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Cosa succede al Teatro dell’Opera di Roma

In un clima già pre-elettorale si susseguono lanci di uffici stampa che per conveniente interesse politico fanno gran confusione sulla situazione del Teatro dell’Opera di Roma.
Da una parte c’è chi annuncia con toni allarmanti centinaia di licenziamenti tra i lavoratori, dall’altra, in risposta, la direzione del Teatro si pavoneggia, non è una novità in questi ultimi anni, di aver addirittura previsto un aumento di quasi il 20% della pianta organica.

Facciamo un po’ di chiarezza. La verità è molto più triste e prevedibile: nessun bisogno di licenziare nessuno.
Il piano di ‘risanamento’ del Teatro di questi ultimi anni, attuato dal noto tagliatore di teste Carlo Fuortes, perfettamente in linea con le idee (aziendali, imprenditoriali, liberiste, privatiste) portate avanti per 25 anni dal Ministero della Cultura, ha già messo in ginocchio il Costanzi.
Lo sgretolamento della pianta organica dal 2013 in poi è stato sistematico, il blocco del turnover sommato alle assunzioni e promozioni (costosissime) solo nei livelli apicali principalmente amministrativi ha creato degli sbilanciamenti tra i vari reparti che rendono quasi impossibile la produzione.
I reparti ‘di palcoscenico’ artistici e tecnici vengono considerati secondari (!) mentre si esplicita la volontà di enfatizzare i ranghi superiori dei reparti ‘ministeriali’ puntando al solito trito concetto di una preziosa scatola vuota che necessita di appalti e servizi esterni sempre più numerosi e costosi.

frontale: Teatro dell'Opera - RomaNegli anni, andando contro le precise richieste della legge Bray, che tendeva a rivedere le piante organiche delle Fondazioni Lirico Sinfoniche tutelando i reparti artistici, il suddetto Fuortes si è praticamente liberato dell’organico stabile del balletto portando avanti la produzione grazie all’uso dissennato del lavoro a tempo determinato.
Quando la Corte Europea ha vietato ai Teatri italiani l’abuso del tempo determinato la risposta di tutte le fondazioni è stata evitare di creare anzianità tra i lavoratori ricorrendo a pratiche al limite della legalità e oltre.
Nel 2018 l’allora Ministro Bonisoli chiese quindi di ‘fotografare’ la situazione delle piante organiche funzionali da parte di ogni Teatro e quale migliore momento per farlo se non adesso dopo un anno di chiusura causa Covid?
Con mossa astuta il sovrintendente dichiara magnanimamente di non voler prendere in considerazione questo periodo ma di fare riferimento al 2018, sorvolando sul fatto che in quell’anno il ‘risanamento’ fosse ai massimi livelli, comportando enorme sforzo produttivo da parte dei lavoratori, spesso disposti a grandi compromessi contrattuali.
Quella situazione di sofferenza la si vuole adesso rendere permanente.
I settori più colpiti saranno ovviamente quelli artistici e di palcoscenico, considerati praticamente dei rami secchi da questa gestione ‘aziendale’. Fatto assolutamente non casuale in questo Teatro, i reparti artistici sono gli UNICI che prevedano un’assunzione di tipo meritocratico (concorso internazionale europeo) e che quindi escludano possibilità di chiamate dirette, raccomandazioni, interessi sindacali distorti, nepotismi ecc.

Un asettico calcolo per riassumere la situazione:
si propone dalla direzione del Teatro una pianta organica funzionale di 522 lavoratori, ben lontana dalla pianta organica storica di oltre 610 lavoratori, comunque necessari alla produzione, ma in questo totale si includono ben 88 cause in corso, senza nessuna garanzia di risultato, competenze e soprattutto senza alcun criterio di redistribuzione omogenea tra i vari reparti del teatro. Si vuole quindi ufficializzare il ricorso stabile a un gran numero di lavoratori a tempo determinato per poter essere in grado di continuare la produzione a livello del periodo pre-covid, esattamente il contrario di ciò che chiedevano Bray, Bonisoli e l’Europa.
Non bisogna poi dimenticare come l’attuale situazione del Teatro dell’Opera di Roma rientri in una più vasta operazione di impoverimento delle Fondazioni Lirico Sinfoniche italiane. Operazione ormai ultra ventennale che mira alla totale privatizzazione del settore, snaturando gli Enti teatrali già nella stessa nomenclatura, siamo infatti l’unico Paese al mondo che non chiama Teatri i propri maggiori Teatri lirici.
Lirici e di balletto, per la verità, perché le Fondazioni sarebbero tenute, per Statuto, alla PRODUZIONE e non già alla CIRCUITAZIONE di spettacoli Sinfonici, Lirici e di balletto. Quest’ultimo è invece da anni non solo accantonato dalla produzione della maggior parte delle Fondazioni, che contravvengono così al loro stesso Statuto, ma come si vede nel caso del Teatro dell’Opera, il settore artistico da cui per primo parte l’operazione chirurgica della cosiddetta “Revisione delle Piante Organiche”, con il risultato che ad oggi, su 14 Fondazioni Lirico Sinfoniche, solo 4 sono i Corpi di Ballo superstiti. L’ultimo in ordine cronologico è stato cancellato nel 2017 in quel dell’Arena di Verona e tutto il processo di licenziamento collettivo è stato seguito e promosso proprio da Carlo Fuortes, per l’occasione Commissario Ministeriale plenipotenziario, in quanto contemporaneamente era già Sovrintendente a Roma, forte del tentativo di licenziamento collettivo di Coro e Orchestra del 2014. Prima ancora il Nostro aveva dato bella prova di sé al Teatro Petruzzelli di Bari dove aveva agito con analoghe modalità di licenziamenti indiscriminati sempre principalmente nei settori artistici.

Queste operazioni di mattanza del personale artistico e tecnico, lungi dal risollevare le sorti economiche delle Fondazioni, le ha anzi indebolite, generando un numero incredibile di ricorsi legali che lievitano all’ordine delle centinaia se ai licenziamenti si aggiungono i ricorsi per l’internalizzazione del personale a termine, di cui le Fondazioni hanno costantemente abusato e per cui, come detto sopra, sono già state sanzionate dalla Corte Europea ed in diverse occasioni.
A cosa mira allora una tanto scellerata gestione di Istituzioni che fruiscono ancora oggi di sostanziosi finanziamenti pubblici? Probabilmente proprio a dirottare o interrompere il flusso di quei finanziamenti, come auspicato nel lontano 1996 da Walter Veltroni che trasformò gli allora Enti Lirici nelle attuali Fondazioni di diritto Privato. L’onere più grosso per tali Istituzioni è indicato, falsamente, proprio nel costo del Personale che opportunamente viene additato come costo e non come quello che dovrebbe essere, la più importante risorsa dei teatri, nonché la “materia prima” su cui un’istituzione teatrale deve operare.

Il periodo pandemico risulta perciò particolarmente propizio per “Rivedere le Piante Organiche” sfruttando ovviamente al ribasso la terribile crisi economica che ha prostrato tutto il paese e con grande violenza i lavoratori dello Spettacolo per la maggior parte precari e autonomi a cui è facile indicare i lavoratori delle Fondazioni Lirico Sinfoniche con i termini tanto cari alla politica di Fannulloni e Privilegiati.
Senza mai spiegare però che, quando un diritto conquistato in tanti anni di lotte da chi ci ha preceduto diventa un privilegio, ecco che agli occhi degli stessi compagni di lotta diventa giusto eliminare quel Diritto, eliminarlo per sempre, eliminarlo per Tutte e Tutti.

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