Salute, lavoro, casa, ambiente, istruzione e violenza di genere
Come Potere al popolo, come donne, come libere soggettività, come studentesse e come lavoratrici, oggi 25 novembre vogliamo rivendicare il nostro diritto alla salute intesa come benessere fisico, psichico e sessuale della persona, perché sappiamo che parlare di salute significa parlare di corpi e autodeterminazione, e che, entro il quadro attuale di progressivo smantellamento e privatizzazione del sistema sanitario nazionale, il problema dell’accesso ad una sanità pubblica gratuita è anche una questione di genere: una questione di violenza di genere.
Diretta espressione dell’oppressione patriarcale, la violenza maschile e di genere, in tutte le sue forme, è un fenomeno sistemico, da sempre funzionale al capitale, che produce sfruttamento e struttura ogni ambito della vita privata e pubblica, compreso quello della sanità. E questo lo vediamo in primis quando parliamo di aborto e in generale di autodeterminazione sui corpi delle donne e delle soggettività non conformi. Come abbiamo detto forte e chiaro il 6 novembre di fronte all’Ausl di Bologna, crediamo sia necessario iniziare a chiamare le cose con il loro nome: l’aborto negato è violenza di stato!
Nel 2024, l’aborto in Italia non può essere considerato di fatto un diritto garantito per tutte e questo ce lo dicono innanzitutto i dati sull’obiezione di coscienza, che raggiunge livelli tali da impedire un’applicazione effettiva della legge 194/78, una legge che per quanto lacunosa e limitata dovrebbe sancire il diritto della donna a decidere per il proprio corpo[1].
A fronte di una media nazionale del 63,6% esistono regioni in Italia dove il tasso di obiezione supera l’80%, ma anche nelle regioni sedicenti progressiste[2], come l’Emilia-Romagna, dove il numero di obiettori di coscienza è comunque di poco inferiore alla metà, esistono strutture come l’ospedale Sant’Orsola di Bologna dove l’obiezione raggiunge il 70% e il percorso verso l’interruzione volontaria di gravidanza, quindi, rimane una vera e propria corsa ad ostacoli e contro il tempo[3].
Quello dell’obiezione di coscienza, poi, risulta un fenomeno pressoché impossibile da contrastare nel momento in cui l’accesso ai dati ufficiali risulta sistematicamente negato, sia da parte delle strutture che si rifiutano di fornirli a coloro che li richiedono, sia da parte delle regioni e del Ministero che sarebbero tenuti a pubblicare aggiornamenti periodici ma le cui ultime relazioni risalgono al 2021[4]. E di nuovo, lo sappiamo, questo vale anche per la nostra regione!
Nonostante ciò, l’Emilia-Romagna non esita a sottolineare con orgoglio l’altissimo numero di aborti eseguiti a livello regionale, un dato che, tuttavia, essendo connesso al fenomeno della mobilità e del turismo sanitario, lungi dal rappresentare una ragione di vanto dovrebbe piuttosto far riflettere sulle disuguaglianze prodotte da un sistema sanitario nazione regionalizzato[5].
Altro vanto di questa regione è poi quello che riguarda l’aborto farmacologico e la sua recente implementazione all’interno dei consultori, un vanto che però traballa di fronte alla realtà di un territorio in cui il numero di consultori per numero di abitanti non rispetta nemmeno il criterio minimo stabilito dalla legge! Conosciamo bene infatti lo stato vergognoso in cui versano i consultori pubblici, che dopo decenni di tagli sono stati ridotti, nel migliore dei casi, a meri erogatori di servizi, e nel peggiore, sono stati chiusi definitivamente per mancanza di finanziamenti, privando le fasce popolari di presidi fondamentali sul territorio.
Oltre al fenomeno dell’obiezione di coscienza, che di per sé rappresenta una forma di violenza, intraprendere un’ivg significa inoltre per moltissime donne dover subire violenza psicologica da parte del personale medico-sanitario[6]. Le violenze mediche e/o ostetriche sono infatti forme di violenza subdole, spesso di natura psicologica, che avvengono all’interno di strutture pubbliche che dovrebbero invece rappresentare dei luoghi sicuri volti al benessere della persona. Alla violenza medica e ostetrica va inoltre aggiunta quella agita dai cosiddetti gruppi “pro-vita”, la cui presenza nei consultori è stata recentemente difesa da Ugolini, candidata per il centrodestra.
Dopo mesi di continui attacchi alla legge 194, a partire dall’emendamento[7] che ha ufficialmente aperto le porte dei consultori e delle strutture sanitarie agli antiabortisti siamo qui oggi per ribadire che donne come Giorgia Meloni, Eugenia Roccella e Elena Ugolini non ci rappresentano, che non abbiamo intenzione di chinare la testa di fronte a chi in nome di un falso empowerment femminile non fa che rafforzare un patriarcato che ci vuole madri e lavoratrici sfruttate a servizio del sistema produttivo e riproduttivo! Oggi quindi vogliamo denunciare i responsabili di questa spirale di violenze e vogliamo chiedere il conto a questa regione di decenni di tagli e definanziamenti alla sanità, i cui effetti paghiamo ogni giorno sulla nostra pelle. Il vostro mito della regione più progressista d’Italia non ci inganna!
Allo stesso destino di precarietà e insufficienza di risorse, infatti, non sono stati condannati soltanto i consultori pubblici ma anche i Centri Antiviolenza (CAV), strumenti imprescindibili di contrasto alla violenza maschile e di genere, presidi laici e femministi nati dalle esperienze e dall’elaborazione politica delle donne, il cui obiettivo è agire alle radici della violenza accompagnando e sostenendo le vittime nei percorsi di fuoriuscita[8].
Quando si parla di supporto nei confronti delle vittime di violenza e di misure di contrasto strutturali al fenomeno della violenza è centrale affrontare anche da un punto di vista femminista tutti quei processi di precarietà e sfruttamento che riguardano il mondo del lavoro, processi che si abbattono, con maggiore forza, sulle condizioni materiali delle donne nel momento in cui vanno a rafforzare un preciso modello di divisione sessuale del lavoro[9]. L’ingresso delle donne nel mercato del lavoro, infatti, ha imposto loro un doppio carico di lavoro e un duplice sfruttamento: siamo le più precarie, le più ricattabili e, ancora una volta, le uniche destinate a farsi carico del lavoro riproduttivo e di cura! Oggi 25 novembre vi chiediamo il conto del nostro lavoro invisibile e non pagato! Per emanciparci una volta per tutte dalla violenza economica pretendiamo un salario minimo, un reddito di autodeterminazione e l’istituzione del reato di omicidio sul lavoro!
Pertanto, contro un’idea di sicurezza che non punta a tutelarci ma che sempre di più va nella direzione di una militarizzazione degli spazi pubblici e che, guarda caso, si accompagna a processi di gentrificazione sfrenata e devastazione ambientale, che sempre di più escludono le fasce popolari e le soggettività marginalizzate dai principali centri urbani, rivendichiamo un modello di regione e di città realmente pubblica soltanto nella misura in cui realmente sicura e accessibile per tutt3.
Combattere il fenomeno della violenza maschile e di genere sulle donne, sulle persone trans e su tutta la comunità LGBTQIA+, specialmente quando vittime di violenza domestica e/o di violenza assistita, infatti, impone di mettere al centro non soltanto il tema del lavoro ma anche quello dell’abitare, del del diritto ad una casa sicura, intesa come spazio di autodeterminazione, e dunque di investire fondi e risorse in piani strutturali di edilizia pubblica e di messa in sicurezza del territorio, invertendo la rotta rispetto alle priorità imposte dell’economia di guerra e dal progressivo aumento delle spese militari.
Impegnarsi in una reale politica di contrasto alla violenza patriarcale significa allora togliere i soldi alla guerra per tornare ad investire sulla scuola e sui luoghi di formazione perché, lo sappiamo bene, i femminicidi e i transicidi rappresentano solamente la punta di un iceberg in violenze che si radica profondamente a livello materiale ma anche a livello culturale. Contro un modello di scuola e università-azienda fondati sul merito, sull’individualismo e la competizione pretendiamo l’integrazione nei piani di studio in tutte le scuole di ordine e grado un’educazione sessuale, all’affettività e al consenso che possa agire alle radici della cultura dello stupro e dell’omolesbobitrasfobia, e percorsi di educazione alla genitorialità.
Infine, contro ogni strumentalizzazione della battaglie femministe e della comunità LGBTQIA+ , contro ogni tentativo di pink e rainbow-washing da parte di Israele e di tutto l’occidente complice, ribadiamo il nostro supporto alla resistenza delle donne e del popolo palestinese contro il genocidio portato avanti da Israele, per una Palestina libera da colonialismo, imperialismo e patriarcato!
Vogliamo un aborto libero sicuro e gratuito per tutte e dappertutto! Subito!
Vogliamo consultori attrezzati per la somministrazione dell’aborto farmacologico in tutta la regione e li vogliamo liberi dagli antiabortisti!
Vogliamo una contraccezione gratuita e accessibile a tutte, senza vincoli di età e residenza!
Vogliamo case sicure e fondi per i Centri Antiviolenza per combattere ogni forma di violenza domestica!
Vogliamo un reddito di autodeterminazione per liberarci dalla violenza economica!
Vogliamo un’educazione sessuale, all’affettività e al consenso in tutte le scuole di ordine e grado e percorsi di educazione alla genitorialità!
Vogliamo una Palestina libera!
[1] Sulla storia della legge 194 vedi Gissi Alessandra, L’aborto. Storia di una legge, Carocci 2023.
[2] Relazione del Ministro della Salute sulla attuazione della legge 194/78 tutela sociale della maternità e per l’interruzione volontaria di gravidanza – dati 2021 https://www.salute.gov.it/portale/donna/dettaglioPubblicazioniDonna.jsp?lingua=italiano&id=3367
[3] https://gazzettadibologna.it/primo-piano/diritto-allaborto-il-santorsola-roccaforte-dellobiezione-di-coscienza/
[4] Lalli Chiara, Mai dati. Dati aperti (sulla 194). Perché sono nostri e perché ci servono per scegliere, Fandango 2022.
[5] https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/10/30/aborto-farmacologico-emilia-romagna-pillola-a-domicilio-telemedicina/7749429/
[6] https://www.ivgsenzama.it/
[7] https://www.lindipendente.online/2024/04/16/il-governo-manda-gli-antiabortisti-nei-consultori-con-i-soldi-del-pnnr/
[8] https://www.fanpage.it/politica/i-centri-antiviolenza-vanno-salvati-dalla-politica-dellindifferenza/
[9] Non Una di Meno, Abbiamo un piano. Piano femminista contro la violenza maschile sulle donne e la violenza di genere, p. 27.