzad sono state messe sotto il tappeto; faceva comodo agli Stati Uniti vedere le donne afgane come incapaci di aiutarsi da sole, e quindi bisognose dei bombardamenti aerei americani e delle detenzioni straordinarie a Guantanamo. Agli Stati Uniti ha anche fatto comodo negare i loro legami attivi con i peggiori teocrati e misogini (gente come Hekmatyar, che non è diversa dai Talebani).

Una guerra durata vent’anni

Gli Stati Uniti finanziarono i mujaheddin, minarono la DRA, indussero il riluttante intervento sovietico attraverso l’Amu Darya, e poi aumentarono la pressione sia sui sovietici che sulla DRA facendo delle forze controrivoluzionarie afghane e della dittatura militare pakistana altrettante pedine in una lotta contro l’URSS. Il ritiro sovietico e il crollo della DRA portarono a uno scenario ancora peggiore, con una sanguinosa guerra civile dalla quale emersero i Talebani. La guerra degli Stati Uniti contro i Talebani è durata vent’anni ma – nonostante la superiore tecnologia militare degli Stati Uniti – ha portato alla sconfitta degli Stati Uniti.

Immaginate se gli Stati Uniti non avessero appoggiato i mujaheddin e se agli afghani fosse stato permesso di prendere in considerazione la possibilità di un futuro socialista. Questa sarebbe stata una lotta, con i suoi passi avanti e indietro, ma avrebbe certamente portato a qualcosa di meglio di quello che abbiamo ora: il ritorno dei Talebani, la fustigazione delle donne in pubblico e l’applicazione dei peggiori codici sociali. Immaginatevelo.

Una lunga storia spazzata via in un pomeriggio

Ma in questi giorni con la sconfitta del potere statunitense non viene necessariamente la possibilità di esercitare la sovranità nazionale e di far avanzare di un’agenda socialista. Anzi, con essa vengono il caos e la sofferenza. Come l’Afghanistan, anche Haiti fa parte dei detriti dell’interventismo statunitense, tormentata da due colpi di stato americani, un’occupazione della sua vita politica ed economica, e ora da un altro terremoto. E la sconfitta in Afghanistan ci ricorda pure la sconfitta degli Stati Uniti in Iraq (2011); questi due paesi hanno affrontato la feroce potenza militare degli Stati Uniti, ma non ne sono usciti subordinati.

Tutto questo chiarisce sia la furia della macchina da guerra statunitense, capace di demolire interi paesi, ma anche la debolezza del potere statunitense, incapace di modellare il mondo a sua immagine. L’Afghanistan e l’Iraq hanno costruito progetti statali nel corso di centinaia di anni. Gli Stati Uniti hanno distrutto i loro Stati in un pomeriggio.

L’ultimo presidente di sinistra dell’Afghanistan, Mohammed Najibullah, aveva cercato di costruire una politica di riconciliazione nazionale negli anni ’80. Nel 1995 scrisse alla sua famiglia: “L’Afghanistan ora ha più governi, ognuno creato da diverse potenze regionali. Persino Kabul è divisa in piccoli regni…a meno che e fino a quando tutti gli attori [potenze regionali e globali] non accettino di sedersi a un tavolo, lascino da parte le loro differenze per raggiungere un vero consenso sulla non interferenza in Afghanistan e si attengano al loro accordo, il conflitto continuerà”. Quando i Talebani presero Kabul nel 1996, catturarono il presidente Najibullah e lo uccisero fuori dalla sede dell’ONU. Sua figlia, Heela, mi ha detto pochi giorni prima che i Talebani prendessero Kabul che sperava che la politica di suo padre sarebbe stata adottata.

L’appello di Karzai va in questa direzione. È improbabile che sia veramente seguito dai Talebani.

Passioni eterne

Cosa modererà i Talebani? Forse la pressione dei loro vicini – compresa la Cina – che hanno interessi in gioco in un Afghanistan stabile. Alla fine di luglio, il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha incontrato il talebano Baradar a Tianjin. Hanno convenuto che la politica degli Stati Uniti ha fallito. Ma i cinesi hanno esortato Baradar a essere pragmatico: a non sostenere più il terrorismo e a integrare l’Afghanistan nella Nuova Via della Seta (Belt and Road Initiative). Al momento questa è l’unica speranza, ma anche questo è un filo fragile.

Nel luglio 2020, l’ex ministro del governo della DRA e poeta Sulaiman Layeq è morto per le ferite riportate in un attentato talebano a Kabul l’anno precedente. La poesia di Layeq “Eternal Passions” (1959) descrive la nostalgia di quel mondo diverso che lui e tanti altri avevano lavorato per costruire, un progetto che è stato cancellato dagli interventi statunitensi:

il suono dell’amore
traboccava dai cuori
vulcanico, ubriaco

gli anni passavano
ma ancora questi desideri
come venti su nevi
o come onde su acque
grida di donne, lamenti

Gli afghani sono in gran parte contenti di vedere la fine dell’occupazione americana, di essere un’altra Saigon in una lunga sequenza. Ma questa non è una vittoria per l’umanità. Non sarà facile per l’Afghanistan emergere da questi decenni da incubo, ma il desiderio di farlo può ancora essere sentito.

Con affetto,
Vijay

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