A Casier, vicino a Treviso, c’è una caserma dove da due settimane sono rinchiuse 300 persone: nessuno può entrare, nessuno può uscire, gli accessi e la strada sono presidiati da militari. La caserma è adibita a centro di accoglienza per richiedenti asilo, ora in quarantena per un focolaio di Covid-19 fuori controllo. Giusto, si dirà: in caso di focolaio la quarantena è necessaria, è la prima arma per combattere il virus. Ma che cosa sta succedendo, davvero, alla caserma Serena?
“Il centro va chiuso!”, dice Zaia, che ha lasciato espandere il focolaio senza prendere alcuna iniziativa. “Ecco che i migranti portano il Covid!”, dice Salvini, che da ministro si è guardato bene da chiudere questa come altre strutture. Il sindaco di Treviso, intanto, dichiara che richiederà i danni per l’immagine lesa della Marca. In mezzo al balletto estivo, bisogna fermarsi un attimo e provare a capire come stanno le cose. Abbiamo sentito alcuni compagni della zona, preso contatto con chi è ospitato all’interno della struttura e provato a capire cosa sta succedendo all’interno della struttura: da dove è nato il caso, come si svilupperà.
La caserma Serena è alle porte di Treviso e ospita più di 300 migranti, in parte impiegati (in nero o con contratto) nel territorio circostante, nell’agricoltura e nell’industria. Già a giugno un operatore, di ritorno da un viaggio all’estero, risulta positivo al Covid; da quel momento la situazione all’interno si è aggravata sempre più, e alla prima chiusura ne è seguita una seconda, che da fine luglio ha decretato la quarantena stretta, garantita dalle forze dell’ordine. I contagiati al momento sono circa 280, più del 90% degli ospiti.
Il Veneto, l’abbiamo sentito in tutte le salse, è la regione che ha risposto nel modo migliore all’emergenza sanitaria; grazie alla collaborazione dei ricercatori dell’università di Padova, è stato possibile evitare una diffusione esponenziale del contagio nei duri mesi primaverili. Come è avvenuto, quindi, che si creasse una voragine del genere nei protocolli di gestione Covid alle porte di uno dei capoluoghi veneti?
La risposta sta nelle parole che ci arrivano dall’interno della caserma. La rabbia fra i migranti è molta: nessuno è stato informato rispetto ai protocolli sanitari che sono stati attuati, sono state effettuate due, tre, quattro serie di tamponi, che hanno evidenziato una crescita sempre maggiore dei casi, senza che le condizioni dell’accoglienza cambiassero di una virgola. Ma assieme alla rabbia c’è la paura di parlare: chi aveva un lavoro di qualsiasi tipo l’ha perso, beccandosi spesso gli insulti dei padroni – cui queste riserve di manodopera a prezzo bassissimo non dispiacciono – per l’assenza (“spero che muoiano tutti di coronavirus”); la gestione autoritaria del centro, inoltre, fa pensare a molti che parlare, semplicemente raccontare quali sono le condizioni di vita, possa comportare delle ritorsioni, ad esempio con difficoltà rispetto ai documenti.
Perché, quali sono queste condizioni di vita? Ci siamo fatti mandare qualche video, per capire. Già in una situazione normale queste docce comuni, con pochissima privacy, queste stanze collettive spoglie e insalubri sono una vergogna per il paese in cui viviamo. Ma le condizioni abitative non sono minimamente cambiate, da quando è insorto il Covid: semplicemente, si è sperato che le cose si risolvessero da sole. Le camere sono comuni, dai due ai cinque letti, e tali sono rimaste, senza spostamenti, mentre il virus si diffondeva. Non è stata presa nessuna forma di distanziamento, di separazione fra contagiati e non, fino a quando tutto il centro è stato contagiato e si è ritenuto, semplicemente, di sigillarlo.
Da alcuni giorni sono stati presi alcuni provvedimenti: i pochi ospiti non contagiati sono stati spostati in altri alloggi. Le destre insorgono: i migranti sono i nuovi untori, non li vogliamo nelle nostre città. Ma di chi è la colpa in questo caso? Dei migranti, impossibilitati a lavorare, chiusi dentro uno spazio limitato in attesa di contagio? Della cooperativa Nova Facility, che negli ultimi anni ha allargato a dismisura il suo business, oltrepassando i confini regionali e arrivando a Lampedusa? Delle autorità politiche, che relegano la gestione dei centri di “accoglienza” ai privati, valutando che quel che non si vede non esiste, “gestendo” le persone come fossero cose?
Questi sono i risultati del sistema di accoglienza del nostro paese. Teniamo alta l’attenzione sulla situazione della caserma, cercheremo di far uscire le notizie che ci arriveranno, oggi come ieri lottiamo per la chiusura dei grandi centri di accoglienza/prigionia. La salute e la dignità o sono di tutti, o di nessuno!