Finalmente, prima che la storia finisca, la Corte Penale internazionale (CPI) ha emesso mandati di arresto sia per il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu sia per il suo ex ministro della Difesa Yoav Gallant per crimini di guerra e crimini contro l’umanità. L’accusa afferma che “ci sono ragionevoli motivi per ritenere che entrambi gli individui abbiano intenzionalmente e consapevolmente privato la popolazione civile di Gaza di beni indispensabili per la loro sopravvivenza, tra cui cibo, acqua, medicine e forniture mediche, nonché carburante ed elettricità”. La corte ha stabilito che ci sono ragioni sufficienti per ritenere che i due uomini “abbiano una responsabilità penale” per il crimine di guerra dell’utilizzo della fame come strumento di guerra, dei crimini contro l’umanità di omicidio, persecuzione e altri atti disumani e del crimine di guerra di aver intenzionalmente diretto un attacco contro una popolazione civile. Quasi immediatamente, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha condannato le azioni della corte, affermando che “l’emissione di mandati di arresto da parte della CPI contro i leader israeliani è oltraggiosa”. Gli Stati Uniti, ha detto Biden, “saranno sempre al fianco di Israele”.
A pochi passi dalla Casa Bianca di Biden si trova la Freedom House, un’istituzione fondata nel 1941 e finanziata prevalentemente dal Ministero degli Esteri degli Stati Uniti. Ogni anno, la Freedom House pubblica il suo indice Freedom in the World, che utilizza vari dati per giudicare se un paese è “libero”, “parzialmente libero” o “non libero”. Gli avversari degli Stati Uniti – come Cina, Cuba, Iran, Corea del Nord e Russia – si trovano costantemente a “non essere liberi”, anche se hanno processi elettorali e organi legislativi di vario tipo (nelle elezioni legislative iraniane del 2024, ad esempio, si sono presentatə 15.200 candidatə per 290 seggi nell’Assemblea consultiva; mentre l’anno scorso a Cuba, i 470 seggi dell’Assemblea nazionale del potere popolare sono statə elettə dal 75,87% degli aventi diritto). Nel frattempo, l’indice del 2024 attribuisce a Israele un “punteggio di libertà globale” di 74/100 e lo proclama l’unico stato “libero” della regione, nonostante gli autori notino che in Israele “la leadership politica e molte persone nella società hanno discriminato le popolazioni arabe e altre minoranze etniche o religiose, con conseguenti disparità sistemiche in settori quali le infrastrutture, giustizia penale, istruzione e opportunità economiche”. Secondo le misurazioni di questo indice finanziato dal Ministero degli Esteri degli Stati Uniti, che viene abitualmente utilizzato per denigrare i paesi di tutto il mondo che vengono ritenuti non liberi, un sistema di apartheid costruito sull’occupazione e ora sul genocidio è considerato una democrazia esemplare.
Gli indici, come quello di Freedom House, non sono così innocenti come potrebbero sembrare. Il confezionamento dell’indice – costruito sulle valutazioni soggettive di analistə e consulenti selezionatə dal mondo dei think tank dell’establishment occidentale – produce risultati che sono spesso già scritti. Mentre la Freedom House afferma di attingere al Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici (1966), ignora il Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali (1966). Quest’ultimo richiederebbe di comprendere la democrazia in un modo molto più ampio rispetto al semplice svolgimento di elezioni e all’esistenza di più partiti politici. L’articolo 11 del secondo documento, da solo, amplierebbe l’idea di democrazia per includere il diritto alla casa e il diritto a essere liberə dalla fame. Come osserva l’articolo 4, lo scopo del Patto sui diritti economici, sociali e culturali è quello di promuovere “il benessere generale in una società democratica”. La democrazia qui è usata con la più ampia comprensione, che va ben oltre il semplice elettoralismo. E anche per quanto riguarda l’elettoralismo, c’è poca preoccupazione nell’indice della Freedom House per gli alti tassi di astensione nelle democrazie liberali e per il collasso di una cultura mediatica pluralista e libera che sia in grado di sottoporre al proprio scrutinio partiti politici e leader.
Ma allora, cosa importa a coloro che stanno dietro a tali indici? Si credono padronə dell’universo. Le reazioni all’accusa della CPI da parte degli Stati Uniti e della Germania – i due paesi con i maggiori esportazioni di armi a Israele durante questo genocidio – erano previste, ma rimangono comunque scioccanti. La reazione sprezzante di Biden conferma che gli Stati Uniti non capiscono e/o non si preoccupano della gravità della loro insensibilità e che gli Stati Uniti non riescono a capire che il loro rifiuto dei mandati della CPI è l’ultimo chiodo nella bara dell'”ordine internazionale basato sulle regole” che gli Stati Uniti continuano a evocare. Sulla questione dell’insensibilità: in vista delle elezioni presidenziali statunitensi del 2024, l’amministrazione Biden ha dichiarato che Israele doveva consentire l’ingresso di aiuti a Gaza entro trenta giorni o avrebbe dovuto affrontare un congelamento dell’invio delle armi, ma questa scadenza è arrivata e passata senza troppe preoccupazioni. L'”ordine internazionale basato su regole” è sempre stato un po’ una farsa. Nel 2002, durante la guerra al terrorismo guidata dagli Stati Uniti, il Congresso degli Stati Uniti aveva discusso la possibilità che un soldato o un agente della CIA potesse essere accusato di un crimine di guerra. Per garantire l’immunità a quel soldato o agente, il Congresso degli Stati Uniti ha approvato l‘American Service members’ Protection Act, che è stato ampiamente chiamato “Hague Invasion Act”. Sebbene il provvedimento non dica che gli Stati Uniti possono invadere i Paesi Bassi per liberare il suo personale dalla CPI, dice che il presidente degli Stati Uniti «è autorizzato a utilizzare tutti i mezzi necessari e appropriati per ottenere il rilascio di qualsiasi persona… detenuta o imprigionata dalla Corte Penale Internazionale, per conto o su richiesta della stessa». All’epoca dell’approvazione di questa legge, gli Stati Uniti si ritirarono formalmente dallo Statuto di Roma (1998) che istituiva la CPI.
Entrambi i senatori statunitensi Tom Cotton e Lindsey Graham hanno invocato lo Hague Invasion Act in risposta all’emissione da parte della CPI dei mandati di arresto per Netanyahu e Gallant, con Graham che si è spinto fino a dire che il Senato degli Stati Uniti dovrebbe imporre sanzioni, anche ad alleati come il Canada, per aver avuto la temerarietà di suggerire che avrebbe eseguito i mandati. Se gli Stati Uniti gettano al vento i mandati della CPI, allora hanno detto forte e chiaro al mondo che non credono nelle regole, o che le regole sono fatte solo per disciplinare gli altri e non loro stessi. È impressionante vedere l’elenco dei trattati internazionali che gli Stati Uniti non hanno mai firmato o non hanno mai ratificato. Alcuni esempi sono sufficienti per sostenere che gli USA non hanno rispetto per un vero ordine internazionale basato su regole:
- Convenzione per la repressione della tratta di esseri umani e dello sfruttamento della prostituzione altrui (1949, mai firmata).
- Convenzione relativa allo status delle persone rifugiate (1951, mai firmata).
- Convenzione contro la discriminazione nell’istruzione (1960, mai firmata).
- Convenzione sul consenso al matrimonio, l’età minima per il matrimonio e la registrazione dei matrimoni (1962, firmata ma mai ratificata).
- Convenzione sulla non applicabilità delle limitazioni legali ai crimini di guerra e ai crimini contro l’umanità (1968, mai firmata).
- Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (1982, mai firmata).
- Convenzione di Basilea sul controllo dei movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e del loro smaltimento (1989, firmata ma mai ratificata).
- Convenzione sui diritti delle persone con disabilità (2006, firmata ma mai ratificata).
Ancora più orribili sono le convenzioni sul controllo degli armamenti che gli Stati Uniti si sono rifiutati di firmare o dalle quali si sono ritirati unilateralmente:
- Trattato sui missili anti-balistici (ABM) (1972, ritirato nel 2002).
- Trattato sulle forze nucleari a raggio intermedio (INF) (1987, ritirato nel 2019).
- Trattato per la messa al bando delle mine antipersona (1997, mai firmato).
- Convenzione sulle munizioni a grappolo (2008, mai firmata).
- Trattato sul commercio delle armi (2013, firmato ma ritirato nel 2019).
È proprio perché gli Stati Uniti hanno lasciato unilateralmente il Trattato ABM e il Trattato INF che il conflitto sull’Ucraina si è infiammato al punto che vediamo. La Russia aveva chiarito in diverse occasioni che l’assenza di qualsiasi regime di controllo degli armamenti per quanto riguarda i missili nucleari a medio raggio avrebbe rappresentato una minaccia per le sue principali città, soprattutto in un contesto nel quale i paesi confinanti avessero aderito alle NATO. Il 18 novembre, con una mossa provocatoria e pericolosa, Biden ha permesso all’Ucraina di utilizzare missili a raggio intermedio per colpire il territorio russo, provocando una potente risposta da parte della Russia contro l’Ucraina. Se la Russia avesse deciso di lanciare uno di quei missili contro una base statunitense in Germania per rappresaglia, per esempio, potremmo già essere nel bel mezzo di un inverno nucleare. Il disprezzo degli Stati Uniti per il regime di controllo degli armamenti è solo una parte del loro assoluto disprezzo per qualsiasi diritto internazionale, suggellato dal loro vaffanculo (dito medio alzato) alla CPI.
Nel 1982, il poeta e combattente per la libertà sudafricano Mongane Wally Serote (nato nel 1944), che viveva in Botswana e lavorava con il Medu Art Ensemble (su cui abbiamo scritto un dossier l’anno scorso), pubblicò “Il tempo è finito” nel suo straordinario libro The Night Keeps Winking. “Ognunə di noi è impazzito”, ha scritto, perché “siamo umanə e questa è la nostra terra”. Serote scriveva del Sudafrica, ma ora possiamo espandere la sua visione alla Palestina, e di fatto a tutta la terra. Serote scrive:
È stato versato troppo sangue
Per favore, miə connazionali, qualcuno può dire una parola di saggezza …
Ah, ci siamo abituatə all’orrore
il cuore del nostro Paese
quando pulsa
batte il tempo
ci ferisce
Miə connazionali, qualcunə che capisce che ormai è troppo tardi
Che sa che sfruttamento e oppressione
sono cervelli che essendo
pazzi conoscono solo la violenza
Qualcuno può insegnarci come cavalcare le ferite e combattere.
È tempo di rivisitare la “grande ferita”, come scrisse Frantz Fanon nel 1959, per cavalcare la ferita e combattere.
All’inizio di quest’anno, Serote ha scritto una poesia per la Palestina, di cui riproduciamo una parte per la Giornata Internazionale di Solidarietà con la Palestina (29 novembre); per questo giorno, noi di Tricontinental stiamo organizzando una mostra con le opere d’arte dell’artista palestinese Ibraheem Mohana e di venti bambini a cui ha insegnato educazione artistica a Gaza, nel bel mezzo del genocidio di Israele.
Sentiamo nei nostri occhi i suoni della sirena e dell’esplosione
Mentre fa esplodere i nostri occhi e il nostro udito
e il fuoco rosso
divampa il suo arrivo nell’aria con la potenza di una tempesta
Il fuoco rovente avvolge la carne umana nella sua danza rovente
È stato preceduto da un denso fumo nero
Che mugghia e continua a infuriare
Oh
Essere Umano
E finisce con…
Ah Palestina!
Esisti!
Con affetto,
Vijay
*Traduzione della quarantottesima newsletter (2024) di Tricontinental: Institute for Social Research.
Come Potere al Popolo traduciamo la newsletter prodotta da Tricontinental: Institute for Social Research perché pensiamo affronti temi spesso dimenticati da media e organizzazioni nostrane e perché offre sempre un punto di vista interessante e inusuale per ciò che si legge solitamente in Italia. Questo non significa che le opinioni espresse rispecchino necessariamente le posizioni di Potere al Popolo. A volte accade, altre volte no. Ma crediamo sia comunque importante offrire un punto di vista che spesso manca nel panorama italiano.